Una città - anno V - n. 42 - giugno 1995

serbi erano nell 'ecli tìcio. L'uomo anziano venne con loro e disse: ·'Questa è un· amica". Allora il soldato chiese: ·'Non mi interessa se è una tua amica, è mussulmana o no?". Non si poteva mentire, il soldato avrebbe potuto chiedere la carta cli identità, così dissi: ..Sì, sono mussulmana". E il soldato disse: "Allora basta discutere, fuori!". Presi la valigia sempre con il gatto attaccato ai piedi, dissi: "ecco la chiave", e uscii clall' appartamento. Che fine avrebbe fatto l'appartamento? Sapevamo che delle volte era andata male. Delle volte i cetnici erano arrivati che ancora c'era la gente dentro urlando: "L'appartamento è mio, fuori!". Altre volte quando gli appartamenti venivano lasciati, perché la gente se ne andava o veniva cacciata, o anche per degli scambi di appartamenti fra Sarajevo e Grbavitza, arrivavano subito dei soldati e se non avevi lasciato la chiave buttavano giù la porta a calci. Ai vicini dicevano che dovevano portare via le medicine e dopo un po' uscivano dall'appartamento con enormj borse, così tutte le cose di valore se ne andavano per prime. Dopo ne arrivavano altri che portavano via il televisore e solo allora arrivava qualcuno che si stabili va lì. A volte anche in gruppo. Ne avevamo avuti diversi che si erano stabiliti nel nostro palazzo. Ogni volta che un gruppo si stabiliva sentivamo il rumore di cose che venivano buttate nel condotto del!' immondizia e fini vano nei cassonetti. E così, quando le signore di guardia vedevano che se ne erano andati per il loro turno di combattimento, noi mettevamo qualcosa per turarci il naso e andavamo ad aprire la porta del condotto, tiravamo fuori i cassonetti e guardavamo dentro: passapi:>rti, fotografie, diplomi, documenti. Ne facevamo un fagotto, in base ai documenti scrivevamo i nomi dei proprietari e poi li riponevamo in cantina di modo che se queste persone fossero tornate avrebbero ritrovato tutto. Con quei soldati parlavamo normalmente, ogni tanto venivano a chiederci qualcosa, con un po' di arroganza. Ma ricordo anche un bell'uomo, anziano, un tenente, che una notte in cui si sparava molto, alla mia domanda su chi stava sparando, rispose: "I nostri da questa parte stanno sparando là, e i nostri da là stanno sparando qui". Disse così. Fui una delle ultime ad uscire dall'edificio. Una donna anziana, molto robusta, venne ad aiutarmj a portare la mia pesante valigia. Il gatto continuava a venirmi dietro, e lo ha fatto per molto ... Dovevamo attraversare una strada pericolosa perché dicevano che i cecchini mussulmani sparavano ... In testa al nostro gruppo c'era il "nostro cetnico". Aveva detto a un altro soldato: "vai a guardare quell'altro gruppo, a questo ci penso io" e così ci aveva preso in consegna ... Sulla linea del fronte c'era quella parte di Grbavitza che noi chiamiamo shopping per via dei negozi: normalmente per passare di lì e arrivare al ponte, camminando normalmente, ci vogliono dieci minuti, ma noi ci mettemmo tre quarti d'ora perché ogni volta dovevamo fermarci per aspettare chi era rimasto indietro. Fermarci, raggrupparci, poi correre attraverso la strada con tutti i bagagli fino alla casa successiva. raggrupparci ancora, e così di casa in casa. Arrivati alla zona dei negozi dove sollo ci sono dei garage che non hanno altre uscite, notiamo tanti gruppi che vengono fatti entrare lì. li perché lo avremmo scoperto poi: tutti i bagagli venivano aperti e ogni cosa veniva portata via dai cetnici. Il "nostro cetnico" forse lo sapeva perché invece di mandarci verso i garage ci portò direttamente su, verso il ponte. Lì c'era un gruppo di cetnici con alti gradi e il problema tornava ad essere il marito della mia amica, quello che non voleva fare il soldato. li nostro cetnico, avvicinandosi al gruppo di cetnici, gli disse: "cercherò di farti passare, ma