Una città - anno III - n. 25 - settembre 1993

v• . , . ' ~:,' -~ ' sette111bre FANNO LA PACE! All'improvviso si avvera ciò che i più ritenevano improbabile. Non Wlodek Goldkorn che in un intervista di luglio era ottimista. E ci spiegava anche come i problemi inizieranno dopo la pace, ma che ormai israeliani e palestinesi si assomigliano molto ed è possibile, dopo la separazione, ritornare a incontrarsi. In seconda e terza. Insieme alle riflessioni di don Sergio Sala sul fallimento dell'Europa e dei "suoi" diritti umani in Bosnia. LA DOLCE SARAJEVO. Si può, dopo un lunghissimo assedio, continuare a preoccuparsi del contegno del vestire, di fare musica appena si ha un po' di benzina per un generatore, restare ospitali con tutti? Si può e ce lo racconta Emilio Casalini, un giovane volontario. In quarta e quinta, insieme a due lettere da Sarajevo. DIVENTARE TEDESCHI? Ne/ mondo dell'emigrazione italiana i gravi problemi scolastici dei ragazzi e le difficoltà della ragazze, la cui autonomia spesso significa distacco dalla famiglia. Intervista a Maura Lucci, psicologa che lavora nel quartiere degli stranieri di Mannheim. In quinta. LA COMUNITA' DELL'ISTANTE è l'intervento di Rocco Ronchi. MIR SADA, la spedizione pacifista in Bosnia, è stata un fallimento come piace pensare a tanti? Intervista a don Albino Bizzotto che ne è stato l'ispiratore. In ottava e nona. Insieme al racconto di Franca Morigi, sulla sua esperienza di volontaria in Bosnia. IL PROBLEMA DEL POZZO. Si fa bene a scavare dei pozzi in certe zone d'Africa? A sentire Alfredo Cornetti, cooperatore, vengono dei dubbi. In decima. In undicesima le impressioni di viaggio di Libero Casamurata e quelle di Piero Rina/di. TERAPEUTICO O CORRETTIVO? Nell'esperienza di una comunità "pubblica" il tentativo, raccontato da Anna Frigerio, di ricercare vie individuali all'uscita dalla tossicodipendenza. In dodicesima e tredicesima. SCUOLA: QUALE DESTINO? è l'intervento di Vincenzo Buglioni. LEGALITA' E LIBERAZIONE. Paolo Flores d'Arcais ci spiega come la sinistra ha sempre avuto in sospetto la legalità e ha fatto malissimo. In quattordicesima e quindicesima. DOVER ANDARE è il racconto del giovane Fulvio Baldovin, 23 anni, uno dei 60 pacifisti di Mir B f adn io a rischio della vita, hanno raggiunto Sarajevo. In ultima.

un mese di agosto Allora è vero che /'~dio celava il rispetto, la paura l'accettazione~ Il fervore improvviso.dei preparativi per imbandire un tavolo di pace rinfocola la speranza negli uomini di buona volontà. E allora anche il ricordo di chi perse la vita in giovane età si può finalmente addolcire nella preziosa e rara consolazione che i sacrifici non sono stati vani. Ma voltando pagina che tristezza. Di fronte all'altro tavolo di pace si resta attoniti. Mentre per la seconda volta nel secolo, in unpunto dell'Europa, s'è levata la , richiesta d'aiuto più straziante, quella di essere bombardati, ormai tutti aspettano solo che il rappresentante di decine e decine di migliaia di innocenti uccisi, mutilati, umiliati, affamati abbassi la testa. Un lord miserabile e collaborazionista gli ha ricordato con impazienza e sufficenza che è lui lo sconfitto, che faccia meno storie. In Europa i tre grandi dignitari dei diritti umani hanno continuato a tacere. E dopo aver fatto a gara nei "riconoscimenti", quando l'aggredito ha chiesto ripetutamente e disperatamente di poter almeno comprare armi per difendersi, hanno fatto finta di non conoscerlo. Oltre che miopi e cinici, codardi e traditori della parola data. Commosso, uno di loro, alla fine, ha mobilitato l'aviazione per accaparrarsi una piccola moribonda. Tutti ora volgono lo sguardo al giovane presidente che vorrebbe governare il mondo. Ma in quante riunioni già gli aggressori avranno riso delle sue minacce a vuoto e preso coraggio per nuovi massacri? Alla fine cosa farà? Si imboscherà per la seconda volta? In tal caso, prima o poi, qualche passante irakeno rischierà la vita. Per il resto i mercenari della pace continuano a passare legiornate sui loro carri armati bloccati da qualcuno, fioriscono i commerci del kanada di Sarajevo, e, di sera, da una porta della caserma c'è chi esce con qualche scatoletta di cibo nella borsetta. E noi? Niente, abbiamo assistito a uno sterminio. Ora sappiamo quanto sia facile non far niente. E se domani ci toccherà riverire i criminali di guerra, in compenso ci sarà risparmiato lospettacolo dell'apertura delle fosse comuni. Chi le ha chiuse ha vinto. Ma almeno, quando il mussulmano si piegherà a firmare quella carta, che siano i vili, tutti noi, ad abbassare gli occhi. E che la storia ci perdoni quella pace risparBmiandoci le sue co seguenze r~ - O • L'insostenibile schizofrenia fra lo stupendo lungomare di Tel Aviv e, a due passi, la terribile situazione dei territori occupati. I veri problemi inizieranno dopo la pace. La somiglianza ormai profonda fra israeliani e