Una città - anno IV - n. 29 - gen.-feb. 1994

un po' quella di "Comunità", la rivista di Adriano Olivetti, c'erano molti studi di sociologia sulla distruzione della cultura contadina nel processo di inurbamento nella grande città, c'era il neorealismo anche in architettura, ed i progettisti del Tiburtino Quarto, alcuni tra i migliori architetti che ci fossero allora a Roma e in Italia, fecero un quartiere con l'idea di ricreare nella periferia metropolitana le condizioni della vita del paese. Quindi gli accessi ai primi piani erano fatti con le scalette, c'erano i comignoli, c'erano i muretti, c'erano le inferriate alle finestre, anche se erano case a schiera di due o tre piani o delle torri di nove o dieci piani; insomma, tutta la configurazione del quartiere era immaginata nel tentativo di ricostituire un certo tipo di vita comunitaria. Dopo pochi anni, però, a Roma degli abitanti del Tiburtino quarto si diceva che "abbitano ar presepe" e noi studenti di architettura andavamo là, era comunque un'opera importante, a studiarla, a ridisegnarla, e ci rendevamo conto che era un tentativo generoso, ma senz'altro fallimentare: la vita della città contraddiceva quel tentativo, così come sono condannati al fallimento tutti i tentativi di ritrovare nella metropoli i modi di abitare del villaggio. Adesso, essendosi fermata la grande ondata dell'immigrazione, (per la prima volta da oltre mezzo secolo il numero degli abitanti di Roma non cresce più), essendo arrivati ad una generazione di abitanti nati in città (i giovani nati in un quartiere di periferia, che adesso hanno 18-2025 anni, hanno conosciuto solo la metropoli) siamo forse davanti ad un'occasione importante, in cui dobbiamo trovare l'umanità metropolitana. Certo in quattro anni non si possono fare grandi cose, ma la scommessa è quella di invertire una tendenza e cominciare a fare qualcosa di diverso: non ricostituire la cultura contadina, del paese, ma fare di queste periferie delle città autonome. La nostra grande scommessa è di dare a Roma un assetto policentrico, che si può realizzare se nella periferia esterna si costituiscono alcuni "centri città" intorno ai quali far ruotare le funzioni e i servizi, attorno a cui ritrovare, anzi costruire, un'identità. Questa identità, questa scommessa, ha una chance data dal fatto che a Roma esiste una ferrovia metropolitana molto importante, con oltre 300 km di linee che partono da un anello centrale, vanno verso i centri periferici e poi proseguono per le altre regioni. Se in questi anni riusciremo a trasformare queste linee ferroviarie in linee di servizio metropolitano, cioè a fare in modo che da questi centri periferici (Monterotondo, Guidonia, Tivoli, Castelli, Bracciano, che distano mediamente 25 km dal centro di Roma) si arrivi in città nell'arco di 30-35 minuti, se daremo a questi· centri una accessibilità che li faccia sentire parte di una metropoli reticolare e riusciremo a costruire in questi centri delle nuove identità, allora forse avremo dato a questo sistema un connotato che potrà far sentire i romani cittadini di Roma. A Parigi, Londra, Berlino, Barcellona, Madrid, troviamo questa dimensione dell'essere cittadini di una metropoli, troviamo una cultura metroplitana positiva e moderna, non astratta ma basata su fatti concreti; a Roma, invece, questa dimensione c'è poco o niente. Tuttavia un modo di essere, un abitare, è anche altro... La metropoli oggi è una grande macchina di comunicazione, un grande nodo nel quale convergono flussi di informazione, messaggi, conoscenza, innovazione, trasformazione. Da sempre la città è stato il centro delle innovazioni, la nostra è una civiltà urbana, il problema è sentirsene parte. Un abitante della periferia romana -continuo a parlare di periferia perché oltre i 2/ 3 dei residenti a Roma possono essere considerati residenti in periI ILICORRIERE ESPRESSO ~~© GROUP INTERNATIONAL FORLI' - P.zza del Lavoro, 30/31 - Tel. 0543/31363 - Fax 34858 RIMINI - Via Coriano 58 - Blocco 32/C - Gros Rimini Tel. 0541/392167 - Fax 392734 SERVIZIO NAZIONALE E INTERNAZIONALE 70 SEDI IN ITALIA BibliotecaGino Bianco feria- oggi certo non-si sente parte di questo nodo di informazioni, perché non ha gli strumenti, perché la sua realtà quotidiana è quella di vivere in un casermone, dove magari si sentono le voci del