Una città - anno V - n. 42 - giugno 1995

un ,nese di un anno Buone notizie? Forse gli assassini si sono stancati, forse hanno il morale basso. L'amico Ozren ci racconta che quelli catturati avevano fame, una divisa malconcia ed erano senza stivali. Speriamo bene. Forse l'ora della battaglia per liberare Sarajevo si avvicina. Mentre scriviamo si racconta di colonne di soldati dell'armata bosniaca che si avvicinano alla città. Il loro morale lo dicono alto, finalmente possono combattere per difendere i loro cari, le loro case, per vendicare i morti, per costruire un paese. Finora non l'avevano potuto fare perché disarmati. Speriamo che le armi siano arrivate e non solo grazie a chi le fornisce anche ai fascisti islamisti algerini. A prezzo della vita quei giovani bosniaci, insieme alle donne algerine, stanno difendendo, con il loro, un futuro per l'Europa. Gli uni e le altre sono soli a farlo in questo momento. Un vero peccato che alla battaglia per Sarajevo, se ci sarà, non partecipino anche reparti di idealisti europei. Ma da noi ancora si parla di equidistanza, si predica di stare sopra le parti. Non si misurerà mai abbastanza il male che ha fatto l'abuso dell'espressione "guerra civile". In Bosnia come in Algeria più il crimine è diventato efferato, più la prepotenza è rimasta impunita e più si è affermata l'idea che ci trovassim() di fronte a crudelissime guerre civili. Sgozzare liceali in jeans è guerra civile? La rivolta del ghetto di Varsavia, Auschwitz perfino, per certa gente sarebbe stata guerra civile, europea s 'intende! Mai concetto fu più comodo per starsene alla larga dal luogo dove l'inerme agonizza per mano del prepotente. D'altra parte suona troppo bene "calamità naturale", tant'è che si mandano pacchi ai poveretti. Lejla Music ci racconta come nel suo condominio non ci fu alcun segnale di guerra civile, i banditi venivano da fuori, entrarono da fuori. Eavevano idee chiare, progetti politici precisi e puntavano dritti ai fatti compiuti. E avevano dalla loro il fattore sorpresa. Chi avrebbe potuto immaginare tanto? Ma può essere guerra civile la caccia di una j di un nome? Se è Le/a passi, se Lejla sei deportata? Non ci ricorda nulla l'accanimento sul cognome in Europa? Non capiremo mai quale calcolo politico ha fatto ritenere a chi di dovere che, all'intervento dei propri soldati, fosse preferibile l'accettazione che in Europa, sullo sterminio e sull'esodo di intere popolazioni, nascessero stati etnici e razzisti. Di certo, così facendo, abbiamo detto al mondo, e soprattutto agli altri mussulmani, che i diritti umani sono un fatto etnico, valgono solo per noi, sono una specie di lusso, di nostra comodità. Ma già, Hannah Arendt aveva messo in guardia dal blaterare troppo di universali e occuparsi poco di passaporti! A parte quelli accecati dall'antiamericanismo, chi non s'è commosso per il salvataggio dell'americano? Quella caparbietà nel cercarlo, quell'accettazione di un rischio altissimo per tanti pur di salvare un solo uomo in pericolo, poi la modestia del giovane, l'onore reso ai compagni anonimi che hanno rischiato per lui ... Però che schiaffo alla miseria bosniaca! I ragazzi di Tuzia, che i g~nitori croati, serbi emussulmani hanno voluto insieme al cimitero, sono stati dimenticati nel volgere di quattro immagini veloci di Tv. Allora una cosa forse poteva risparmiarsela il giovane aviatore: di dire quel "grazie a Dio". SeDio avesse anche solo mosso un dito, se solo avesse avuto tempo per accorgersi dei pericoli che correva l'americano, allora sì, avrebbe dato prova di essere quel mostro fatto a immagine e somiglianza dell'uomo che tanti sospettano. Ma di che ci si lamenta? Dall'Algeria alla ex-Jugoslavia il nome di Dio è nominato ben altrimenti che invano. Buone notizie. Nella casa di Ade/a, occupata da una famiglia serba, le sue cose sono ordinatamente riposte in una stanza. Fosse vero che le donne in questi tre anni si fossero prese cura delle cose degli abitanti di prima salvatesi dai saccheggi della soldataglia. Che non avessero mai accettato di buttarle via edi ambientarsi in casa d'altri. Sarebbe una premessa per un futuro da ricostruire. Sarebbe la prova che non c'è stata alcuna guerra civile. La grande stabilità dell'elettorato italiano malgrado tutto il nuovismo degli ultimi anni. Non ci si sposterà dal S 1-49%. Il fallimento di tutti gli obbiettivi della riforma elettorale. I cambiamenti epocali nel tessuto socioeconomico del paese. La fortissima divaricazione fra redditi, fra nord e sud, fra Italia e Europa. Intervista a Andrea Vannucci. Andrea Va11nucci è ricercatore all'Eurisko. Insieme a Gabriele Calvi ha scritto L'elettore sconosciuto - Analisi socioculturale e segmentazione degli orientamenti politici nel 1994, uscito per le edizioni de Il Mulino. Dalla vostra ricerca sembra uscire un quadro di grande stabilità nei comportamenti elettorali degli italiani? E' così? li problema