palestinesi e fra sionismo e movimento di liberazione palestinese. Lo scenario avveniristico ma naturale di una confederazione fra Giordania, Israele e futuro stato palestinese. Intervista a Wlodek Goldkorn. Questa intervista a Wlodek Goldkorn, giornalista e saggista, è statafatta ovviamente prima che "precipitassero gli eventi" verso un accordo di pace. Crediamo che mantenga intatto tutto il suo interesse non solo perché motivava un grande, e allora anche sorprendente, ottilnismo che oggi si rivela del tutto giustificato, ma perché pone sul tappeto tutti i problemi che la pace porterà con sé, ma che da domani finalmente potranno cominciare ad essere affrontati. Pensata come un 'intervista sulla possibilità dei popoli di convivere insieme, questa riguardante la Palestina è la prima parte. La seconda parte, riguardante l'Europa, verrà pubblicata sul prossimo numero. Come vedi la situazione in Israele e le prospettive di pace? Ho la convinzione molto semplice e ottimistica che nel giro di pochissimi anni si arriverà alla soluzione di due stati, uno israeliano e uno palestinese, e ad una specie di confederazione fra Israele, il futuro stato palestinese e la Giordania. Ne sono convinto per dei motivi che sono molto complicati. Intanto va detto che la Giordania è un'incognita, re Hussein è malato di cancro e alla sua morte potrebbe succedere di tutto. Personalmente credo che non succederà nulla, sia perché, appunto, è un'incognita preannunciata da tempo e a cui, quindi, la gente è preparata, sia perché a nessuno oggi interessa una destabilizzazione della Giordania e quindi dell'interaareadel MedioOriente. li processo è contrario, va verso la stabilità. Per quanto riguarda Israele sono convinto che agli israeliani stia succedendo quel lo che successe ai francesi rispetto ali' Algeria o agli americani rispetto al Vietnam. Stiano arrivando, cioè, al punto in cui la gente dice: "in fondo chi ce lo fa fare", "non ne possiamo più". E' una situazione che in Israele a nessuno piace, se non ai coloni o a gente molto motivata ideologicamente. Se prendi una scena di vita quotidiana, per esempio vai sul lungo mare di Tel Aviv, dove ci sono i caffè, i ristoranti, la gente che passeggia, i russi che suonano, i giocolieri, sembra di essere a Parigi con in più il mare ed è bellissimo, con la gente che sta nei caffè a discutere dell'ultima mostra che è stata portata da Dusseldorf o dello spettacolo arrivato da Londra; poi, però, a40chilometri da lì, c'è l'Intifada e ci sono altre leggi. E' una schizofrenia che la gente fa fatica a reggere. E' appunto la stessa cosa che successe agli americani quando vedevano in tv il Vietnam, con la differenza che in Israele non lo vedono in tv, ma è lì, dietro l' angolo. L'esercito israeliano è formato in gran parte da soldati della riserva, da gente, cioè, che una volta all'anno fa sei-sette settimane di servizio militare, da normali padri di famiglia che stanno facendo carriera, hanno figli, hanno una casa, e che una volta l'anno devono andare a Gaza a fare delle cose. A me è capitato di leggere una lettera che dei soldati della riserva, dopo il loro periodo di servizio militare, avevano spedito al primo ministro, dove dicevano che a Gaza non ci sarebbero più andati. Ho chiesto all'animatore di questo gruppo il motivo, cosa fosse successo. E la sua risposta è stata che non era successo niente più del solito, ma che si era accorto che in Gaza diventava fascista. "E se sono fascista in Gaza lo sono inevitabilmente anche a Tel Aviv. A me degli arabi non è che mi freghi molto, ma del mio rapporto coi miei bambini e con mia moglie sì, molto. E poiché quello che mi costringono a fare in Gaza influisce nei rapporti con mia moglie e i miei figli, io non ci voglio tornare". Credo che sia più o meno il processo che è avvenuto in America col Vietnam, cioè la crescita di una grande voglia di andarsene da lì. E questa grande voglia io credo si inserisca su un processo globale di stabilizzazione del Medio Oriente. Dopo la guerra contro l' Irak iI processo è verso la stabilizzazione, cioè il contrario di quello che c'è in Europa. Ma una pace raggiunta in questo modo, per stanchezza, non rischia di essere una pace debole, mediocre? Intanto credo che la pace non richieda virtù eroiche, ma che, in un certo senso, richieda la mediocrità, l'accettazione del compromesso, dei limiti, dei confini di se stessi. Per esempio c'è un gruppo pacifista israeliano, formato da soldati della riserva, che si chiama "Yesh Gvul", che vuol dire "C'è un limite". C'è un limite a noi stessi, c'è un limite a tutto. In realtà io credo che i veri problemi aniveranno dopo la pace. Perché lì, a differenza del Vietnam che era lontanissimo, ma anche dell'Algeria, lo stato palestinese che sorgerà sarà a 18-20 Km da Tel Aviv. Perché in Israele vivono 700800 mila arabi palestinesi che non si sa se vorranno rimanere una minoranza