non garantisco". Quel gruppo di ufficiali cetnici era l'ultimo ostacolo, dopo c'era il ponte. Allora il "nostro cetnico" prese la moglie del giovane per la giacca e cominciò ad insultarla e più ci avvicinavamo al gruppo di cetnici e più si arrabbiava: "tu, balja, ti ucciderò, ti taglierò la gola ...". Così tutti guardavano la moglie, si chiedevano che cosa avesse fatto. Nel frattempo il marito riuscì, più a lato, a passare inosservato. Quando la moglie vide che il marito era passato nella terra di nessuno disse: "ok, vado, grazie di tutto". A quel punto il nostro cetnico ci disse: "adesso sarete gente di Izetbegovic". Dopo un po' di tempo i mjei vicini mi scrissero che "le sedie non si erano ancora raffreddate" quando i cetnici si trasferirono nel nostro appartamento. Ma più tardi Adela ricBvette una telefonata da un'amica che aveva lavorato con lei nell'agenzia turistica qualche mese prima, una serba molto in gamba, che era di Grbavitza ma che si era trasferita in Montenegro per sfuggire ai combattimenti. Ebbene dovendo passare da Grbavitza, di sua inizia-\ ti va, era andata a bussare ali' appartamento di Adela. E alla signora che aprì: "buon pomeriggio, una mia amica che lavorava con me, abitava in questo appartamento, così sono venuta a vedere com'è adesso ...". Ma la cosa interessante è che la donna disse: "prego, entri pure". La invitò a sedere e le offrì il caffè. Suo marito era nell'esercito e aveva due bambini piccoli e disse che usavano i giocattoli di Azra. Non riusciva a farli smettere perché erano piccoli e i giocattoli erano molto belli. Già, li avevamo portati ad Azra da ogni luogo. Però la biancheria, i lenzuoli, tutto era accuratamente riposto nella stanza da letto, e lei disse: "ho visto che qualcuno ha avuto il tempo di togliere tutte le foto dagli album". Infatti io le avevo tolte e messe in una scatola perché gli album sono troppo ingombranti da portare. "Ma ho trovato queste due in un cassetto, può farle avere lei alla signora?". Un serbo che è venuto a trovarmi mi ha detto invece che la vecchia signora era stata uccisa nel suo appartamento. Un colpo in fronte sparato da un cecchino. Dissero che erano stati i mussulmani, ma lui conosceva la posizione del suo appartamento e dove era stata trovata morta ... C'erano voci secondo cui lei e suo marito avessero molti marchi, che lei li avesse nascosti nell'appartamento in vari posti ed era per quello che non aveva voluto andarsene ... Secondo lui, mentre partiva il colpo, qualcuno era pronto a entrare nell'appartamento... • LA BATTAGLIADECISIVA 2 GIUGNO 1995 La città è ancora tesa, nonostante l'abitudine. Dopo il bombardamento dell'altro giorno, dalle 4.30 fino alle 7.00 del mattino, con decine e decine di fortissime detonazioni, Sarajevo è tornata alla sua normale quotidianità, piena di rischi ma non di paura.C'è tanta depressione e frustrazione per la strage di Tuzia dove 70 giovani sono stati uccisi e 150 feriti. Il mondo non ha avuto il tempo di impressionarsi e di reagire alla strage di Tuzia, la più grande insieme a quella del mercato di Sarajevo da quando è iniziata la guerra, perché subito c'è stata la cattura dei soldati dell'Onu. Sulle tv di tutto il mondo la notizia di Tuzia ha resistito per poco tempo. Da noi ancora tutti i giorni se ne parla e la tv trasmette immagini e interviste. I genitori e i parenti dei ragazzi -mussulmani, croati, serbi- hanno deciso di seppellirli tutti insieme piuttosto che nei cimiteri etnici e il funerale s'è svolto alle tre di notte, ptr evitare di fornire il bersaglio per un'altra strage. Le immagini di questo funerale hanno colpito molto i sarajevesi, che ora sono in attesa, come sempre dopo avvenimenti importanti che accadono fuori della città, di vedere cos'altro accadrà loro. La città è rimasta molto impressionata anche dalla notizia del sequestro dei soldati