Una città - anno V - n. 44 - ottobre 1995

• un mese I U ann Sarajevo, settembre 95. Guardando il calendario oggi ho fatto il conto: tre anni, sei mesi, e venti giorni di guerra. E' una giornata di sole, sembra un giorno di pace, una di quelle domeniche di tanto tempo fa con l'aria piena del profumo delle cose da mangiare. Ma oggi, per preparare il pranzo e il dolce, devo accendere un fuoco, come i primitivi, e questo mi ricorda che sono ancora detenuta nella grande prigione chiamata Sarajevo. C'è però una differenza fra un vero detenuto e me: lui sa perché è lì, qual è la sua pena, quando uscirà. lo no. Ma a costo di apparire pazza, io preferisco rimanere. Solo qui posso sentirmi a casa. In qualunque altro luogo sarei un'ospite o una profuga e quel tipo di vita mi terrorizza come l'impossibilità di non tornare a casa mia. In tutto questo tempo la mia casa è stata la mia vita, il mio nido, il luogo dove rifugiarmi. Anche prima della guerra era così. Ogni muro porta le tracce dei momenti felici e di quelli orribili della mia vita. Anche il buco provocato dalla pallottola che ha ucciso mio marito è ancora lì: non è stato riparato, ma solo coperto con lo specchio della nonna. Sono passati tre anni e mezzo dalla morte di mio marito. Non vado spesso al cimitero, ma ogni volta che mi affaccio alla finestra vedo la collina dove è sepolto. Qui, in casa, forse c'è ancora il suo fantasma. Cerco di vivere normalmente, non ho il tempo di piangere, però ogni volta che preparo da mangiare o sistemo qualcosa in casa penso a lui, penso se gli piacerebbe ... Nostro figlio assomiglia sempre di più a lui. Ha sei anni e mezzo e si sente già responsabile verso di me e verso la casa. Ieri è tornato, dopo aver giocato con i suoi amici, e mi ha portato una nuova "ricetta" per fare il bucato. Quando gli ho chiesto come fa a sapere queste cose, mi ha risposto che le ha ascoltate dalle donne che stavano tornando dall'aver lavato i panni. Mi porta ogni pezzo di legno che trova e che può servire per il fuoco. Gli manca tantissimo suo padre e cerca di trovarne un altro. Povero figlio, non può capire che nessuno potrà mai più essere suo padre. Perché possa nascere un rapporto simile ci vorrà tanto amore e comprensione, ma non credo che succederà. Temo che soffrirà ancor più di quanto non gli succeda ora. Mi ha chiesto tante volte perché suo padre è morto e perché questa è stata la volontà di Dio. Domande senza risposta. Adesso passa un sacco di tempo col nonno, mio padre. Ha tanto bisogno della compagnia di un uomo, del suo lavoro, dei suoi discorsi. Insieme costruiscono oggetti e riparano giocattoli. Mio padre trova nel nipote il senso della propria vita attuale. Quando morì mio marito, perse trenta chili e temetti che sarebbe morto dal dispiacere. Aveva dato tutta la sua vita per il lavoro: era un colonnello, comandante dell'Istituto militare geografico. Un giorno mi ha confessato di essere terribilmente dispiaciuto che le mappe e le carte prodotte dal suo istituto fossero così ben fatte, perché ora sono in mano al nemico e grazie ad esse i cetnici possono bombardare con precisione qualunque cosa. I luoghi dove amava andare a caccia sono nelle montagne controllate dai cetnici, i suoi splendidi fucili sono stati consegnati al nostro esercito per difenderci nei primi mesi dell'aggressione, quando non c'erano armi. L'esercito federale, che lui aveva servito per tutta la vita, aveva cominciato a sparare contro di noi. Prima della guerra aveva abbastanza soldi per concedersi insieme a mia mamma una vita bella e confortevole. Aveva tutto in banca, perché aveva una fiducia cieca nello Stato e nel governo jugoslavi. Naturalmente ha perso tutto. Ora il governo di Bosnia non ha i soldi per pagare le pensioni e riceviamo qualche aiuto da parenti che vivono in Croazia. Mio padre non si sente a suo agio, non gli piace vivere alle spalle di altri e si domanda cosa succederà quando si stancheranno di noi e dei nostri problemi. Mi sento responsabile nei