nazionale in Israele o se vorranno una specie di autonomia. In fondo il vero problema, se vogliamo guardare più lontano, sarà la divisione in Israele tra coloro che vogliono la pace per divorziare definitivamente -Gaza e Cisgiordania addio e a non rivederci mai più- e quelli che vogliono la pace per poter vivere insieme con i palestinesi e non solo l'uno accanto all'altro. Molti vedono, cioè, i due stati indipendenti come una fase che può anche durare per sempre, ma che comunque non comporta la separazione totale, ma sia un modo di vivere insieme. Queste sono due culture fortemente presenti fra gli israeliani e completamente opposte, e che, se oggi stanno insieme nel "campo della pace", come dicono loro, un domani arriveranno allo scontro. Entrambi gli israeliani vogliono la pace con quello di Hebron, ma uno dice "io a Hebron non ci andrò più e non voglio che quello di Hebron venga aTel Aviv", l'altro dice "no, io a Hebron voglio continuare ad andare e ho piacere che quello di Hebron venga da me, in condizioni di parità". lo vado ancora più in là: sono convinto che i palestinesi, una volta ottenuto lo stato nella Cisgiordania, in Gaza, cioè nei confini del '67, chiederanno di tornare a Haifa, eccetera ... Sono convinto che i discorsi dell'estrema destra israeliana su questo punto siano veri. E' evidente che. una volta che saranno nati i due stati, lo spazio fisico non

permetterà assolutamente, se non a prezzo di una violenza estrema, una frontiera forte fra questi due stati. Ci sarà invece la necessità di continuare a lavorare, di mantenere un'economia che, per esempio a Tel Aviv, è completamente integrata. Non solo, ma Israele, la Cisgiordania e la Giordania sono un unico spazio geo-politico naturale. Gli israeliani hanno un esercito fortissimo, una coesione interna fortissima, basata non sulla coercizione ma sulla libera scelta; i palestinesi hanno un movimento di liberazione che è riconosciuto dal mondo, fortissimo. E in Cisgiordania, dove l'OLP è forte, l'ossatura dell'OLP è la borghesia, cioè i commercianti, gente che vive di turismo, normalmente indisciplinata, ma che nel momento del bisogno rinuncia a delle cose, va in galera. Sono due popoli fortissimi e organizzati molto bene, con organizzazioni capillari. Però hanno bisogno l'uno dell'altro perché i palestinesi non possono sopravvivere senza venire a lavorare a Te! Avive l'economia israeliana ha bisogno della forza lavoro palestinese. Pensi quindi che sarà possibile una convivenza anche dopo tutto quello che è successo? In realtà io credo che gli israeliani e i palestinesi siano molto simili gli uni agli altri. Per esempio, ho visto dei leader importanti palestinesi in alberghi romani ed è impressionante la somiglianza fra gli uomini di sicurezza palestinesi con quelli israeliani. Vestono allo stesso modo, hanno queste giacchette estive, a maniche corte, per nascondere la pistola, gli stessi movimenti nervosi, anche fisicamente sono identici, perché gli israeliani che fanno questo lavoro sono tutti sefarditi ... I palestinesi sono cento anni che vivono la colonizzazione sionista e che ci si devono confrontare. E se questa colonizzazione sionista per certi versi è stata atroce -nel '48 dei palestinesi furono caricati sui camion e portati altrove, nel '56 ci fu l'eccidio di 46 persone, poi ora con l'Intifada- è anche certamente basata su ideali democratici. Nel sionismo, cioè, c'è una contraddizione immanente fra il suo essere colonialista, che lo spinge ad escludere coloro che abitavano su quella terra, a espellerli addirittura, e il suo ethos profondamente democratico, quasi anarchico. Allora i palestinesi, confrontandosi col sionismo, sono stati in qualche modo contagiati dal suo spirito democratico, liberale, quasi anarchico, e da quello antiautoritario che in Israele è molto forte e i cui tratti si ritrovano anche scritti nelle Leggi. Teniamo poi presente che i palestinesi, per vari motivi, sono anche i più istruiti fra gli arabi e questo provoca una situazione di occupazione militare molto strana e inusuale: il soldato israeliano che viene spedito nelle città della Cisgiordania -in Gaza la situazione è già diversa- si confronta con della gente molto ben istruita, che ha fatto le scuole: entrambi parlano un ottimo inglese, hanno letto gli stessi libri, i palestinesi guardano la tv israeliana, vedono gli usi degli israeliani. E credo che questo sia uno dei motivi della crescita, anche nei palestinesi, di questo spirito di ribellione, anche individuale, di non accettazione del proprio destino, di andare contro, di opporsi, di resistere. Dopo 25 anni di occupazione militare è un popolo che non si piega, non c'è verso. Questa è una delle somiglianze. L'altra somiglianza paradossale - anch'essa strettamente connessa a questo spirito anarchico e libertario- è che, contrariamente ali' opinione comune, l'uso della violenza è molto