Una città - anno IV - n. 36 - novembre 1994

• • '" osn,a La situazione disastrosa, gli aiuti arrivati alla rinfusa, a volte inutili, l'importanza di lavorare alle piccole cose, anche insieme fra est e ovest. La necessità di aiutare materialmente i mussulmani in condizioni di vita disastrose, e psicologicamente quei croati che non approvano la divisione. Il rispetto delle differenze culturali. Intervista a Enzo Piperno. L'Arei Cultura e Sviluppo (Arcs) è una Ong impegnata in progetti di ricostruzione materiale e di pacificazione a Mostar. Enzo Pipemo è il responsabile di questi progetti. Quali obbiettivi avete dato alla vostra presenza a Mostar? Il primo obbiettivo è un progetto sanitario, nato quando ancora croati e mussulmani si combattevano. e che riguarda l'ospedale Jenski. Quest'ospedale si trova nella zona est, mussulmana, della città e durante la guerra è stato più volte bombardato. Le condizioni mediche e dei ricoverati erano indicibili: i pochissimi medici rimasti operavano al lume di candela, i pazienti erano nei sottoscala. Per le radiografie, che erano la cosa più importante dato che si faceva soprattutto chirurgia di guerra, non c'era nemmeno una camera schermata, per cui si "sparavano" le radiazioni in mezzo ad un corridoio e per evitarle avevano tentato una schermatura togliendo le lastre di piombo dal tetto di una moschea bombardata. Il progetto di sostegno a questo ospedale è stato finanziato dall' Organizzazione Mondiale della Sanità e ora stiamo operando in stretto collegamento con I' amministrazione europea della città. Naturalmente il progetto è stato riadeguato alla nuova fase, in cui non c'è guerra, ponendo tre obiettivi: uno, sempre di sostegno ai laboratori degli ospedali, perché siano in grado di fare analisi, un altro di sostegno alle strutture sanitarie di base, un terzo di riorganizzazione del magazzino dei farmaci. Vorrei che si riflettesse su quest'ultimo punto, perché l'esperienza che abbiamo fatto può insegnare molte cose a chi organizza gli aiuti a popolazioni colpite da calamità, terremoti o guerre che siano: nella parte est sono arrivate donazioni di vario tipo, alcune assolutamente essenziali, come il cibo, ma anche grandi quantità di materiale sanitario veramente assurde. Ancora adesso, nell'ospedale Jenski, si trovano macchinari che non si sa cosa siano, non si sa da dove provengano, senza un libretto di istruzioni, non si capisce come debbano funzionare. E' arrivato anche un ospedale da campo dal Sudafrica, chissà per quale via, che ha girato per circa un anno e mezzo per la Bosnia. prima di arrivare a Mostar, dove è stato allestito dentro una serie di containers. Cerano due macchinari per le analisi, abbastanza sofisticati, del costo forse di trecento milioni l'uno, che non si sapeva come far funzionare. Dopo lunghe peripezie abbiamo saputo che la macchina è fuori commercio da otto anni, richiede almeno una manutenzione al mese. cosa impossibile in quelle condizioni, e ci hanno consigliato di metterla da parte. Una città devastata da una guerra che ha distrutto quasi interamente la zona est e che ha fallo crollare tutti i ponti sulla eretva. non è in condizione di ricevere aiuti che non siano bene organizzati. Nel giro di poco tempo nella città sono sorti alcuni centri di raccolta di medicine di tulli i tipi, non classificati, non organizzati e quindi quasi inutilizzabili. Chi sapeva dove trovare il tale medicinale? La corsa alla solidarietà, se non incanalatacorrettamente, rischia di creare prù difficoltà di quelle che può risolvere. Un'altra lezione appresa è che i gruppi e le associazioni presenti in un teatro di guerra devono assolutamente coordinare i loro sforzi, per evitare una duplicazione degli interventi ed uno spreco di fondi ed energie. Puoi spiegare cosa avete fatto in concreto? Abbiamo cercato di rispondere in pratica a quello che lì si chiedeva. Torno all'esempio del magazzino dei farmaci: ci siamo fatti regalare un computer da Milano, un furgoncino ce l'hanno regalato da Matera, una