I' inquilino accanto, dove ogni mattino ci si sveglia e ci si ficca nella fila interminabile del traffico. Naturalmente questo è il portato di un modo di costruire la metropoli che non si cambia in pochi anni, ma quello che noi dobbiamo ritrovare è l'immensa capacità di rapporti e dicomunicazione che la metropoli offre, questo è possibile se si percepisce e si utilizza la città come un sistema, come un insieme dotato di senso. Naturalmente il senso non è, né principalmente né esclusivamente, un senso attinente la forma della città, ma sicuramente attiene al lavoro, a come si usa il tempo libero, a come ci si trasforma culturalmente, a come si dorme, al rapporto con la cultura, cioè con la conoscenza di sé e dell'ambiente che ci circonda e da questo punto di vista Roma ha delle possibilità straordinarie. I due aspetti fondamentali per la trasformazione di Roma, ai quali si deve guardare immaginando un nuovo piano urbanistico, un abitare per la metropoli, sono la storia e la natura. Certo, tutte le città sono storia, ma Roma lo è più di molte altre e non solo nel centro, ma anche in periferia. In ogni punto, anche nell'agro romano, ci sono delle permanenze della storia; nella rea1izzazione dello SDO (Sistema Direzionale Orientale), per esempio, sono stati posti dei vincoli archeologici su uno dei maggiori comparti perché là c'era un grande insediamento costantiniano, c'erano delle ville e le caserme degli "equites". Allora, sta a noi pensare questa disseminazione della storia come ad un fatto culturale profondo, sta a noi pensare il sentirsi parte di una storia lunghissima come elemento di identità. Ogni volta che entriamo in una crisi, sociale o personale, sempre cerchiamo le radici: Roma è una città che offre radici straordinarie e noi dobbiamo riferirci ad esse, la storia è la città stessa, è il sé della città, è un elemento di identità che la nuova generazione dei romani, che conosce solo la città, può riscoprire. L'altro grande elemento di cui parlavo, cioè la natura, è l'altro da sé, e Roma ha non solo l'agro romano chè la circonda, ma anche un grande cuneo verde -il parco di Vejo, il bacino dell' Aniene e del Tevere, il parco del!' Appia che arriva quasi fino al Colosseo e ai Castelli- che mette in relazione il centro storico con la campagna. Ecco, nel ridisegnare la struttura del!' area metropolitana, nell'impostare questo piano strategico, noi dovremo tenere attentamente conto degli elementi naturalistici e di quelli storici, perché è da questi che la metropoli può trarre un proprio modo di essere che renda contemporaneamente vivente, cioè fonte di identità, il sé della storia e l'altro da sé della natura. Pochi mesi fa ho letto il libretto di uno storico della filosofia, Remy Brague, in cui si sostiene che l'Europa di oggi sta vivendo un passaggio storico che, dalla caduta del muro di Berlino in poi, è al tempo stesso di grandi speranze, di voglia di unificazione, e di grandi cadute, di grandi preoccupazioni e tragedie. Per Brague la possibilità di superare positivamente questo passaggio sta nel ritrovare la "via romana", lo spirito di Roma, cioè la capacità di capire ciò che è altro da sé, ciò che viene prima, per farne una sintesi nuova. Dice Brague che "Roma non è né Atene, né Gerusalemme, ma ha compreso, ha dentro di sé sia Atene che Gerusalemme" ed è nella riscoperta di queste radici, di questa sintesi, nel renderla parte vivente di una metropoli veramente tale, che potrà essere dato senso alla metropoli ed identità al cittadino che consapevolmente se ne sente parte. - (« CilffdilelRif par midi Forlì s.p.11. -- CONTO, ~ MO a10 annt da11a19anni Perloroil migliorfuturopossibile Aut. Mln. n. 6/1758 del 2/10/93 JUDE L'OSCURO Siamo onesti: dopo quarant'anni di anomalia, questa sospirata normalità -fatta di alternanza tra lobbies, di efficienza amministrativa e di rispetto assoluto per le regole del mercato- non seduce. Ci si può anche sforzare, ma per un mondo lugubre onestamente amministrato è difficile combattere. E' un mondo, questo, sottratto definitivamente alla Storia e riconsegnato alla Natura, con le sue leggi oggettive e indiscutibili: il Fondo Monetario Internazionale elevato al rango di un Dio minore, per l'impensabilità di principio di alternative possibili. Il Novecento con i suoi orrori fascisti e stalinisti ha avuto