confronti dei miei genitori come se fossero loro miei figli e non io la loro. Faccio ogni lavoro per aiutare la mia famiglia. Non ho mai avuto paura di lavorare, ma ora mi sento stanca di tutto. Questi ultimi tre mesi mi hanno quasi distrutto i nervi. Quando hanno ricominciato a bombardare la città ogni giorno, ho inaspettatamente avuto paura come mai prima. L'allarme suonava più volte al giorno per avvertire la popolazione di stare attenta. Quel rumore di sirene era terribile... Faris era più impaurito dalle sirene che dalle detonazioni. Ogni giorno le granate esplodevano sempre più vicino alla casa, era sempre più pericoloso. Ho tentato di dormire in cantina, ma era troppo freddo e umido. Siamo tornati nella nostra camera, sui materassi stesi a terra e ho pregato ogni sera che Dio ci salvasse. Mi addormentavo con la paura e mi svegliavo con la paura, però ero felice che per un'altra notte la nostra casa fosse stata risparmiata e mio figlio fosse ancora qui con me e nessuno fosse stato colpito. Un giorno fu orribile. Stavo preparando la cena in cucina quando cadde una granata di fronte alla nostra casa. Tutte le finestre andarono in pezzi, il fumo e la polvere invasero ogni cosa, Faris cominciò a piangere e mentre tentavo di portarlo in un luogo più sicuro cadde un'altra granata proprio dietro la casa. Mi sembrava di impazzire. Pochi giorni dopo, avevo appena pulito ogni cosa in casa, due granate furono sparate in direzione della nostra porta d'ingresso, ma la riva del fiume ci ha salvato. In vita mia non ho mai avuto tanta paura. Ho cominciato a perdere la speranza e l'ottimismo. Poi è iniziato un periodo di relativa pace, anche se ogni giorno qualcuno veniva ucciso dai cecchini o da una granata. Un giorno mia madre, una donna davvero sensibile, non è riuscita ad alzarsi dal letto. Era come morta, tutti i suoi riflessi erano paralizzati. Andai a trovarla con una mia amica neurologa che la visitò: non era un attacco cerebrale, né c'erano sintomi anormali, tranne che mia madre non si muoveva. Se non l'avesse visto con i suoi occhi, disse, non ci avrebbe creduto. Mia madre passò alcuni giorni in queste condizioni e poi all'improvviso si alzò dal letto e riprese la sua vita di prima. Il dottore disse che i suoi nervi non avevano resistito allo shock dei continui bombardamenti e alla paura per la famiglia, in particolare per il nipotino. Nonostante tutto ciò ho continuato con le mie lezioni di italiano e sono andata a cantare nel coro due o tre volte alla settimana. Proprio tornando a casa dalla mia lezione di italiano, in un meraviglioso giorno di sole, ho incontrato il figlio della nostra cara poetessa Dara Sekulic, che aveva vissuto molti anni col pittore Ibrahim Ljubovich. Ho parlato un po' con Neno a proposito della morte di Ibrahim, che lui amava come un padre e poi mi sono avviata al mercato per cercare un po' di verdura. Non so perché, ma all'improvviso ho cambiato idea e sono andata dritta a casa. Del resto non ho molti soldi e devo sempre pensarci bene prima di spenderne, forse è stata questa la ragione che mi ha spinta a tornare a casa senza passare dal mercato. Ero appena arrivata che si è udita una tremenda esplosione. Non capivo, ma la gente che correva per la strada mi diceva che avevano colpito in pieno il mercato e che c'erano tanti morti e feriti. Sono scoppiata a piangere, ero viva ma mi sentivo come se qualcuno mi avesse tagliato le gambe. Dentro di me sentivo finite tutte le speranze. Ho chiamato i miei genitori per rassicurarli eper sapere se mia sorella era a casa. I miei amici dall'Italia mi hanno chiamato immediatamente per sapere se ero viva e in quel momento sapere che qualcuno si preoccupava di me è stato più che importante ... Poi s'è saputo che l'Onu aveva deciso di bombardare le postazioni dei cetnici, ma non credevo che l'avrebbero fatto. Siamo stati traditi così tante volte in questa guerra ... abbiamo sperato così tante volte che qualcuno ci avrebbe aiutato che ormai non ci aspettiamo