Una città - anno IV - n. 29 - gen.-feb. 1994

il punto Dedicare il miglior tempo della giornata alla Bibbia. Fermarsi alla fonte, alla lettera. L'infedeltà delle traduzioni e la emozionante brutalità dell'ebraico antico. La fine dell'esperienza politica cominciata nel 68 e finita nell'SO, ai cancelli Fiat. Giobbe, il dolore e l'ascolto. Un dio che si contrae e un uomo che si sente riassunto di tanti. Il miracolo di una lingua povera. Intervista a Erri De Luca. Erri De Luca, 44 anni, napoletano. vive a Roma. HascrilloperFeltrinelli Non ora non qui. Una nuvola come tappeto. Aceto Arcobaleno. Sempre da Feltri11ellista per uscire la sua traduzione dell'Esodo. Leggi la Bibbia. Perché? Ho cominciato a leggere la Bibbia in un periodo in cui stavo preparandomi ad andare a lavorare in Africa come volontario per l'organizzazione di un piccolo intervento di approvvigionamento idrico. Stavo a Cuneo -così anch'io, come Totò, posso dire di aver fatto un periodo di militare, di volontario a Cuneo, e quindi sono anch'io un uomo di mondo- e mentre imparavo a montare degli attrezzi che si chiamano eoliane ho studiato un po' la lingua del posto dove sarei andato a piantare questi attrezzi, la lingua swaili, quella del1' Africa orientale. In quel periodo ho incominciato a leggere l'Antico Testamento, anche perché era lì, sul comodino. Mi è piaciuto, ho visto che c'erano delle storie bellissime ... Poi ero stufo di storie letterarie, non mi emozionavano più. Invece in queste nuove storie che sono alimentate da una specie di protagonista principale ma uniformemente diffuso, da questa specie di sacro che alimenta tutti quei personaggi, ho trovato un alimento nuovo. Allora ho pensato di provare a leggerle nella loro lingua originale. Vengo dalla scuola classica, ho srudiato il greco, il latino, insomma credo di poter studiare qualunque lingua al mondo, peggiore del latino non ce n'è. Dopo 8 anni di latino ancora oggi, non dico Ovidio o Tacito, ma anche Giulio Cesare mi sembra difficile ... Dopo aver studiato quelle, qualunque altra lingua è facile. Infatti anche l'ebraico antico non è una lingua impossibile. E' difficile perché la ricostruzione delle sue regole, la ricostruzione grammaticale è stata a lungo congetturale, ricavata per ipotesi, perché è una lingua piena di varianti e di eccezioni nei verbi, ma è una lingua come tutte le altre. Così, quando ho iniziato a studiarla, ho visto che riuscivo in qualcosa e poi, siccome faccio questo tutti i giorni dedicandogli il tempo migliore della mia testa, in qualcosa sono riuscito. Sono riuscito a leggere la Bibbia in ebraico antico. Questa soddisfazione naturalmente mi ha dato l'alimento per continuare a farlo. E poi, insomma, ho scoperto che leggendola in ebraico antico la Bibbia, come, ovviamente, tutti i testi affrontati nella lingua madre, è molto più bella che in italiano, ma in maniera emozionante. Non sto qua a dare troppe spiegazioni ma in Una nuvola come tappeto, il libro che ho scritto sulle mie letture bibliche, ci sono delle piccole scoperte fatte leggendo la Bibbia in originale che sono però alla por- ., tata di chiunque. lo ho scoperto quelle ma chiunque altro può trovare delle cose altrettanto belle, valorose e degne di essere raccontate, di essere riportate alla luce. Sono cose che stanno lì, alla superficie delle lettere, io non sono andato a scavare nel secondo senso, nel terzo senso, non sono andato a scavare oltre la pagina, oltre il senso letterale. lo mi fermo lì, alla soglia della lettera. io acchiappo l'acqua alla fonte, con il mio bicchierino Il Talmud dice che la lettura di chi si ferma alla soglia della lettera è la lettura dell'insensato, cioè di quello che rimane fuori. lo rimango fuori, sono fuori della profondità e fuori anche della tradizione. Fuori della profondità perché non vado oltre il primo significato, il significato letterale, perché per me è già bello così, è già sufficiente per la mia