limitato da ambedue le parti. Rispetto ad altre situazioni di guerra civile -e possiamo dire che quella è una guerra civile- lì le vitti me sono poche, le violenze non sono tremende, non c'è un uso generalizzato della violenza, non ci sono bombardamenti, sgozzamenti, non vengono rasi al suolo villaggi, moschee, eccetera eccetera. Non c'è paragone con l'Algeria degli anni '50-'60 o col Libano degli anni '70-'80 o con la Jugoslavia di oggi. E sono convinto che questo dipenda dal fatto che il nemico è considerato uno simile a te, non lo si considera una bestia da sgozzare. Ne sono convinto anche dai colloqui che ho avuto con la gente: non c'è assolutamente una logica di sterminio, di terra bruciata ... Poi ci sono le somiglianze psicologiche. Il vittimismo, per esempio, che si accompagna alla convinzione di vivere una condizione di cui la coscienza del mondo deve prendersi continuamente cura, è identico fra gli ebrei come fra i palestinesi. Un'identificazione, quasi, dell'etica del mondo con il proprio destino, che poi alimenta in entrambi una straordinaria forza di resistenza. Ma le cose non stanno cambiando in peggio? Non c'è il rischio gravissimo del diffondersi del fondamentalismo fra i palestinesi e di una certa fascistizzazione delle giovani generazioni israeliane, cresciute nell'Intifada? Queste cose che dici ci sono, ma non credo siano molto gravi. L'integrai ismo c'è dappertutto nel mondo arabo e quindi c'è anche tra i palestinesi. C'è molto in Gaza e non so bene le ragioni di questo integralismo in Gaza perché, a differenza di quello che comunemente si pensa, a Gaza i quadri dell' integralismo islamico non sono i poveri, i diseredati, i profughi, che per lo più stanno con l'OLP, quanto invece i professionisti, i benestanti, medici, avvocati, ingegneri. 1nfatti quando Israele espulse i 400, prendendo, se vuoi, una decisione criticabile o condannabile, una delle cose più squallide fu la propaganda che gli stessi deportati cercarono di fare dicendo: "noi non siamo dei tagl iagole, siamo prof esQUANTO COSTANO GLI UOMINI Sarajevo, un nome che ci peserà sulla co- sull'Europa, su ciascuno di noi peserà invescienza. Se ancora sapremo ascoltare la ce il giudizio. Quanto meno di omissione. voce della coscienza. Quel che sta succe- Abbiamo assistito inermi, apatici, indifferendendo da due anni, e che continuerà a sue- ti. "Mani Pulite". Ma perché l'Europa non è cedere anche dopo il trattato di ''pace", è uno intervenuta? Prima di accusare ONU o USA, di quegli eventi che segnano la memoria e Eltsin o Tito, i fascisti della Croazia o i comudiventano giudizio. Le guerre passano; la nisti della Serbia: perché l'Europa, noi non guerra civile resta. Abbiamo conosciuto un siamo intervenuti? Che non si debba intervenuovo delitto, la ''pulizia etnica". Hitler ucci- nire troppo tardi nella prossima quarta guerdeva per eliminare; i serbi generano per ra, per il Kosovo o la Vojvodina o la Macedosopprimere. Tutti e due in modo intenzionale nia. Sempre più spesso si ripete che al/'orie sistematico. Razza o nazione, è sempre la gine non c'erano le obbiettive difficoltà tecnistessa ossessiva affermazione dell'identico, che per un intervento, ma gli opposti interesdel "se stesso" e la violenta esclusione del- si e lepaure tra Francia-Inghilterra e Germal'Altro. Così tremila donne sono state stupra- nia: i Serbi servono per bloccare il mercato te per far nascere "gli uomini migliori". tedesco. Ma non è orrendo tutto ciò? Con 8 . Da son eCaàs~ 1rf omB°f à riCOO potremo ancora parlare di diritti sionisti". E infatti gli israeliani avevano preso i quadri dirigenti. Cosa succederà con questo integralismo io non lo so, però so che, paradossalmente, quando loro sono stati espulsi tutti hanno detto: "vedrete che questa espulsione bloccherà il processo della pace" equesto invece non è avvenuto. Anzi, di loro nessuno parla più, sono dimenticati e allora vuol -dire che questo integralismo poi non è tanto forte, fra i palestinesi, quanto noi abbiamo pensato. Almeno si spera. Per quanto riguarda il rischio di fascistizzazione in Israele, credo che dei fascisti ci siano anche, ma la vittoria di Rabin dimostra che un rischio reale non esiste. Credo, anzi, che Rabin sia più a destra dell'opinione pubblica israeliana, anche se non sono in grado di provarlo. Sono convinto che una volta avviatosi un processo di pace le cose andranno meglio, nel senso che sia l'integralismo che il fascismo perderanno terreno. Ti racconto un aneddoto di come sia facile, poi, convincere la gente. Un giorno, prima dell'Intifada, tornavo da Hebron con un taxi e andavo verso Tel Aviv. Scendendo nel deserto della Giudea al tramonto ci si trova davanti al paesaggio forse più bello che ci sia al mondo, una cosa quasi metafisica, straordinaria. E il tassista mi disse: "che peccato sarà restituire questi posti a loro". Siccome, però, strada facendo, passando per