scaffalatura è arrivata da Siracusa, il frigorifero da Afragola, abbiamo fatto venire una persona da Milano per un corso sul computer, e così siamo riusciti ad organizzare il magazzino dei farmaci, arrivando fra l'altro a stringere profondi rapporti d'amicizia con quelli che lavoravano in questo magazzino e ad entrare in buoni rapporti con le autorità sanitarie ad est. Però ci siamo anche posti il problema di non lavorare solo ad est, una scelta oggi irrinunciabile, se si vuole fare effettivamente un'opera che punti alla pacificazione. Non c'è dubbio sulla disparità delle condizioni materiali, ma anche questo tutto sommato è relativo. Il problema vero è di concepire qualunque cosa si faccia in modo da comprendere le due parti della città. senza favorirne una. Un errore di questo tipo rafforzerebbe fra l'altro nella parte ovest le forze contrarie alla pacificazione, con conseguenze al la fine negative per tutti. Qual è stata la tua impressione appena arrivato in città? Noi siamo andati subito ad est. La parte est di Mostar, dopo la divisione, poteva avere rapporti solo con r interno della Bo nia, dove fra I'altro continuano i comba1timcn1i, quindi era una specie di riserva indiana. Prima di entrare nella città. bisognava attraversare due posti di blocco, controllati stre1tamcn1c dagli crzegovincsi, quindi niente poteva arrivare a Mostar est, se non concordandolo con gli crzegovi nesi, il che significava, per le organizzazioni internazionali, lasciare loro una buona pane di ciò che portavano. Un'altra cosa che mi aveva impressionato erano le file di armadietti metallici delle scuole, degli uffici, pieni di sacchi di terra, messi nei punti aperti delle strade dove dalle colline potevano sparare i cecchini. Il nostro compito era quello di entrare in contatto con la situazione sanitaria della città. Uno dei primi medici conosciuti era un epidemiologo, un anziano signore mussulmano, di una vecchia famiglia mostarina, assolutamente disincantato rispetto alla politica, tipico di chi ormai ne ha viste tante, con un atteggiamento critico anche rispetto al comportamento degli stessi mussulmani e alle responsabilità delle forze dell'Sda, il partito nazionalista di lzetbegovic. Il nostro rapporto è cominciato dal fatto che, appena gli abbiamo chiesto notizie sulle malattie. lui ci ha risposto "non vi dico niente, parlerò solo quando mi avrete portato dei prodotti per la derattizzazione". Nel giro di 4-5 giorni gli abbiamo procurato quello che ci aveva chiesto, e da lì è nato un buon rapporto che poi è diventato di vera amicizia, e lui è ora uno dei primi interlocutori del nostro lavoro. Poi mi ha impressionato il fatto che nessuno si sia mai lamentato di come sono stati distribuiti gli aiuti: una struttura organizzativa periferica, forse un'eredità del vecchio sistema socialista, consenti va a tutte le persone di avere le stesse quantità di cibo. e quindi si sentiva nella città una fortissima compattezza. Il mercato nero è cominciato dopo, adesso è soprattutto fra serbi e croati. o fra serbi e mussulmani. Durante la seconda guerra -la prima è stata quella fra serbi da una parte e croati-mussulmani dall'altra- a Mostar, non esisteva. La seconda guerra è stata qualcosa, a mio parere, di inimmaginabile, nel senso che, pur con tutto quello che si diceva del riconoscersi in un'unica città, la gente si sparava su quella che era staia la via principale, uno di fronte all'altro. E' stata una tale, violenta, guerra civile urbana, che non c'è stata la possibilità del mercato nero. Erano possibili forme di solidarietà, di comunicazione, di gente che si ricono<,ccva e si aiutava, ma non c'era mercato nero. Un'altra cosa che mi ha impressionato al mio arrivo, è stata la differenza fra est e ovest. In entrambe le zone c'è una quantità di gente armata. ma mentre ad est senti che è un modo di muoversi come gli altri. uno stato di necessità, non c'è una polizia interna. o magari c'è, ma il controllo della società non avviene attraverso quelle armi, ad ovest c'è una maggiore stabilizzazione della società, c'è la polizia, c'è l'esercito, e lì si vede che le armi contano, pesano sulla gente. Il loro ruolo preciso, definito, ha il suo peso nella determinazione dei comportamenti sociali. Ad ovest si sono costruite strutture militari formate in molti casi da vecchie bande che hanno fatto la pulizia etnica, bande i llcgal i: è a<,solutamcntc c<,plicito che C'>i!