Una città - anno IV - n. 30 - marzo 1994

Bi no occidentale, si prova un po' a vedere cosa c'è al di là di alcuni confini immaginari. Questa è forse una delle motivazioni più diffuse dell'avvicinamento al buddhismo, ma è anche una delle più pericolose, perché fa un investimento eccessivo di aspettative, nel senso che il buddhismo stesso mette in guardia nei confronti dell'attaccamento eccessivo ali' idea di salvezza. Il buddhismo dice che se ci stacchiamo dall'idea stessa di salvezza allora forse possiamo salvarci, inversamente diventiamo degli intolleranti, dei dogmatici. Se mettiamo Buddha al posto di Cristo o di Allah il meccanismo mentale è sempre lo stesso, la tensione è sempre la stessa. Il buddhismo in questo è veramente sconvolgente: mette in guardia non tanto sul contenuto del desiderio ma sul desiderio in quanto tale. in guardia contro il desiderio, non con il suo oggetto Per il buddhismo i desideri vanno non solo diminuiti di intensità, come nella tradizione stoica: è necessario togliere la radice stessa del desiderio e cioè la soggettività, equesta è la cosa più difficile, perché, se noi reprimiamo i desideri o le passioni, vuol dire che questa repressione è fatta da qualcuno e questo qualcuno si rafforza nel reprimere. Questo aspetto era ben chiaro ai "padri del deserto" cristiani. Le Tentazioni di S. Antonio in questo senso dicono una cosa verissima: tanto più la passione viene respinta tanto più l'anima si rafforza. Ma su questo aspetto il buddhismo dice qualcosa che, dal nostro punto di vista o dal punto di vista della tradizione cristiana, è assurdo: dice che la passione non va repressa perché in questo atto di repressione si rafforza sia la passione che, soprattutto, la potenza dell'anima del repressore, per cui anche le passioni vanno lasciate essere, senza che ci travolgano. Questo lasciar essere per il buddhismo è un lasciar essere che indebolisce contemporaneamente la passione e il soggetto. Questa concezione vuol dire pensare alla nostra vita come a una cosa che non si risolve mai, quindi come un continuo stare dentro ali' angoscia ... Certo, questa concezione è angosciante se pensi che la vita debba compiersi, ma se pensi che la realtà è incompiuta perché è infinita, allora il vivere diventa, in positivo, un "appropriarsi" dell'improprio, di una realtà che non ha confini, per cui tu puoi sentirti come un nodo di una rete di infiniti fili. Per esempio, dal punto di vista genetico, tu sei la risultante di una serie di fili e, contemporaneamente, dirami da te una serie di fili e così dal punto di vista psicologico, culturale, perché in te confluisce un linguaggio, una tradizione, anzi una serie di tradizioni. Se pensi all'individuo come ad un incrocio, come ad un nodo, non hai più l'angoscia di essere un punto: il punto appare allora come una astrazione convenzionale, comoda per dare sicurezza. Se tagli via tutti i fili e fai finta di essere un punto, attui un' astrazione, una "castrazione" nel senso che tagli i rapporti che in ogni momento ti costituiscono. Essere e rimanere punto è poi difficilissimo: bisogna che continui a tagliare quelle innervazioni che continuamente si riproducono; non è meglio, allora, fare a meno di tagliare? Non è meglio cercare di vivere la relazione nei modi più ampi possibili, rendendosi conto che si è un sistema di relazioni che cambia, che si muove, ma che, comunque, ha sempre un baricentro che è plurimo, molteplice, che si sposta nel tempo, che cambia, ma che c'è? Tutto questo significa capire la complessità della vita, non la sua assenza; è una condizione che è il contrario dell'incoscienza, è essere coscienti al massimo grado, essere coscienti che non solo si è qualcosa, ma si è qualche cosa che dipende da tutto. Questa autocomprensione di sé, del vivere, che in qualche modo si è stratificata nella tradizione orientale come ha reagito al rapporto con l'Occidente? Il Giappone, per esempio, fino al 1868, era chiuso, non entrava niente, dal 1945 è esattamente il contrario, entra tutto. Ma bisogna ricordare che il Giappone è stato un paese ad altissimo tasso di assorbimento selettivo: ha importato un' intera civiltà, quella cinese, e dal VI° secolo dopo Cristo fino al 1200 ha importato praticamente tutto-scrittura, poesia, pittura- però filtrando ed ha così plasmato tutta la sua identità con identità straniere. Il Giappone ha importato anche la civiltà industriale -metodi, sistemi di lavorazione, eccetera- però anche qui, come ha fatto per la scrittura cinese, l'ha elaborata in maniera autonoma. Certo, la catena di montaggio c'è in tutte le fabbriche, però, il loro sistema di decisione, il loro sistema di relazioni aziendali, è completamente diverso, è ancora radicato nella tradizione. Per esempio, il Consiglio di Amministrazione di un'azienda giapponese è ancora molto simile a una riunione di dignitari feudali: la decisione finale