felicità, ma fuori anche dalla tradizione perché la tradizione è l'infinito commentario aggiunto alla Bibbia. La tradizione è la civiltà del commento, degli scismi, delle eresie, e quelle pure sono civiltà, quelle pure rientrano nella tradizione della civiltà di quel libro. Ma io me ne sto all'imboccatura, all'inizio, mi fermo alla fonte, mentre invece la religione. la tradizione sono la foce di quell'acqua che lì comincia e che poi si arricchisce, strada facendo, di tutto. Uso BI'. mma ine derum~rché i.n rraico C'è una similitudine. Nachal è fiume e nachalà, cioè la sua versione femminile, è eredità. Quindi l'eredità è la civiltà, quello che è il fiume alla foce. lo invece acchiappo l'acqua alla fonte, vado solamente lì, prendo col mio bicchierino ... C'è un verso di una poetessa moderna che si chiama Patrizia Cavalli che mi fada immagine a questo attaccarsi alla fonte: da scalfittura diventare abisso. Ecco, questo è il percorso della scrittura: io mi fermo alla scalfittura, da dove, cioè, comincia ad uscire un po· d'acqua. Alla fonte, insomma. Hai detto che questa lettura ti dà felicità... Felicità, sì, sicuramente. Questo è il risultato. Ho una vita un poco semplice, schematica. Molte ore di lavoro al giorno, non ho famiglia, passo il meglio del tempo, il tempo salvato alla giornata, con questo libro, e anche con altri, spesso con commentari. Quindi ne ho fallo una ragione, una ragione di crescita e di entusiasmo, e questo mi viene restituito. E' un libro che si è caricato di meraviglia. A quella che aveva si è aggiunta quella di 3.000 anni di lettori che hanno dedicato il meglio della loro vita a sviscerare questo libro. Così mi sembra di essere contemporaneo di tutta questa gente, di essere contemporaneo dei secoli. Il che mi ha permesso anche di avere un rapporto più distaccato con questo secolo sia perché lo metto insieme a tutti gli altri sia perché è un secolo che, come anche il precedente, ha avuto pochi lettori che hanno lasciato impronta. Gli ultimi veri lettori di questo libro che hanno lasciato impronta risalgono al Medio Evo. Ma vi volevo raccontare un episodio su un verso della Bibbia che ho emendato per mio conto. E' il primo verso del capitolo 11 di Kohelet e dice: getta il tuo pane sulla superficie delle acque perché dopo molti giorni lo ritroverai. Allora una mattina stavo sopra questo versetto e dicevo "bel lo questo verso'', però non mi piaceva tanto come proseguiva. Cella il tuo pane sulla superficie delle acque è un gesto di una generosità assoluta, sprecare perfino del pane, dell'indispensabile cioè. e nemmeno per darlo a un povero o a qualcuno. ma semplicemente al vento, alla natura, al mondo ... Però perché dopo molti giorni lo ritroverai non mi piaceva perché è come se fosse una specie di boomerang, come se la pagnotta ti tornasse in mano così come l'hai lanciata ... Mi sembrava povero ma poi non ci ho pensato più e sono andato al lavoro al cantiere. Là ho una filastrocca che mi faccio in testa, sempre. Quando sto su un lavoro molto ripetitivo, per regolare il respiro, vado su una filastrocca che cantano gli ebrei che ricostruiscono il muro di Gerusalemme -è scritto nel libro di Ncemia- e ormai mi aiuta a darmi il ritmo, quando ho quella in testa vado bene. Quel giorno però il verso della mattina interferiva con la filastrocca e allora mentre pie- . · pensavo al fatto che o "dopo molti giorni ...'' mi sono dato una martellata sulla mano di quelle gloriose ... E mentre sballevo questo dito per non sentire dolore e un po· di sangue schizzava sulle macerie, mi è venuto in mente il verso della mattina -getta il tuo pane sulla superficie delle acque- e per farmi ridere un po' mi sono detto "sto gettando tutto questo pane sopra ste macerie" ed è finita lì. Ma tornando a casa ho pensato '·però, non dopo molti giorni l'avrei ritrovata quella ferita, ma in molti giorni me la sarei risentita. Questo dolore l'avrei risentito in molti