ti: era attentissima a questo nostro malessere. Nel corso di questi anni di lavoro comune credo mi abbia telefonato un centinaio di volte intorno ali' una, alle due del pomeriggio, per chiedermi se avevo mangiato. Tutte le volte che arrivava in redazione, sapendo che io amo i dolci, ci portava il pacchetto di pasticcini o di cioccolatini. ci portava un po· di zuccheri, di proteine per tirare in là nella giornata. per altro pesante. di lavoro. Credo che la sua generosità anche in queste cose così materiali, così concrete fosse davvero straordinaria. In questi anni ho ricevuto accanto ai manoscritti. accanto ai libri di cui dicevo prima. un'infinità di messaggi, di lettere. Comunicavo aGrazia l'arrivo di queste lettere. molto spesso gliele leggevo al telefono e ora mi dispiace -purtroppo si arriva sempre troppo tardi a pensare a queste cose- di non averle conservate perché testimoniavano una straordinaria fedeltà dei lettori a Grazia. un· attenzione critica, educata e straordinaria. E dico educata perché. in un certo senso, credo che fo se educata anche dalla lettura degli articoli di Grazia. Ho ricevuto molti messaggi anche in queste ultime settimane, dopo che Grazia ci ha lasciato e questi li ho conservati. Vorrei leggere due frasi da due di queste lettere. Nella prima c'è un piccolo particolare: "lo non sapevo della sua malattia. né conoscevo lei. se non per un breve, ma simpatico epi odio telefonico. Mi insegnò a staccare il telefono mentre mi lavavo icapelli. Le volevo bene. era un mito: quello che da grande mi sarebbe piaciuto essere. Mi pare impossibile aprire la pagina del lunedì senza leggerla. autentica, tagliente tanto da divenire fulminante. coi suoi piccoli, ineguagliabili pezzi di costume. Sai che da quanto lessi la sua opinione sul modo di salutare dicendo: ·Buona giornata'. non sono più riuscito a dirlo, ma, anzi. guardo con sospetto chiunque lo dica?". Leggopoche righe di un'altra: ·'Non avremo più il conforto di sapere che esisteva una persona così da scoprire. con cui lavorare. così fortemente viva da certificare e garantire la vita dei libri, dei ''libri del1' Unità". della letteratura, della vita delle strade, dei tram, dei dettagli di città. Condivido questo dolore aspro. questa sorpresa angosciata con te". Ecco ho letto queste righe perché, in fondo. qui c'è molto della nostra amica Grazia Cherchi. C'è questa sua simpatica dedizione alla causa degli altri. che si manifesta anche in questi piccoli episodi: staccare il telefono quando si lavano i capelli. C'è que. 10 suo impegno nei confronti della cultura, nei confronti della letteratura, nei confronti della vita. Non faccio il critico, non voglio tracciare un profilo critico in questa sede. voglio olo dire che in quel piccolo libro fatto di tante piccole storie, Basta poco per sentirsi soli, c'era uno sguardo penetrante, una capacità di attenzione agli aspetti più diversi, soprattutto agli aspetti più marginali. più trascurati dalla fretta del nostro tempo, dalla superficialità del nostro tempo. Vorrei dire ancora una piccola cosa: ai funerali di Grazia. Giovanni Giudici disse con quel suo modo garbato, prezioso: "Adesso non potremo più dire ·sentiamo Grazia Cherchi"'. Quella era una frase che era nell'orecchio e nella bocca di tutti, perché tutti noi, credo, trovandoci all'improvviso con un dubbio. un· incertezza. un'ignoranza, un vuoto, abbiamo detto: '·Sentiamo Grazia Cherchi". Quante volte mi è capitato, nel corso della giornata di lavoro. di non saper risolvere un problema e di ricorrere a Grazia. C'era. in questo. qualcosa di davvero straordinario, perché lei trovava la soluzione del problema magari ponendone un altro. facendoti andare avanti, correre avanti. Con lei non ci si poteva fermare. Qui siamo alla festa del Pds, la storia politica di Grazia Cherchi è molto lontana dalla storia di questo partito. però alla !ìne Grazia si era trovata nel giornale che. è vero. non è più 1·organo del Pci. neppure l'organo del Pds, è semplicemente "il giornale fondato da Antonio Gramsci''. Si era ritrovata con noi e fu assolutamente merito suo se sulle pagine di questo giornale si sono ritrovate tante persone che invece avevano fatto dei percorsi molto lunghi con lei. tante persone che. per esempio, avevano con lei lavorato in Quademi piacentini, che l'avevano accompagnata in altre vicende politiche. Era stato merito suo se questo giornale si era finalmente aperto a tante forze della cultura più viva, della cultura critica italiana. Credo che l'Unità abbia ricevuto un dono straordinario. un dono che difficilmente si può dimenticare, undono, soprattutto, che tutti noi dobbiamo impegnarci a che non vada smarrito nel tempo. Questo capita perché passano gli anni, le storie si complicano, gli scenari cambiano. L· impegno nostro sarà perché questo non avvenga. (lnterve11rodi Oreste Pi1·e11al Festival de l'Unità di Milano durame la co111111e111ora- :io11edi Gl'(,:ia Cherchi.) - LA LEZIONE DA NON PERDERE Il ricordo di padre Camillo de Piaz Quello che mi sto domandando è che cosa ci mancherà di più con la