più niente. Ma quella notte sono stata svegliata da una strana sensazione e da strani rumori. Erano rumori di aerei e bombe, ma stavolta non erano per noi. Ho capito cosa stava succedendo e me ne sono tornata a dormire. Al mattino ho tentato di spiegare a Faris cosa stava accadendo, e lui mi ha detto che era morto di paura perché credeva che stessero bombardando la nostra città e che per noi fosse finita. Quando ha realizzato ciò che gli stavo dicendo, gli occhi gli si sono illuminati e un sorriso gli ha riempito la bocca: "Finalmente, e che bombardino pure la nostra casa in montagna per cacciare i cetnici! Quando sarò grande ne costruirò un'altra!" Non ho piacere che muoia nessuno e la stessa cosa pensa mio figlio, vogliamo solo che finisca questa guerra e sento che questa volta ci siamo. Anche se siamo ancora intrappolati in una città senz'acqua, gas e luce. Solo i prezzi del mercato sono un po' più bassi di prima. Ma la gente, la maggior parte almeno, continua a non avere i soldi per comperare. Faris sogna la fine della guerra e non vede l'ora di poter andare al mare e incontrare suo cuginetto Ivo. Quando l'inverno era verso la fine, ho sperato in una bella primavera. Non abbiamo avuto né la primavera né l'estate. Anche il caro Dio ci ha mandato ogni giorno la pioggia, forse per lavare il sangue. Non abbiamo avuto neanche un giorno per fare una passeggiata, ma forse dopo l'autunno verrà un be/l'inverno pieno di pace. Kanita Focak o SARAJEVO, SEffEMBRE 95 Fra i graffiti di guerra sui muri di Sarajevo si legge: "L'Europa è stata bocciata, e noi prendiamo l'insufficienza". Questa sottile battuta, che concentra così bene in una frase il rapporto della comunità europea con la tragedia bosniaca e sarajevese. oggi non basta a spiegare il rapporto fra gli Stati Uniti e la nostra situazione. L·Europa ha assistito passivamente alla sofferenza della Bosnia, aiutando in questo modo l'aggres~ione serba. Ma gli Stati Uniti qra hanno intenzione di legalizzare, con il loro piano di pace, tutto ciò che i serbi hanno commesso e passare all'archivio il problema Bosnia. I veri vincitori in questo piano di pace per la Bosnia che si è appena cominciato a costruire sono Clinton. Milosevic, Karadzic. Il presidente americano entra nella battaglia elettorale per le presidenziali americane senza quella pesante zavorra appesa al collo. Invece di essere i suoi avversari a rinfacciargli la Bosnia. ora sarà lui a sventolarla contro di loro come un grande successo della sua amministrazione. Il presidente serbo. dopo i negoziati di Ginevra, ha occupato per quarantacinque minuti la tv di Belgrado. ricevendo complimenti per l"affare ben concluso da tutti. dall'associazione dei pensionati di Jagodina fino ali"associazione dei disoccupati di Smedcrevo. Sta portando a compimento questa finta evoluzione da criminale di guerra a beato costruttore di pace. Karadzic ha visto nientemeno che gli Stati Uniti hanno riconosciuto il suo legittimo mostro. la repubblica serba di Bosnia. E adesso, davanti a tutti -davanti alla comunità internazionale, davanti ai serbi. davanti ai suoi stessi figli- può dire: "avevo un motivo per essere un criminale di guerra1"'Adesso tutti i massacri, gli esodi. gli stupri. i campi di concentramento sono giustificati. Questi sono i vincitori. Gli sconfitti sono ammassati dentro il cerchio serbo. L'intera Bosnia Erzegovina è ridotta ad una zona protetta. ristretta fra Serbia e Croazia. Una zona a cui la comunità internazionale non lascia molte strade per il futuro: o si scioglierà nella Croazia, scomparendo in un modo un po· più civile di come le stava accadendo. o si arrenderà ai suoi vicini per essere brutalmente smcmbrata. ASarajevo sono echeggiati i risultati dei negoziati di Ginevra e dolore e amarezza sono i due sentimenti dominanti. Tre anni di tragedia hanno lasciato tracce profonde nella popolazione: è difficile da sopportare l'idea di vivere vicino allo stato di Karadzic. Probabilmente quest'ondata di emozioni non