giorni''. E allora ho capito che il verso era proprio così: "in molti giorni lo ritroverai". lo ritroverai 1110/tevolte in 1110/tgi iorni. non ti verrà, cioè. restituito rnme una specie di cambiale che tu hai lanciato e che ti ritorna rimborsata, ma ti verrà ridonato con molta più generosità. molte volte nei giorni a venire. Poi la giustificazione grammaticale c·era, era molto più fedele tradurre '•in molti giorni'' che ''dopo". "Dopo", è stato tradotto semplicemente perché "in'' non suonava bene. Cambia leggermente il significato, non è un gran cambiamento, però per me e per la lettera del testo è "in molti giorni lo ritroverai". Ecco un esempio della felicità: riuscire a risolvere un verso della Bibbia che ti è rimasto a cuore un po' con la testa e un po' con l'aiuto del corpo. Questo vale poi anche come esempio del fatto che la Bibbia è tradotta male, sciattamente. Nessun editore oggi accetterebbe una traduzione così approssimativa di un qualunque testo, solo per la Bibbia si accetta questo, questa pratica, consolidatasi nell'uso, del dispensarsi dalla fedeltà. Da cosa dipende questa infedeltà? Dipende dalla prima vera traduzione della Bibbia dall'ebraico antico che risale ai primi secoli dell'era precristiana ed è quella cosiddetta dei settanta. E' la traduzione in greco chiesta dagli ebrei della diaspora. che non capivano più l'antico ebraico e che avevano bisogno di un testo che permettesse loro di rimanere in contatto, di seguire le funzioni, di rimanere ebrei insomma. "ammazzerò di quel popolo tutti quelli che pisciano al muro" Questo testo -la traduzione dei settanta- si prende delle libertà assolute nei confronti del testo ebraico. libertà abissali. E questo è dovuto al fatto che la lingua greca era una lingua dominante e l'ebraico era una lingua succube. Addirittura la lingua greca non ha mai concepito il fatto che si potesse tradurre qualcosa. Loro erano la lingua, gli altri erano tutti barbari. tutti, senza eccezione. Quindi il rapporto con la lingua ebraica era un rapporto come possiamo avere noi con la lingua dei delfini: diamo per scontato che questi animali abbiano un linguaggio e quindi cerchiamo di interpretarlo. 1 greci non hanno il termine "traduzione", hanno il termine 111eterme1111esis che sta per "interpretazione·•. Chissà cosa sta dicendo questo animale. La lingua era una lingua animalesca che bisognava tradurre nella fioritissima e formidabile e altissima lingua greca. Quindi c'è un rapporto di sdegno, di sprezzamento nei confronti dell'originale. Da lì parte l'infedeltà, che poi ha avuto applicazioni varie. Nella tradizione cristiana l'Antico Testamento è il pretesto al Nuovo Testamento, una specie di premessa della venuta di Cristo, e quindi non è importante che sia fedele la traduzioncdell' Antico Testamento, perché, comunque, è solo un lungo preambolo. E poi c'è la brutalità della Iingua ebraica, considerata scandalosa. Dio parla in maniera aspra, con delle immagini molto forti. Davide usa diverse volte l'espressione "ammazzerò di quel popolo tutti quelli che pisciano al muro''. per intendere i maschi. Non c'è nessuna traduzione in cui troverai scritto '·quelli che pisciano al muro". Nell'Esodo -un libro che ho appena finito di tradurre- Dio promette agli ebrei la terra in cui stilla e scorre latte e miele, ma in realtà non usa affatto questa espressione delicata dello stillare e dello scorrere. Usa 1• espressione legale del mestruo femminile, cioè offre loro una terra che ha mestruo di /alle e miele. E' una specie di sintesi formidabile dell'immagine, perché la fecondità di quella terra era immediatamente legata alla massima fertilità concepibile, quella femminile, quella tenuta nel più alto grado, il mestruo era la fecondità femminile e quindi la terra era feconda come una donna giovane ... Un' immagine fortissima e immediata per un popolo che faceva della fecondità della donna, come tutti i popoli di quell'epoca. una virtù