scomparsa di Grazia, quale il vuoto maggiore che lei lascia morendo. A proposito di questo qualcuno, nei giorni della morte, ha parlato del "rispetto per gli altri" come della sua "caratteristica peculiare". E' un'indicazione giusta ma inadeguata. Anche sulla base dell'esperienza personale, credo che si tratti di qualcosa di più profondo: una capacità, davvero straordinaria, di mettersi negli altri. Senza prevaricazioni e senza espropriazioni e lasciando intatta l'identità propria e quella altrui. E questa sua capacità di mettersi negli altri era ed è l'aspetto che mi colpiva di più anche come cristiano e chi mi conosce sa che lo posso dire senza essere sospettato di voler portare acqua al solito mulino. Come ciò si combinasse con la nettezza del giudizio e con l'assoluta mancanza di ogni compiacenza, Grazia era "una dura" in un certo senso, costituiva il fascino particolare della sua personalità, la sua diversità. Un altro rimpianto riguarda il fatto che Grazia sia venuta a mancare proprio nel corso, nel mezzo di un'evoluzione che, in questi ultimi tempi, si stava profilando sempre più chiaramente nel suo lavoro: quel lasciarsi alle spalle, non dico il catastrofismo che è sempre stato alieno da lei perché piuttosto di spettanza di altri, di spettanza della destra, ma la protesta fine a se stessa, la denuncia per la denuncia, per andare alla ricerca di quanto di positivo, di propositivo, di buono, di altro, si cela o stia lievitando nelle pieghe della vita, non solo culturale, del paese. Ne fanno fede le sue interviste e anche voi di Una città ne siete buoni testimoni. Ebbene, se abbiamo voluto un po' di bene a Grazia, se l'abbiamo amata per quello che era, questa è una lezione da non lasciar perdere. - RICORDO DI GRAZIA CHERCHI Quando Grazia è morta, ero a Dubrovnik, anzi a Korcula, sulla via del ritorno. Ero a Dubrovnik quando Grazia stava morendo. Intitolavano i giornali: PANICO IN DUBROVNIK BOMBARDATA. Non era vero. Però i giornalisti erano andati lì per questo. Del resto, davvero le vicinanze di Dubrovnik erano bombardate. La bugia era una mezza bugia: appena qualche chilometro a sud o a nord del vero. I giornalisti si annoiano. Abbiamo fatto il bagno, visitato il camminamento delle mura, abbandonato alle incursioni dei drogati e ai gatti coi frammenti di statue numerati, angeli mutilati, bravi cani dalle orecchie mozzate, serpentelli sbucati d'improvviso dal fogliame in marmo bianco antico Mljet, pronti per il restauro imminenteda quattro anni e passa. Abbiamo insieme camminato su e giù per lo Stradone quasi vuoto, perché anche i ragusani avevano creduto ai bombardamenti di cui parlavano i giornali: infatti la differenza fra mezza bugia e la verità nel caso delle bombe, è assai sottile. Mentre Grazia . finiva la sua vita a Milano, in una clinica di suore, noi guardavamo le ragazze, poche, alte, bellissime, restate a guardia dello Stradone, e, così al sicuro, ascoltavano le notizie, il costo per metro quadro dei palazzi antichi, per la svalutazione delle bombe, la vasca dei delfini nell'acquario occupata dai profughi di Cavtat, il gusto dell'aperitivo d'Istria. "Starò in pensiero tutto il tempo", Grazia mi aveva detto il giorno che partivo al telefono: Grazia era persona di brusche conversazioni telefoniche, anzi, di conversazioni perfino tenere concluse sempre un poco bruscamente. Sempre, quando ci andate, tu, Gianfranco, io sto in pensiero. Sapeva, e lo sapevo anch'io che stava già finendo la sua vita? Ma non così di certo, e così presto. A Milano, poi. Avrei potuto dire che sono in gran pensiero quando i miei cari stanno a Milano, e che per lei avevo il cuore stretto. Che sciocchezza, avrebbe detto, che battuta scema. Chissà perché, mi sembrava che Grazia avesse appena cominciato, appena la sua vita migliore, il tempo nuovo più adatto a lei, strana bambina anziana. Che fosse stata fuori posto, prima, e intempestiva - già col Sessantotto, e poi con le sue anagrafi tributarie e gli eredi fedeli ed infedeli. Convocati da lei, quando toccò a loro andare fuori tempo e fuori luogo, e lei ha appeso al muro la vecchia foto ha coperto con un panno il televisore e preparato a tutti il libro adatto, lo spazzolino, uno specchio indulgente e le buone maniere, un po' severe. Dov'è andata Nora, quando è andata via? Dov'è andata Grazia, quando tutti gli altri sono andati via, e lei si è richiusa alle spalle la porta? Vedete, anche per lei, stava per cominciare un'altra vita più bella non si sa, più promettente certo, al riparo della porta chiusa. Invece Grazia è morta. Da Dubrovnik ero andato a Korcula, quel giorno ho visitato la casa natale di Marco Polo, ammesso che sia vero. Sulla torre veneziana sventolava la bandiera croata, e accanto a lei un bucato di biancheria strappata. Profughi dappertutto, ed un gran vento. Chissà a Milano, in clinica, d'agosto. Povera Grazia, si dovrebbe almeno morire, quando è l'ora di morire nell'isola di Curzola, o in montagna e le ceneri le disperda il vento. Adriano Sofri UNA CITTA' I I
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