consente ancora a tutti di vedere bene cos'altro porta con sé questo piano di pace. La più grande trappola è lo stato. nel senso di sistemazione, di Sarajevo. Di questo ancora nessuno parla. ma gli osservatori più attenti noteranno che il piano americano prevede r apertura di un corridoio per Sarajevo. Qui sta la trappola più grossa. perché l'apertura di un corridoio altro non significa che la città rimarrà com'è adesso -divisa. con Trebevic. Grbavica, Yrace. una parte di Dobrinja. llidza occupate dal nemico. Il corridoio andrà verso Yisoko passando da Rajlovac ed Ilijas. L· insostenibilità di una tale proposta non risiede nel fatto che un viaggiatore che parta per il sud. per Mostar. debba andare per trenta km a nord. poi una decina verso ovest a Kiseljak e infine verso sud. L"insostenibilitàè dovuta al fatto che le postazioni serbe rimangono dov·erano fino adoggi. Questo significa in pratica che il confine della Serbia è al fiume Miljacka. al ponte di Bratstvo Jedinstvo. che i cecchini serbi rimangono ancora sui grattacieli di Grbavica. nel cimitero ebraico. sui pendii di Trcbevic. In questo modo le uccisioni non cesseranno mai. Ogni volta che un macho serbo di Pale sarà sconfitto nel suo sport preferito -il lancio della pietra come sfida fra coetanei- verrà a Grbavica a sfogarsi nel tiro a segno su qualche bambino. Hanno fatto così fino ad oggi e il piano americano lascia loro la po. sibilità di continuare così per i prossimi 400 anni. Clinton ha così tanta fretta di chiudere il caso Bosnia che non gli interes- . a la qualità dciraccordo. ma solo la velocità con la quale sarà concluso. E in questa fretta c·è anche la piccola chance per la Bosnia. In questi tre anni e mezzo di guerra il mondo ha dimostrato. per nostra sfortuna, un grande rispetto per il metodo serbo di comportamento politico: mantenere le proprie posizioni senza cedere mai un miilimetro. Ogni volta che i serbi si sono comportati così l'Europa s'è piegata e loro hanno ottenuto tutto quello che volevano. La vera intenzione iniziale americana era di concedere alla repubblica serba la possibilità di federarsi in qualche modo alla Serbia. Quando i dirigenti bosniaci hanno respinto con decisione questa possibilità, l'idea è stata abbandonata. Per consolare i serbi allora gli è stata promessa Gorazde, in cambio di Sarajevo. Quando lzetbegovic ha dichiarato che se sarà necessario combatteremo per altri 15 anni, ma Gorazde non sarà mai venduta, anche quest· ideaè statacancellata da11·agenda. Adesso gli Usa non hanno più niente da offrire ai serbi in cambio dei quartieri occupati di Sarajevo e il destino della città è pieno di interrogativi. Per questo Izetbegovic dovrà ripetere per la terza volta il modello serbo di comportamento e nel modo più convincente: non daremo Sarajevo neanche se dovessimo combattere per altri trent"anni! A questo punto rimane da porsi una domanda: cosa c·è dietro i bombardamenti della Nato sulle postazioni serbe? A Sarajevo è sempre più diffusa la convinzione che si tratti di un compromesso: i bosniaci hanno chiesto di togliere l"embargo sulle armi. questo non è stato concesso, ma in cambio hanno ridotto la potenza sul terreno dei serbi. Così ora i bosniaci. peggio armati. ma più numerosi e meglio motivati saranno ingrado di combattere per il piano americano. Perché la proporzione 51 a 49 non è cosa da ottenere col negoziato. ma sul campo. L'armata bosniaca dovrà guadagnarsela combattendo. E infatti sta succedendo una cosa interessante: i nostri soldati ci dicono che i serbi stanno coprendo le trincee intorno a Sarajevo perché non sono più in grado di respingere le nostre offensive essendo ora senza l'artiglieria pesante. Edi notte, inquelle conversazioni che da sempre avvengono da trincea a trincea, i serbi gridano ai bosniaci:""Balije. non attaccateci, non dobbiamo morire né noi né voi. Tutto questo sarà comunque vostro fra venti giorni.'" Noi stiamo aspettando. O::,renKebo

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