Onu da parte dei serbo bosniaci. Noi non condividiamo la politica dei paesi europei, ma siamo grati alle persone venute ad aiutarci rischiando la loro vita. Non credo che abbiate visto le immagini trasmesse dalla tv di Pale, dove si vede una giornalista serba che allunga il microfono e chiede a un soldato, credo francese, legato a un radar, se qualcuno lo maltratta. E lui risponde che no, nessuno lo sta maltrattando ... Un altro soldato, canadese, ha invece risposto che se l'Onu ritenesse utile bombardare quel radar a lui non interesserebbe, anzi. Stiamo aspettando con grande preoccupazione le prossime mosse della comunità internazionale. Quei 5000 soldati inglesi, altri 2000 francesi, tutti specialisti, commandos pronti ad intervenire, ci fanno temere sia perché Francia e Gran Bretagna si sono dimostrate finora più amiche dei serbi che della Bosnia e sia perché potrebbero avere il compito di imporre una pace immediata attraverso iIcongelamento della situazione così come è oggi, il che significherebbe premiare l'aggressione dei serbi, abbandonare Sarajevo nell'isolamento vissuto da tre anni, rendere inutili tutti i sacrifici fatti dai bosniaci. Sarebbe una grande sconfitta non solo del popolo bosniaco e del suo gov~rno, ma della comunità internazionale. Per quanto riguarda le condizioni della popolazione, queste sono peggiorate improvvisamente. Siamo senza acqua, gas, luce. Le file per l'acqua sono lunghe centinaia di metri e si aspetta per circa due ore. Questa è un' ottima situazione per chi dalle montagne spara cercando altre stragi. I vigili per la strada aiutano la gente a rifornirsi d'acqua più in fretta possibile perché il pericolo di un massacro è terribilmente concreto. E' molto caldo e senz'acqua aumentano le possibilità di malattie e di epidemie. Tutto questo rende la situazione veramente dura. Di notte la città piomba nel buio assoluto e per quel che ne so ci sono solo due o tre bar aperti. La città, in compenso, è piena di voci, nel senso di notizie che girano di casa in casa e raggiungono tutti. Proprio oggi, mentre venivo alla redazione di Dani, un amico mi ha fermato e mi ha detto che fonti Cnn danno per certa l'uccisione di Karadzic. E' successo altre volte, e naturalmente non è vero neppure questa volta. Certo, nessuno più di noi vorrebbe che fosse vero, però credo che sarebbe molto meglio riuscire a trascinarlo di fronte al tribunale per i crimini di guerra dell' Aja. Sull'ultimo numero della nostra rivista abbiamo dibattuto di una questione che tormenta tutti i cittadini di Sarajevo: sarà possibile rompere l'assedio e quando? L'abbiamo chiesto anche al presidente Izetbegovic, il quale ci ha risposto così: ci riusciremo fra il 25 maggio e il 25 novembre. Quindi, entro sei mesi. La liberazione di Sarajevo non dipende solo dai bosniaci e dal loro esercito, ma da molti altri fattori, primo fra tutti l'atteggiamento della comunità internazionale. Fino ad ora era evidente che non le interessava affatto liberare Sarajevo, ma ora sembra che stiano considerando questa opzione, forse perché sono allo stremo delle forze. Vedremo. Dal punto di vista militare la situazione adesso è questa: intorno a Sarajevo ci sono ancora più o meno 12.000 soldati serbi. Non . posso dirvi quanti bosniaci ci sono nella città . perché è un segreto militare, sono comunque più di quanti ce ne siano mai stati. Sapete che noi abbiamo sempre avuto più soldati dei serbi, ma loro erano meglio armati. Ora però, mentre la loro potenza di fuoco è più o meno sempre la stessa, la nostra è cresciuta e per questo la possibilità di rompere l'assedio è divenuta reale. Non è ancora il momento, perché esiste una vecchia regola secondo la quale una scatoletta può essere aperta solo dall'esterno ... Le cose militari più significative stanno succedendo proprio a Sarajevo. Quando il 16maggio i serbi