consiste nel capire se le determinanti del consenso e dell'opinione, che sono di per sé dei fenomeni solitamente molto stabili e dure voi i, siano effettivamente cambiate e in che misura, oppure se ciò che appare così drasticamente innovativo sia in realtà una manifestazione esteriore ed episodica del1' opinione. Ovverosia: abbiamo cambiato tutti i partiti, tutto sembra nuovo, ma le persone, le loro esigenze, le loro opinioni, il loro retroterra culturale bene o male non è che siano stati presi e rivoltati come un calzino; i milioni di italiani che votano oggi al 90% sono gli stessi elettori che votavano due, tre, cinque anni fa. Sono cambiate solo le forme esteriori dell'affiliazione politica, oppure è cambiato qualcosa anche alla radice? Per esempio, il famoso elettorato centrista da cui tutti vorrebbero prendere qualche percentuale, è pur sempre iIgrande elettorato cattolico, anche se si fa a gara nel dargli altre denominazioni per appagare il senso di "nuovismo". Esso è banalmente rappresentato dalla forza dei pensionati, delle persone di una certa età, delle persone che frequentano la chiesa. Che poi la forza ideologica e l'evidenza culturale di questo gruppo non siano più così forti, al punto che non si riconosce manifestamente una sua identità, non vuol dire che le persone non si ritrovino vicine quando si va a fare un'analisi socio-culturale intorno ai loro valori, alle loro idee sulle persone, sulla famiglia, sul senso della partecipazione e del- (' individuo, sull'etica. Credo che qualcosa alla radice sia cambiato, ma molto meno di quanto la propaganda e la comunicazione vogliano far credere. Lo scenario che emerge è più riconoscibile come risultato del vecchio scenario di consenso politico ed affiliazione partitica che non di uno nuovo. Gli elettori, come fossero orfani di una affiliazione, sembravano alla ricerca di una nuova collocazione, che rispecchiasse, però, quel la vecchia. La gente sente di aver cambiato, vuole sentire di cambiare e quindi le si offre una merce, che costituisce l'interpretazione del cambiamento, ma in una profusione di gran lunga sovrabbondante rispetto al cambiamento reale. Non ci vuole un poi itologo per vedere che, consumato questo grande circo del cambiamento, in realtà nelle ultime elezioni amministrative tutti i partiti e tutti gli schieramenti hanno fatto a gara nel recuperare i personaggi più credibili, tranquilli e continuisti delle formazioni politiche passate. Abbiamo avuto candidati di destra e di sinistra che erano un democristiano e un democristiano; e questo non in un collegio, non in due, né in cinque, ma in tutti, da Milano a Roma. Evidentemente questa esigenza di rientrare un po' nei ranghi rispetto alla grande kermesse del cambiamento è stata ben recepita dalle forze politiche. un elettorato mai stato avventurista Ora nessuno si azzarda a proporre personaggi estemporanei o realmente innovativi. Perché? Perché la gente fa festa, ma poi torna a lavorare. Certamente, il problema di alcuni partiti che hanno cavalcato l'onda del rinnovamento è di giustificare adesso la loro collocazione e il loro consenso, una volta diventati qualcosa di storicizzato: è iIproblema del la Lega e presto sarà il problema di Forza Italia. Trasformare il tifo da stadio in un sostegno a lungo termine è un problema di fidelizzazione definitiva, di servizio e di risposta. C'è spazio ancora per exploit di tipo innovativo? Secpndo me poco, perché comunque l'elettorato italiano non è assolutamente avventurista, non lo è mai stato e dubito che lo sarà mai. Per un certo periodo è stato solo intrigato da questo modo dr comportarsi. Un altro risultato interessante ricavato dalla nostra ricerca è stata l'assoluta multi-dimensionalità delle logiche di posizionamento del consenso: tutto sommato l'asse destra-sinistra, e l'esasperazione maggioritaria bipolare che cercava di dare allo scenario politico, non sembra affatto rendere giustizia della varietà di opinioni e di collocazioni socio-culturali dell'elettorato italiano. Rispetto alla grande novità di Forza Italia, la vostra ricerca cosa ha evidenziato? Un dato interessante che emergeva dalla ricerca concernente Forza Italia era l'importanza della macchina propagandistica e pubblicitaria super-efficiente messa in campo da Berlusconi: l'elettorato di Forza Italia risulta essere, per configurazione e. prima ancora, per composizione, un grandissimo successo di comunicazione di mercato. Basterebbe ricordare che la concentrazione di ascoltatori di Canale 5 e Rete 4 nel l'elettorato di Berlusconi era del 130% superiore rispetto alla media nazionale e, a meno di non credere all'idea abbastanza idilliaca che nell'ascolto televisivo la "proposta culturale" autoselezioni delle opinioni sulla vita, sulla politica e sulla socialità, c'è da concludere che effettivamente la propaganda degli spot ha funzionato. Ma ci sono altri tratti estremamente curiosi: quello di Forza