>ICuna commi'>tionc fra le bande armate illegali e le bande armate integrate ncll'cscrci10. con un potere di ricatto fortissimo, rispcllo alle scelte che vengono compiute. Ad ovest la vita è più normale, ma c'è anche più paura, più sospetto. li ruolo della chic<,a croata cd cr1,egovinc<,c è sicuramente un elemento chiave di tutta la storia. Si vedono in giro giovanoti i poco ra!>sicuranti, strafot1en1i, con macchine enormi, con appeso lo stemma dell'Erzegovina e un crocefisso; quando vedi un crocefisso su una macchina di grossa cilindrata, 1.aiche dcvi stare attento. Certo non si può identificare la Chiesa con questi, ma indubbiamente nella religione c'è una identificazione etnica forte che dà giustificazione a certi comportamenti criminali e se capita di parlare con loro. si capisce; defini<,cono i mussulmani ··primitivi", c'è l'idea della barbarie dall'altra parte: "noi siamo la civiltà, siamo la cultura, la tradizione, gli altri non hanno niente"; poi ovviamente arriva la semplificazione: '·sono fondamentalisti". Tutto questo chiaramente non può essere solo il frutto di un prete fascista, ma affonda le radici nella storia da 500 anni a questa parte, è parte di una ba11aglia combattuta per secoli con identificazioni di questo tipo. lo credo che di fronte a questa realtà noi non dovremmo avere nessun atteggiamento di schieramento, ma di apertura verso tutti. Proprio se si riconosce la profondità di queste identificazioni, se se ne prende atto, bisogna tentare di svolgere una funzione positiva di allentamento, di capacità di rapporti e di relazioni, per cui penso che la presenza sociale diventi addirittura più importante ad ovest che ad est. Dovessi fare una scelta, sceglierei di investire delle risorse e dei materiali per ricostruire sopra11u110ad est. perché è più dis1ru11a,ma investirci soprattutto ad ovest risorse umane e capacità di wegliarc forme di partecipazione sociale. on è stato risparmiato neppure il vecchio ponte, lo Stari most... Gli abitanti di Mostar hanno vissutoque<,to abballi mento del ponte in modo angosciante. La gente è rima1.ta lì, a guardare, mentre bullavano giù il ponte a cannonate, e penso che l'abbattimento del ponte abbia significato veramente la fine di questa città. Sono convinto che non esi<,tcrà più quella città, non ci sono le condizioni, non perché non è possibile che croati e mussulmani <,tiano in!>icme, ma perché cambia la città, in un modo irreversibile. Secondo me la cosa vera che sta succedendo a Mostar è che finisce un'idea, una concezione del la cillà, che non è idilliaca, ma è in qualche modo simile alle città meridionali; cioè una città fondata su una ricchezza determinata anche dalla zona economica circostante, non una città vissuta in funzione dei ruoli produttivi, ma in funzione di una serie di ruoli professionali e quindi non legata solo a processi in cui il denaro è la cosa prevalente. Questa svolta di Mostar è avvenuta nel tempo: la città. nel giro di 20-25 anni, è passata da 60.000 a 120.000 abitanti. Questa crescita è legata ad una industrializzazione ma siccia. Nell'area di Mostar lavoravano circa 50.000 operai, in fabbriche di una certa consistenza. E anche nello sviluppo urbano della città si trova una crescita simile a quella di alcune città meridionali italiane. E tutto questo è legato ad un mutamento di ruolo della città, e non è un caso che le forze più protagonistedellaguerrasianolegatea questo nuovo sviluppo della città. Sono le forze della città, dell'industrializzazione, le categorie protagoniste del cambiamento e della volon-

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