hanno duramente bombardato la città con centinaia di granate, sono stato in giro e ho visto grandi distruzioni, vetri rotti dovunque, pezzi di muro, ma ho visto anche che i nostri per la prima volta hanno risposto. In questi anni di fronte alle migliaia di granate serbe l'esercito bosniaco rispondeva con un paio di cannonate. Questa volta la risposta è stata massiccia, si può dire che ora ogni bomba serba riceva la sua risposta, naturalmente non sulle zone abitate dai civili, ma nelle zone di importanza strategica. Questo dà il segno dei miglioramenti dell' Armja. Abbiamo anche piccoli indizi di un certo panico a Pale, di cui la cattura dei soldati dell'Onu è il più clamoroso. Ma abbiamo anche sicure informazioni di uno scontro fra le guardie del corpo di Karadzic per una banale questione di sigarette e del fatto che Karadzic è intervenuto scegliend0 personalmente nuove guardie. Poi è giunta la notizia che lui non è più a Pale, ma s'è trasferito nei bunker antinucleari che si trovano a Han Pijesak. Poi si sa che i soldati serbi catturati mangiano con molto appetito, che sono affamati. Si sa che mangiano una volta al giorno e che le sigarette sono diventate un lusso, sono vestiti sempre peggio e quasi nessuno ha più stivali. Sono cose decisive per il morale, soprattutto se sul piano militare vero e proprio le cose vanno poco bene. Il nostro quinto corpo, quello della sacca di Bihac, ha conquistato alcuni villaggi. Il secondo e il terzo si sono riuniti sul monte Ozren. Comunque, ripeto, è attorno a Sarajevo che si combatterà la battaglia delle battaglie e avverrà quando avremo raggiunto la parità ne- ·gli armamenti. (-telefonata con Ozren Kebo della redazione di [?ani) ,GONO, COME I CECCHINI dovete avere rancore. Si tratta di questo: l'indifferenza del cecchino e il dolore del padre sono della stessa intensità. Allora non sapevamo niente della nostra posizione. Non sapevano che era senza speranza. Pensavamo che per ogni bambino ucciso aumentasse la vergogna dell'Europa. Ci voleva tempo per capire che ci sarà solo una lapide in più a Sarajevo. E questa è la cosa che si deve dimenticare a qualsiasi costo. Ma non decidiamo noi cosa bisogna dimenticare o cosa ricordare. Le immagini scelgono noi. Come i cecchini. Non sono un uomo, sono solo un bersaglio nel mirino di un cecchino. Quando entri nell'autobus non sai se ne uscirai. Duecento entrano, solo centonovantanove escono, uno lo portano fuori. L'arte è mettersi il più internamente possibile nella parte sinistra dell'autobus. Abbiamo passato Elektroprivreda illesi. Anche il Bristol. Poi si arriva a Pofalici. Un punto nero. Intorno alla Facoltà di Scienze e Matematica la realtà smette di essere tale e diventa un incubo. All'inizio si sente uno sparo, poi il fragore dei vetri rotti, poi grida. Nell'autobus, non si sa come, all'improvviso si fa tanto spazio. Tutti sdraiati per terra. Tutti macchiati di sangue. In mezzo all'autobus c'è un giovanotto disteso. Si vede che dalla pancia esce sangue e si vede come da lui scorra via la vita. Senza un rumore, senza un segno, senza niente. Il giovanotto si spegne davanti ai nostri occhi. Nessuno può aiutarlo. Lo hanno portato fuori davanti al poliambulatorio di Vrazova. All'autobus si avvicina un uomo con le mani nelle tasche, parlando più a se stesso che a noi dice che tutti gli autobus prima del nostro sono finiti così. Si esprime con così tanta tristezza che ancora oggi ricordo più l'espressione del suo viso di qualsiasi altro dettaglio. A destra c'è Grbavitza, a Grbavitza lo Shopping, allo Shopping c'è un grattacielo, al grattacielo c'è il ventesimo piano, al ventesimo piano c'è un nido di Dentro Sarajevo, dentro l'inverno. cecchini, nel nido c'è un cecchino, da- In dicembre fa buio alle 16,23. La luce vanti al cecchino c'è un fucile, sul fucile manca da agosto. L'ultima speranza