non è mai determinata dalla scelta di uno solo, ma nasce da una lunghissima consultazione fra tutti i componenti. in Giappone la decisione finale è sempre collettiva Per questo le prime volte che gli occidentali avevano a che fare con i giapponesi rimanevano allibiti: arrivava una delegazione di 6-8 persone e quando gli imprenditori veneti o lombardi chiedevano al presidente cosa avesse deciso, questi si appartava con gli altri, a volte anche per ore, e poi arrivava uno che diceva "Abbiamo deciso così". Questo aspetto della scarsa considerazione per l'individuo in sé, autonomo, è anche nella tradizione cinese in cui un uomo non esiste di per sé: esiste come padre o come figlio, cioè come relazione, e quella familiare è quella più importante, più radicale. In Oriente non solo le persone non sono qualche cosa di delimitato, ma anche tutte le cose sono considerate relazioni, processi, qualche cosa in movimento: non c'è niente di non vivo. Questa è una concezione completamente diversa dalla maggioranza delle nostre interpretazioni filosofiche o religiose per le quali è molto più importante l'idea di sostanza che quella di relazione o di processo. Pensate soltanto alla grande difficoltà che avevano i gesuiti nel1'evangel izzazione del Giappone o della Cina, dovuta al concetto di creazione divina: per Indiani, per Cinesi e Giapponesi la creazione come fatto compiuto non esiste, non può esistere, perché, essendo l'idea di processo quella fondamentale, la "creazione" c'è da sempre, l'Assoluto continua a produrre; e quindi non c'è la "creatura", che è sempre anch'essa. E da questo modo di pensare che dipende anche il fatto che per loro non ci sia nemmeno iIproblema della colpa o del peccato. Questo modo di essere è ancora costitutivo per l'Oriente? Il Giappone, ad esempio, pare essersi molto occidentalizzato ... Questa è una domanda molto complessa che comporterebbe una risposta altrettanto complessa. Innanzi tutto bisognerebbe cominciare col chiedersi che cos'è "Occidente". Alcune cose sono evidenti: la società industriale, la tecnica, la forma di governo, la democrazia; ma l'Occidente è anche tante altre cose: se si va a Saigon o a Taipei le magliette, le radioline, le scarpe da tennis, si vedono e ti viene da pensare che l'Occidente ormai si è imposto dappertutto; ma bisognerebbe andare a scavare più a fondo, andare a vedere se e come si è modificato il sentire, il percepire la vita, i ritmi ... Effettivamente il giapponese, per esempio, ha assimilato alcuni modi di comportamento occidentali, americani, ma è così o è solo una facciata? Alcuni sostengono che il consumismo, per esempio, non è passato in Giappone, che è una delle civiltà industriali meno consumistiche. Anche la psicoanalisi fa fatica a entrare in Giappone per alcuni fondamentali motivi storico-culturali: per esempio, la figura del padre in Giappone non conta; è la madre che ha la stessa funzione che nelle analisi di Freud ha il padre. Quindi quando noi, parlando dell'Oriente, diciamo "occidentalizzato" parliamo probabilmente di quello che vediamo in superficie. In India questo è evidente: al fondo nessun indiano si è anglizzato; questo l'aveva già capito Gandhi, il quale aveva compreso che la grande forza di questo popolo è quella di poter permettere tutto, non rinunciando tuttavia alla propria identità, perché la propria identità è proprio quella di permettere tutto. Quindi non vedrai mai un indiano vestirsi come un inglese anche a grandi livelli di ricchezza. Non solo: si potrebbe anche dire che, nel rapporto con l'Occidente, c'è una orientalizzazione dell'Oriente stesso. Faccio un esempio. L'invasione buddhista che c'è stata negli Stati Uniti è un fatto storico molto rilevante; a questo proposito un giapponese, in una frase, mi ha rivelato una cosa che non avrei mai pensato e cioè che molto probabilmente i Giapponesi riscopriranno le radici della loro tradizione quando importeranno la loro tradizione che è emigrata fuori. noi vediamo solo l'invasione della coca cola Infatti molti monasteri zen che in Giappone erano in decadenza, hanno ricominciato ad avere vita non soltanto perché sono arrivati gli occidentali, ma proprio perché l' interesse per il buddhismo zen in Occidente ha incuriosito molti giapponesi che hanno cominciato a riscoprire le loro tradizioni o andare per la prima volta nel monastero zen a fare meditazione. Ci sono quindi degli strani fenomeni e non possiamo prevedere dove vanno, dove si formano ... Molte volte sono molto più complessi di quello che pensiamo: noi vediamo l'invasione delle merci, della Coca Cola, dagli Stati Uniti al Giappone; ma c'è anche il fatto che Lama partono dal Tibet, maestri zen partono dal Giappone, e vanno in America ... Questo vuol dire che è forse possibile una osmosi fra la cultura occidentale e quella orientale? E' molto importante che si mettaQualche esempio dal nostri