i vari villaggi, il tassista aveva una paura fottuta, tremava dalla paura, gli dissi: "tu tremi dalla paura, in questi posti non ci vieni mai; immaginati allora di potere venire qui senza la paura, con l'unico problema di far vedere il passaporto al confine. Ti dispiacerebbe?" E lui ha dovuto ammettere che no, non gli sarebbe dispiaciuto. E' importante cominciare questo processo, poi certe paure verranno meno. - umani? Era il vanto della coscienza europea. A Sarajevo abbiamo bruciato la coscienza. Hanno ragione i paesi musulmani quando ci imputano di agire con due pesi e due misure. Ha deciso il mercato e noi abbiamo eretto un nuovo muro. Per i ricchi. Ai pacifisti arrivati con le loro bandiere iridate fino a Mostar, il vescovo Rakko Peric ha freddamente osservato: "Queste cose non servono a niente. Bisogna andare a Londra e a New York, dai signori che hanno in mano le chiavi di questa guerra". Noi non siamo neanche scesi in piazza. La pace bisogna conquistarla qui, sopra i nostri interessi immediati. Ma siamo capaci di autocritica? Quasi un anno fa il patriarca serbo Pavle e il cardinale cattolico Kuharic hanno scritto: "Con una stessa voce: fermate, immediatamente esenza condizioni, tutte le ostilità. Sia permessa al clero musulmano la possibilità --.-r:-.~.' t di svolgere senza ostacoli il suo ministero. Condanniamo e ci dissociamo da tutti i criminali, quali che siano il popolo o l'esercito o la Chiesa o la religione di cui pretendono essere membri". Altri appelli sono seguiti di tutte e tre le comunità religiose fino ai più recenti di esplicita autocritica per le politiche dei propri governi. Se il Nemico si costituisce come proiezione della colpa, la pace si costruisce assumendo la colpa. Ma siamo capaci noi, in Europa, di questa coscienza? Il timore è che stiamo diventando quella folla il cui ideale di tranquillità è, come diceva Hegel, la birreria. Dopo Sarajevo si è almeno capito che, se si può discutere su Maastricht per fare l'Europa, non si può transigere sulla coscienza e i diritti dell'uomo se non la si vuole ridotta a mercato. Sergio Sala. UNA CITTA' 3

Sarajevo e noi Emilio Casalini, studente di scie11ze politiche di Padova, era a Sarajevo con il gruppo di Beati i Costruttori di Pace che permanentemente risiedono a Sarajevo e che dovevano preparare l'arrivo dei partecipanti alla spedizione di Mir Sada nonché organizzare la distribuzione degli aiuti. Alla fine ben 4500famiglie erano disponibili ad ospitare i pacifisti, ed era stata preparata un'accoglienza festosa a coloro che stavano rischia11dola vita per rompere l'assedio della città. Secondo Emilio la popolazione ha poi capito le difficoltà insormontabili di fronte alle quali si sono trovati i pacifisti e non hanno mutato il loro atteggiamento di grande simpatia. Dopo un impegno estenuante del gruppo di "permanenti" a Sarajevo, almeno il carico di aiuti è riuscito ad arrivare in città ed essere distribuito autonomamente dalla protezione civile bosniaca, ottenendo così il risultato di una maggiore capillarità e autogestione della distribuzione. Tu eri a Sarajevo quando era in corso l'operazione Mir Sada. Puoi raccontarci il clima della città? L'aspetto di grandissima difficoltà della vita a Sarajevo attualmente, non è la sopravvivenza fisica, perché in questo momento gli aiuti umanitari consentono una sopravvivenza alimentare e di acqua. Il loro problema è psicologico: molti dicono "noi impazziamo", "non riusciremo ad affrontare un nuovo inverno". La tensione di sentirsi assediati, la sensazione di essere come in un campo di concentramento a cui ogni tanto qualcuno dà da mangiare, tipo bestie in gabbia, sono terribili. Non potere uscire pur avendo tutti i documenti in regola, gente malata di cancro che ha bisogno di visite e non può uscire ... E contemporaneamente vedere attorno a sé gli osservatori e i giornalisti di tutto il mondo, essere, cioè, in una realtà di totale isolamento dal mondo con tutti, gli osservatori del mondo lì dentro, fa andare fuori di testa ... Ti vedono come quelli che sono lì per aiutare, però poi ogni notte cadono le bombe ... Vedono i giornalisti, tutti belli bardati, con le loro apparecchiature, comunicare col mondo attraverso i satelliti e loro non lo possono fare. Non è un caso che con il problema della piccola Irma abbiano subito parlato di zoo e di supermercato, perché si va lì e si guarda, si parla e poi si torna a casa. E' una sensazione tremenda quando si lascia Sarajevo con il nostro bel tesserino che ci permelle di prendere l'aereo quando vogliamo. Una sensazione che loro non possono avere, loro sanno che tu puoi essere fuori a qualsiasi ora, basta che lo decidi e loro magari hanno una figlia malata ... Mi dicevano che il progetto Irma all'inizio è stato progettato dalle reti inglesi e finanziato in parte dalla stampa inglese e in parte dal governo inglese per un rendiconto di immagine ... Per non parlare poi dei soldati dell'ONU che sono terrorizzati solo a sentir parlare di bombardamento americano, perché potrebbero essere le prime vittime della rappresaglia dei serbi. A me hanno mostrato l'ingresso in cui le ragazze vanno alla sera a prostituirsi nella caserma dell'ONU per niente, in cambio di scatolette e sigarelle. E poi c'è il problema -ma questo non solo in Jugoslavia, anche in Somalia e da altre parti- della sparizione di gran parte degli aiuti. A volte a Sarajevo si arriva anche al 30-50% degli aiuti inviati. E' una denuncia che si dovrebbe fare anche se è molto difficile provarlo. E questa roba che sparisce viene venduta poi al mercato nero. Vedi le scatole11econ il marchio dell'ONU ma unp può sempre dirti che sta vendendo la sua razione. In realtà tulli sanno che non è così... In questi giorni la tensione bellica si è molto allentata, si spara poco durante la nolle e la gente è fuori nelle strade. E' una popolazione che ha mantenuto un'unità e una dignità inimmaginabili. Appena possono escono e hanno un gran contegno, anche nel vestire, molto più di noi giornalisti, che siamo molto trasandati. Appena c'è un po' di tranquillità riaprono i bar e i negozi con quel poco che hanno, con un minimo di benzina fanno andare un generatore e fanno un po' di musica nelle strade. I bambini hanno ormai fatto il callo agli spari, ma la prima volta che li senti mentre stai camminando ti viene un brivido alla spina dorsale ... senti il colpo alle tue spalle, sai che stai passando in una zona scoperta e non sai se arriverà anche il proiettile. Questo è il clima di terLa sensazione del campo di concentramento dove però giornalisti di tutto il mondo vanno e vengono. li contegno, la dignità, l'ospitalità della gente di una città che resterà per sempre simbolo della convivenza umana e della resistenza alla cattiveria. Intervista a Emilio Casalini. rore che hanno creato a Sarajevo. I cecchini che controllano una strada lasciano magari passare 50 persone e poi colpiscono il cinquantunesimo in modo che quelli già passati e quelli che devono ancora passare non sanno più cosa fare, se andare avanti o tornare indietro. E poi ogni zona è un luogo di pericolo perché la granata arriva dal cielo in verticale e nessun palazzo ti può proteggere da una granata. Addirittura hanno sparato negli uffici con la contraerea, mi hanno portato sul posto, proiettili di contraerea contro la popolazione civile ... Ma loro ormai convivono con tutto questo ... però a livello psicologico non ce la fanno più ... Sperano in un intervento? Tutti sperano in un intervento NATO che potrebbe da una parte finalmente risolvere la situazione perché si attacca l'aggressore, dal1 'altra però sanno bene che l'intervento NATO non distruggerebbe neanche la minima parte delle forze serbe e che la rappresaglia delle forze serbe potrebbe essere un massacro per Sarajevo. Mi spiegavano che le forze serbe su Sarajevo si muovono continuamente sui monti, non hanno una posizione stabile, trasportano i cannoni coi muli per non essere individuati dagli infrarossi. Per cui anche un attacco americano non riuscirebbe a creare delle perdite ingenti nelle forze che accerchiano la città. E così loro da una parte sperano nell'intervento, ma dall'altra sanno che cosa può loro capitare. E' certo comunque che se i serbi attaccassero Sarajevo, verrebbe fuori una battaglia casa per casa, perché sono pronti a fermarli ad ogni casa. Nonostante ciò continuano a sperare. Ho fatto le foto a una coppia che si era appena sposata, a uno che stava mettendo a posto una galleria d'arte bombardata perché -mi ha detto- "le opere d'arte torneranno". Hanno una grande speranza dentro e l'idea di distruggere Sarajevo è quella di distruggere il simbolo di un'unità interetnica che resiste a tutto. L'hanno distrutta in tutta il resto della Yugoslavia, ma in Sarajevo resiste, perché lì convivono tulli, mussulmani, serbi, croati, ortodossi, cattolici, ebrei, tutti. Le stesse macchine dell' HVO, della polizia militare croata che a pochi chilometri di distanza si stanno scannando con i bo niaci, in città girano normalmente. E si fermano nei bar perché Sarajevo è la loro città. Ai serbi di Sarajevo nessuno ha torto un capello malgrado quello che altri serbi stanno facendo alla città, e loro stessi temono più la rappresaglia dei serbi che li considerano traditori ... Sarajevo è iI simbolo della convivenza passata e può essere il seme di quella futura. Ci dicevate prima del concerto che era stato organizzato per l'arrivo di Mir Sada. Un'esperienza toccante. Il concerto è stato bellis imo, toccante, con tutte le candele che avevamo portato. Si esprimevano con i loro mezzi semplici, ma hanno dato tutto quello che avevano: la loro arte che è ancora viva in Sarajevo l'hanno data a noi quasi come simbolo da portare fuori al mondo, per affermare che loro non cedono su niente, in particolare