assoluta. un valore assoluto su cui fondare la casa, la potenza. E poi usa "latte e miele'' non a caso, non come poteva dire birra e bigné, perché il latte è il simbolo di una terra in cui c'è la pastorizia, una terra che ha dei pascoli, che ha delle acque, terra ricca adatta alle mandrie, e buona anche per l'agricoltura, "miele''. perché fiori. perché api. eccetera. Quindi quel '·telegramma·• è un telegramma che contiene un sacco di cose. Insomma: le traduzioni della Bibbia risentono di questa tradizione di alta infedeltà, non era importante essere fedeli, anzi, era sospetto. Nel tuo libro parli dei muratori della Bibbia, di quelli della Torre di Babele ... E fra l'altro tu fai il muratore. La Bibbia è piena di muratori. Non c'è quasi nessun libro della Bibbia che non abbia il verbo bo11à. che vuol dire costruire. e ben, che vuol dire figi io, viene dal verbo costruire. Da noi si dice '·Ja famiglia di Carlo, là si diceva '·Ja casa di Carlo''. La famiglia era un edificio, c·era un certo impegno edificatorio. edilizio, nel riprodursi. Quando Sara, che è sterile. dà ad Abramo la sua schiava. Agar, perché attraverso Agar potrà tenere sulle ginocchia un figlio di Abramo. dice esattamente: rosì sarò costruita anch'io, usa il passivo del verbo banà, ibbané. Quindi per un muratore la Bibbia offre del conforto ... C'è una certa attenzione alla fabbrica. Anche quel la della torre di Babele è una grandiosa fabbrica. Lì però succede che si erano specializzati in edilizia e non facevano nient'altro e allora non andava bene. La dispersione che è avvenuta è stata provvidenziale perché lì l'umanità si era ridotta a una specie di termitaio, a una operosa specie di fabbricatori, avevano smesso di innovare per eseguire un compito. Quindi lì è stato bene distruggere, ma l'idea della fabbrica edilizia come punto massimo dell'attività umana c'è fin nella Genesi. Tullo questo però non ha niente a che vedere col fallo che faccio il muratore. Lo faccio per accidente. davanti al cancello 11 di Mirafiori in quelle notti dell'anno '80 Quando si è sciolta Lotta Continua volevo comunque continuare. e ho continuato provando a fare l'operaio. Ho continuato a Torino dove sono rimasto fino all'autunno dell '80 quando la fabbrica ha espulso tutti quegli operai. L'ultima "continuazione della lotta" e quindi il definitivo scioglimento della mia attività di lottatore è stata con l'autunno dell '80 a Torino, quando ho passato quelle notti davanti al cancello I I di Mirafiori, nei 40 giorni di occupazione. Allora ero operaio alla Jveco e gli ultimi pugni di politica li ho tirati là. Contro le bande dei crumiri che si organizzavano per sfondare i picchetti noi organizzavamo delle bande per impedirglielo. Come si dice in medicina? Anticoagulanti? Ecco, noi non facevamo coagulare i crumiri. che non si aggrumassero troppo ... e quindi gli ultimi pugni li abbiamo dati là. Ricordo che e· era qualcuno anche molto contento di fare quell'attività. io invece, siccome la notte preferisco dormire. non ho un bel ricordo di quelle attività fisiche notturne. Però. certo, erano dei colpi assestati sapendo che erano gli ultimi, quindi dati con una particolare intensità di congedo. Poco apprezzati da quelli che li ricevevano, ma. insomma, stimabili nella loro decisione. Erano colpi senza alcun pentimento, come agitare fo11eun fazzoletto verso la poppa di una nave che si allontana. Quante mazzate ... E finita quella lotta? Ho salutato la politica definitivamente e da allora non mc ne folle niente. Da allora ho capito che la politica era un'affare chiuso, che gli anni in cui aveva senso farla, gli anni della comunità. erano finiti. Allora mi sono trovato a 30 anni a non saper fare altro che l'operaio, per giunta con un cattivo carattere e con un po' di acidità di stomaco nei confronti del resto della specie. E sono stato un operaio e basta. senza nessun altro

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