listini preul x set.x 1.000 Prenotazioni Individua/I Grecia Sun Light 30 2.300 Olympyc Sea 42 4.000 Venus 16 7.000 Turchia First 325 2.470 Sun Odyssey 39 3.720 Sun Odyssey 47 5.780 Caraibi Gib Sea 352 2.900 Sun Odyssey 44 5.630 Atlantic 49 6.200 Corsica Oceams 320 2.800 Voyage 12.50 3.920 Sun Od sse 51 8.140 1.850 1.300 3.500 2.700 6.650 6.300 2.040 1.360 3.530 3.260 5.390 4.320 2.650 1.890 4.830 3.450 5.700 4.500 2.340 1.820 3.730 3.540 7.750 6.760 Érociere di agosto GRECIA TURCHIA Grecia (Cicladi): 2 sett. imbarco Atene Lit. 1.900.000* Turchia: 2 sett. imbarco Marmaris Lit. 1.850.000* Sulla base di 6 persone con barche di 39" - 40' ----stazioni PERDERE C'è un punto segreto in cui la perdita sfiora e incrocia la giustizia. E' un punto in cui il nostro debito eterno "non dire ho perduto ma ho restituito", per un attimo si fa limpido come una moneta nell'acqua. Perdere significa accettare di essere scagliati lontano, oltre noi stessi nel deserto di una terra dove c'è solo nudità. Era bello il verso del Kohelet citato da Erri De Luca nel numero 29 di Una città, la grazia di quel pane gettato sulla superficie dell'acqua, la capacità di lasciare proprio ciò che si ritiene più prezioso. E' la perfezione di ogni vero abbandono, il silenzio delle case prima delle partenze, gli esseri amati che devono andare senza di noi verso la morte. Getta il tuo pane sulla superficie dell'acqua lo ritroverai nei giorni. Forse ciò che ritroveremo è solo l'istante in cui abbiamo accolto la decisione di non conservare, la generosità assoluta, senza calcolo di ricompensa che depone su noi la gravità della benedizione. Potremmo pensare laperdita come una liberazione, pensare che abbia a che fare con la leggerezza è vero invece il contrario: chi perde, chi è nella nudità e nella privazione ha la schiena sgombra solo per prendere su di sè il mondo -nessun bagaglio per trascinare meglio il ferro e il legno di un carro-, per lasciare che sul dorso si accatastino l'aria e la pioggia, la molteplicità, il disordine delle cose. no a contatto le diverse civiltà perché le civiltà a contatto producono cose interessantissime, come in una "chimica storica". Tu metti insieme degli elementi che non si sono mai visti e messi insieme producono qualche cosa di nuovo, oppure mostrano le caratteristiche di ciascun elemento che erano state messe da parte. Da quel poco che ho visto, per esempio, c'è una riscoperta della spiritualità cristiana antica, tradizione mistica -cioè quelle tradizioni che la chiesa cattolica romana ha represso o nascosto- sollecitata proprio dal rapporto con queste tradizioni; stanno venendo fuori, guarda caso grazie al contatto con le religioni orientali. Credo, comunque, che le sintesi siano da evitare, perché le sintesi sono quasi sempre coercitive. La sintesi molte volte ha il difetto di essere artificiale, mentre è bene che si confrontino due cose diverse, al limite per radicalizzare la propria diversità, cioè per riscoprire la propria jdéntità a contatto con il diverso,. o.on_per mimare. Credo anche che ad un certo livello dell'approfondimento delle diverse religioni, delle diverse filosofie, si trovi un nucleo comune. Ad esempio, approfondendo i testi della mistica coranica, approfondendo i testi induisti, i testi buddisti sulla totalità, i testi del misticismo cristiano, si arriva a dei nuclei, a delle idee, che certo non sono identiche, ma si riferiscono a un denominatore comune: la divinità, l'assoluto, il principio, chiamalo come vuoi, è al di là di tutti gli dei, e al di là da tutte le denominazioni. In questo senso, quando trovi questa unità, questa non è più qualcosa di artificiale, ma è come se tu partissi da diverse direzioni e arrivassi a un solo centro. Ma questo scavo non è da tutti, mentre la . sintesi è superficiale e divulgabile. Non è la rassegnazione terrena ma la forza mite di Cristo che risponde nel Getzemani ai soldati;sì sono io":, la povertà della roccia, del telo funebre vuoto per il peso dei peccati umani. Giotto ha rappresentato tutto questo nella Rinuncia agli averi di Assisi: Francesco è nudo ma intorno alla sua privazione, nell'angolo retto del suo corpo inginocchiato tutto pesa, le architetture, lo scudo del cielo, le vesti dei personaggi, tutto infittisce come se la città con le sue cure, i suoi guadagni, con il suo "utile", la sua demoniaca complessità, attendessero proprio il suo gesto per diventare destino. Forse la santità non è che farsi asini: essere l'asina che sente sui fianchi la spina degli ulivi, nella fatica del mattino, sotto il corpo di Dio, nel grande zoccolo di Gerusalemme. Antonella Anedda UNPOL ASSICURAZIONI AMICA PERTRADIZIONE AGENZIA GENERALE Via P. Maroncelli, 1O FORLI'- Tel. 452411 - UNIPOL: DA 5 ANNI, FRA LE GRANDI COMPAGNIE, LA PRIMA NEL RENDIMENTO DELLE POLIZZE VITA. CON ~U1 UNA CITTA' 13

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