Italia è un elettorato che deve molto, in quota percentuale, al recupero al voto di persone che non esprimevano orientamento politico, che manifestavano totale disinteresse, addirittura rifiuto, verso la dimensione del dibattito, del l'informazione. L'elettorato di Forza Italia è l'unico elettorato in cui si ravvisa un 'incidenza sotto la media nazionale di persone che leggono i giornali. Quando si fanno le indagini politologiche inevitabilmente chi esprime un consenso per questo o per quello è mediamente una persona informata, di alto posizionamento culturale rispetto alla media, tant'è vero che nella ricerca bisogna di solito operare dei correttivi per cercare di capire come si posizionano gli altri. Ebbene, con Forza Italia abbi amo rotto questa decennale tradizione e abbiamo finalmente trovato un elettorato in cui ci sono meno lettori di quotidiani e meno persone che discutono di politica, che si confrontano, scambiano opinioni o seguono l'informazione politica in televisione e in radio, che nella media nazionale. Direi, quindi, che le dimensioni del grande successo propangandistico di Forza Italia sono dovute a tre fattori: una grandissima incidenza della propaganda televisiva, la capacità di recuperare al voto dei target che solitamente rimangono ai margini rispetto alla politica e, infine, un'affiliazione basata sull'entusiasmo. Mettendo in moto meccanismi di carattere imitativo e di entusiasmo nel sostegno al vincente, Berlusconi, con Forza Italia, è riuscito a trascinare con sé una serie di elettori che solitamente sarebbe rimasta più pavida. Non è un caso se Berlusconi ha inaugurato un sistema, che come professionista mi offende e mi inorridisce, di utilizzo dei dati di sondaggio non tanto per pianificare o per progettare -il che sarebbe quanto meno corretto, nessuno vieta a chi vende merendine di studiarsi i propri consumatori, figurarsi se si vieta a una persona che fa una proposta politica di cercare di calibrarsi su una domanda-, quanto per mettere in moto un banalissimo meccanismo di esaltazione dello spirito imitativo: a tutti fa piacere partecipare a un successo. Questa cosa è profondamente antidemocratica, perché trasforma l'entrata nel seggio elettorale, da una manifestazione di opinione, a un esercizio di pronostico. Invece quando io manifesto un voto non dovrei neanche sapere se vinco o se non vinco o comunque saperlo dovrebbe essere ininnuente. Non è un caso se in tutte le costituzioni degli stati civili c'è scritto che il voto è unico e segreto. Mi sembra di capire che anche la persistente pluralità di posizionamenti contraddica I' aspirazione a un maggiore bipolarismo e quindi a una maggiore governabilità, in nome delle quali la riforma elettorale era stata fatta ... In realtà, si poteva cambiare la situazione mutando la logica di affiliazione: dall'etichetta di partito alla leadership personale. Che era, se vogliamo dare credito a ciò che racconta, l'idea primigenia del buon Mari otto Segni e che, per colpa sua o per colpa di altri, è naufragata. In realtà tutti gli obbiettivi della rivoluzione della legge elettorale (garantire governabilità, semplificare il quadro istituzionale e diminuire il numero di partiti, aumentando il contatto fra rappresentante e rappresentato) sono stati clamorosamente mancati. Perché? Se si voleva governabilità, la si otteneva banalmente facendo le elezioni separate per l'esecutivo e per l'assemblea legislativa come avviene in tanti paesi, senza violentare la rappresentanza legislativa. un parlamento tagliato con l'accetta? Si è cercato, invece, di fare un parlamento tagliato con l'accetta, sperando che sapesse poi sostenere la legittimità di un governo più saldamente insediato. Ciò non è avvenuto perché il Parlamento in questo momento non riesce ad esprimere, -grazie a Dio aggiungerei-, delle maggioranze talmente abissali da sostenere nel bene o nel male un governo, qualsiasi cosa succeda. Oltretutto, molti meccanismi costituzionali che dovevano supportare la nuova filosofia della rappresentanza elettorale non erano stati affinati. Della semplificazione del quadro istituzionale e della riduzione del numero dei partiti non ne parliamo. I partiti deprivati del meccanismo del voto di lista hanno trovato il modo per giustificare una loro presenza estremamente numerosa, perché è bello avere una diversificazione nella gamma prodotti, anche se poi materialmente le case produttrici sono due. Questo lo insegna il marketing: alle persone fa piacere scegliere in uno scaffale Abbonamento ordinario a 1Onumeri di UNA CITTA ': 40000 lire. Abbonamento sostenitore: 100.000 lire. C.c. postale n.12405478 intestato a Coop. Una Città a r.l., via Ariosto27, Forlì Una copia: 5000 lire. A richiesta: copie saggio. UNA CITTA' è nelle librerie Feltrinelli. Redazione: p.za Dante 21, 47100 Forlì -Tel. 0543/21422 Fax 0543/30421. UNA ClffA'

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