anche questo senso: consumare l'ipotesi di una Storia che fosse storia della salvezza, restituire una umanità infiacchita a delle potenze neutre che la dominano impersonalmente. Rassegnati, chiamiamo tutto questo: dominio della tecnica planetaria. Con una fretta sospetta, questa lezione di realismo è stata fatta propria da tutti, sinistra compresa. E' sufficiente, per rendersene conto, pensare a come è stata accolta l'atroce vicenda degli indios messicani. La reazione emotiva è stata quella che normalmente si prova di fronte alla notizia di un terremoto devastante in un paese lontano. Quelle esecuzioni sommarie di prigionieri inginocchiati, come la diarrea cronica che devasta la popolazione indigena, sono state vissute, da tutti, come fatti naturali, terribili ma ineluttabili. E non si può certo attribuire la diffusione di questo atteggiamento ad una informazione distorta, perché questa è stata, nei limiti del possibile, precisa e obiettiva nell'indicare le responsabilità occidentali (trattato N.A.F. T.A., deflazione forzata ecc.). Questa passività non è solo indifferenza o egoismo, ma il prodotto di una cultura per certi versi più raffinata, più consapevole. Se la sublime illusione della Storia è finita, l'orrore deve essere infatti reintegrato nell'essere come sua dimensione "naturale". Volerlo cancellare è un inutile titanismo, generatore forse di orrori peggiori (l'orrore della Storia, del resto, ha un nome per noi ben preciso: non è Auscwhitz, ma il gulag staliniano). Il processo di legittimazione di ciò che un tempo si chiamava I' «imperialismo occidentale» avviene insomma per una via inedita, indirettamente: non più grazie ad una ideologica affermazione del primato spirituale e storico di un particolare tipo umano, ma attraverso il mesto e disincantato riconoscimento della intrascendibilità del presente (della sua «naturalità»), di cui, non senza macabra ironia, si sanno peraltro indicare spietatamente tutti i limiti. Il modello insomma è insuperabile, si tratta semmai di renderlo «sostenibile» La questione degli indios diviene così, nel migliore dei casi, una questione «ecologica», la loro insurrezione qualcosa di analogo ai periodici incendi che devastano i grandi parchi naturali e, a proposit9 dei quali, si discute se sia necessario intervenire o meno. Ma, a dispetto di tanto disincanto, resta anche, come fatto altrettanto naturale e insuperabile, lo sguardo disgustato del piccolo Jude, spaventapasseri vivente, che, avendo concesso, per una volta soltanto, agli uccellini la possibilità di sfamarsi, viene picchiato e licenziato dall'inflessibile padrone. "La logica della natura era per lui troppo ripugnante per poterla prendere in considerazione" (Thomas Hardy, Jude l'oscuro). E' uno sguardo, quello di Jude, perdente. A causa di questa ybris, Jude diventerà lo zimbello della Natura, l'oggetto della sua vendetta infinita. Non si può infatti anteporre realisticamente il diritto assoluto della creatura -che si tratti di un indios zapatista o di un uccellino affamato, poco cambia- alla necessità oggettiva del sistema.- Soprattutto in una epoca in cui, come ricorda Hardy, gli-altari delle chiese del Nord Wessex sono desolatamente. disertati dal divino. Non si può. Ma l'impotenza, la oggettiva necessità, non è ragione se non per la natura immortale e ciclica. Chi muore, fin dall'inizio, è in un'altra luce. Ha compiti limitati e oggettivamente assurdi. Può permettersi il lusso di una certa ottusità, può anche, insensatamente, porre a/l'ordine del giorno come questione centrale e inderogabile la fame dell'uccellino e la diarrea dell'indios. Può, infine, senza astio, lasciare che siano altri -più zelanti nel servire ciò che non chiede affatto di essere servito- ad assumersi il compito di onorare, "com'usa I Per antica viltà l'umana gente", il carattere sistemico, globale ed interdipendente di questa neutra violenza. Rocco Ronchi Coop. Cento Fiori LAB. ART. fITOPREPARAZIONI Via Val Dastico. 4 - Forfi Tel. 0543/702661 - Estratti idroalcolici in diluizione 1: 1 o da pianta fresca spontanea o coltivata senza l'utilizzo di prodotti di sintesi. - Macerati di gemme. - Opercoli di piante singole e formulazioni con materia prima biologica o selezionata. - Produzioni su ordinazione UNA CITTA' 3

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