sulla loro dignità umana. Ha poi parlato il Sindaco di Sarajevo e ha parlato il capo delle forze armate bosniache e questo è stato un momento molto forte. Ha letto un messaggio in francese ed era una specie di poesia d'amore e di pace tra tutti gli uomini. L'ha letta quasi piangendo e lui è il capo delle for.i:earmate bosniache. In una situazione come quella, di estrema violenza, che provoca a sua volta reazioni altrettanto crudeli e violente, rimane quella sensibilità e quell'ideale. E anche le cose più semplici -miss Sarajevo che ha partecipato-ci fa capire come si attaccano ancora con tutte le forze a tutto quello che li unisce alla vita di prima. Per non parlare poi della loro ospitalità che è stata squisita. L'altra sera sono stato a casa di un mio amico, mi ha invitato a cena, io avevo freddo e lui mi ha dato un maglione. E gli ho detto "insomma, sono io che porto gli aiuti, e sei tu mi dai da mangiare, da dormire, da vestire ..." E' gente belumani sono estremamente forti e quelle persone, passate attraverso le prove più difficili, insegnano tanto. Poi, comunque, il legame non si rompe perché anche noi stiamo lavorando soprattutto con le lettere che sono estremamente importanti perché tutti hanno ormai dei parenti fuori. Siamo il tramite di questo contatto umano che non vuole interrompersi. Adesso che torno là avrò lo zaino pieno di lettere, centinaia e centinaia di lettere che porteremo lì e distribuiremo casa per casa, perché è importante che le varie comunità in Italia, in Francia, in Germania, in Croazia mantengano questo legame con i familiari e anche con la rappresentanza al- '»- ·/ ~;J-.H.'_. .. ,,., < .:{S<:d9'0 ''••'""·••• :. :~~~:;;- f 1:~~?i;;,,~,❖: ,. :~ ~~~~: lissima. L'immagine che mi è rimasta più viva è quella che mi evoca la canzone che ha cantato un ragazzo, che è "la dolce Sarajevo". Che è quasi di contrasto con tulla la violenza che c'è, eppure continua a esprimere lo spirito di que 1a città. Una ci11à che esprime ancora rapporti umani che sembrano fuori dal tempo e impensabili per quella realtà. Sarajevo sarà ancora per molti anni un simbolo di resi lenza, contro i problemi del la guerra che vengono riportati a livello religioso. contro i problemi politici, geografici, contro tutte le violenze. E negli anni futuri che andiamo ad affrontare, che saranno pieni cli violenze. di tensioni, di scontri di interessi economici e territoriali che assumeranno I' aspe110della guerra etnica. il ricordo cli Sarajevo resterà vivo, l'insegnamento di una città che non solo ha resistito a una tremenda violenza ma che ha continuato. contemporaneamente, a mandare un messaggio di convivenza. lo ho finito il mio incarico, ci sono altri che seguiranno il progetto, ma ci tornerò perché ho lasciato quasi ali' improvviso la gente. Ho il desiderio di tornare per condividere con loro ancora qualche momento, perché all'interno di quella situazione così disastrata si respira un clima che nei nostri paesi occidentali, nella cultura del benessere non si riescono più a vivere. I rapporti l'estero di comunità del loro popolo, che è una cosa molto interessante dal punto vista politico, una diaspora che sia attiva, che raccoglie il sostegno e la solidarietà da parte di altre popolazioni e che diventa sostegno alla resistenza della ciuà. Per esempio mi ha appena telefonato il sindaco di Ragusa e mi ha detto che lì si è creato un centro di solidarietà costituito da persone fuoriuscite da Sarajevo e che questo centro diventa un punto di riferimento molto importante per la solidarietà da parte della popolazione italiana. Quindi non più attraverso la televisione che fornisce notizie molto asettiche e spesso falsate, ma attraverso un tramite diretto. Anche per questo si può dire che Mir Sada non è fallito, perché ha portalo avanti l'idea che la gente e i paesi in pace intervengano. non si estranei no da questi problemi. Occorre diventare consapevoli e cominciare a creare queste reti che non sono di protesta fine a se stessa o di terrorismo, ma sono forme di non violenza che cercano di andare oltre i confini degli stati, di abbattere veramente queste frontiere non solo sul la carta, ma concretamente, tra la gente che comincia a preoccuparsi della sorte di quello che gli sta vicino, pensando a lui come a un compatriota. Di questo negli anni a venire ci sarà bisogno. -