l'abc'è un mirino, sotto il mirino c'è un grillet- biamo lasciata in luglio. Se qualcuno in to, al grilletto un dito. Quando il dito gennaio ci avesse detto che l'anno sapreme il grilletto, nell'autobus qualcuno rebbe finito così non ci avremmo credu- Bf o rrotaeeèàa ... G In()° La ci'àdn CO nel buio della stanza non riscaldata è ridotta al minimo. Sdraiarsi, avvolgersi nella coperta e ascoltare i rumori di fuori. Nessun movimento, nessun pensiero. Fuori la vita è piena, consistente, pericolosa. Se non cadono le granate, i suoni dominanti sono quelli che fanno i bambini. In un cortile giocano a genocidio. E' molto difficile capire il meccanismo del loro gioco. Ciò che colpisce è il realismo con cui giocano. Il gioco ha senso solo se è così reale che gli stessi bambini dimenticano che si tratta di un gioco, raggiungono quel livello di coinvolgimento dove non esiste più il limite tra finzione e realtà. In genocidio questo significa che la crudeltà dei bambini dovrebbe essere reale così come la sofferenza delle bambine. Su, fino alla stanza buia non arrivano i suoni fatti dai maschietti durante il gioco, ma si sente molto bene, così disperato, così reale, così tragico, il grido della bambina: "no, per favore, non fatelo...". Dentro Sarajevo, dentro l'estate. In un caldo giorno d'agosto Sarajevo assomiglia alla campagna: il sole scotta quasi come a Mostar, silenzio totale, i cinguettii degli uccelli che si mescolano alla raffiche delle mitragliette, e dopo ancora silenzio. Quando non c'è traffico nemmeno il calore dell'asfalto sembra avere origine urbana, tutto ha il profumo della campagna, unprofumo irresistibile. Puòdurare per ore. Poi, da qualche parte compare un'auto che rompe bruscamente l'illusione rurale di questa immagine, rompe con il suo rumore l'equilibrio naturale, smuove la polvere e dopo qualche secondo scompare e non è successo niente. La strada scivola nella sua rurale tranquillità, fino alla prossima auto, o alla prossima granata. Il che è lo stesso. Nella rabbia un uomo crea tante cose. Lui è uno scrittore. Una volta lo ammiravo. Erudito, colto, cosciente delle sue capacità, con un rapporto ironico con la realtà. Aveva tutto ciò che serve per conquistare il suo impegnativo mestiere. Quando la guerra è iniziata è andato su con i primi. Adesso sta a Pale. Un giorno, quando la neve cadeva, ero dietro ad un uomo che in cariola portava il suo figliolo. Erano 5 o 6 metri davanti a me. Quando sono sbucati all'incrocio il cecchino ha sparato e ha spaccato la testa del bambino. Ero terrificato dall'immagine, ho giurato dentro di me che prima o poi ucciderò lo scrittore. Il tempo passa, le ferite si rimarginano. Adesso ci vorrebbe una ripetizione di questo giuramento. I maratoneti corrono il giro di vita. In questo quartiere sperimentale il camminare è una disciplina dimenticata. Tutti corrono. Appena lasciate il condominio incominciano le scommesse. La posta è tre per uno per Mitar, il vostro personale cecchino, che si alza prima e va a letto dopo di voi. Per questo ogni passaggio del ponte riuscito dà una doppia soddisfazione: siete rimasti vivi e hanno guadagnato quelli che dopo tutto ancora credono in voi. Quando questa strada la fa una donna o un vecchietto la posta cambia: quattro per uno. Ovviamente in favore di Mitar. Allora c'è un po' di speranza. C'è, come non c'è. Il grande slogan è adattarsi e non fuggire. Continuare e non arrendersi. Più le circostanze sono contro di voi, più si esprime la vostra forza interiore. Nessun paese si è mai sollevato se non si era prima purificato nel fuoco della sofferenza. E avanti così. Se questo vi lascia indifferenti, mettete lo zaino sulle spalle e andate verso il buco. Vi aspettano così tanti piatti non lavati. .. Ozren Kebo (da Dani, mensile di Sarajevo) UNA CITTA' 9

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