.;,.•, {., '¾::X:, wt Sarajevo, 5-4-93 Miei cari, voglio aggiungere qualcosa alla lettera della mamma. li lato buono della situazione a Sarajevo è che Sarajevo vive, non si arrende, combatte, non ha perso il coraggio; "loro non possono farci nulla" come ha detto , 31 in TV Kike (è un conduttore televisivo, ndry e "loro" sono questi androgini che mettono sulle nostre spalle i vari Milosevici, Seselji, Arkani, Karadzici e simili. In questa stagione abbiamo avuto cinque prime teatrali, sono state composte con successo carizoni e poesie, abbiamo avuto numerose mostre, in una delle quali, dedicata da Afan Ramie al proprio figlio morto, ho incontrato Memica a cui ho chiesto di telefonarvi da Ginevra. Il giornale esce regòlarmente, nonostante l'edificio dove si trova sia praticamente distrutto: Oslobodenje è stato dichiarato il giornale dell'anno in tutto il mondo. La gente esce nonostante le granate e i cecchini (sappiamo che guadagnano 500 marchi tedeschi per ogni ucciso) e in giro si inventano anche barzellette. L'altro Sarajevo, 19-7-93 Cari amici, abbiamo ricevuto con grande gio- ce la fa più ad aspettare che quel convoglio ia la vostra lettera. Reso e io stavamo facen- parta e vuole andare a piedi in Italia. Sanjin e do la fila per l'acqua quando Sanjin ha portato Ena non volevano lasciare il babbo e la nonna la lettera. La situazione qui non è molto cam- a casa da soli, ma negli ultimi mesi hanno biata, anzi è peggiorata. Siamo rimasti per un cominciato ad avere problemi con gli altri lungo periodo senza luce, gas, acqua, pane. bambini. Abbiamo sempre pensato: se stiali telefono non funziona. Nell'ultimo pacco di mo insieme sopportiamo tutto più facilmente. aiuti umanitari c'era: latte in polvere, sapone Ma ora abbiamo capito che non possiamo e detersivo e in quantità che si misurano in aspettare più, che dobbiamo salvare almeno grammi. .. Che cosa mangeremo? Ho perso i bambini. Se non riusciamo ad uscire dalla ogni speranza che riusciremo ad uscire da città prima dell'inverno, non credo che i bamquesto inferno. II16 luglio Reso ha comprato bini arriveranno alla primavera ... Ena è dimai biglietti per il pullman di un convoglio che grita tanto, adesso porta i vestitini di due doveva uscire da Sarajevo, ma il giorno dopo taglie più piccoli ed è spesso malata. In quesul giornale c'era la notizia che la partenza del sto momento è a letto, ha la febbre alta e ha convoglio è stata rimandata di una settimana una tosse che la soffoca -e fuori ci sono 30 (quel convoglio non è mai partito, ndry. La gradi. Non so cosa può succedere in inverno cosa peggiore è vedere che i tuoi figli sempli- senza luce, gas, legna, medicine, cibo. Ingiro cemente spariscono e noi genitori non pos- ci sono barzellette nere: la sai ladifferenza fra siamo fare nulla. Gli altri decidono della tua Auschwitz e Sarajevo? Ad Auschwitz c'era il vita e il popolo può solo soffrire come una gas... Per quanto riguarda me tutto il giorno bestia. Ogni giorno che passa siamo in meno: mi occupo dei bambini in cantina o nell'apparchi non è stato ucciso da una granata o da un tamento. Solo l'anno scorso quando Reso è cecchino muore piano di fame, esaurimento, stato ferito alla pancia uscivo tutti i giorni per malattie. Chi sopravvive non rimane di sicuro andare all'ospedale. Nei primi mesi della guernormale. Tanta gente è come impazzita ed è ra ho continuato a lavorare, ma adesso sono curata al reparto di psichiatria; i dottori consi- disoccupata. Delle mie amiche ne sono rimagliano che ai primi segni di esaurimento si ste due, Melita e Nikica. Non credevamo che vada alle equipe d'aiuto costituite nei poliam- sarebbe successo quel che è successo. Adesbulatori. Di noi quattro l'unico ottimista è Reso. so sembra che in tanti avessero chiaro tutto, Ripete sempre che andrà bene, che il peggio ma non ci credo. C'è chi dice che questa passerà, che dobbiamo resistere. Ormai an- guerra sarà la migliore delle scuole, spero che i bambini dicono che il loro padre è un che il prezzo da pagare non siano i miei figli. bugiardo perché da un anno ripete la stessa A tutti è chiaro che ormai Sarajevo è un storia, ma le cose vanno solo peggio. Sanjin campo di concentramento, qui significa tanto (dieci anni, ndry e Ena (cinque anni e mezzo, se qualcuno ti manda un paio di parole, vuol ndry non sono più bambini, in questi 16 mesi dire che ti pensa, che ti crede vivo e questo sono molto maturati. Capiscono che abbiamo aiuta a sopportare ancora. Cara mia, ho scritperso tutto, a parte la vita nuda e cruda. to di tutto un po', penso che ti interesserà. Hanno imparato cosa significa fame, morte, Spero che ci vediamo presto e parleremo di risparmiare; hanno visto i feriti, i mutilati, gli tutto! Se il convoglio non parte vi scriveremo uccisi; hanno dimenticato cos'è la libertà, ancora. Saremo felici se rimarremo in contatgiocare, stare fuori di casa, fare una passeg- to. Non stare a pensare tanto, scrivi le cose giata, ascoltare la musica, andare ai compie- che ti vengono in mente, sono molto interesanni degli amici; Ena ha dimenticato l'aspetto santi anche le piccole cose di Bojana, della dei peperoni, dei cetrioli, dell'uva ... Venerdì sua scuola nuova, delle pizze che mangia; mi ha chiesto: "possiamo andare da Bojana a tutto quello che riguarda la vita normale, di piedi? (Bojana è un'amica che risiede in Italia, tutti i giorni: ci ricorda i bei vecchi tempi ... lato della situazione è che vogliono uccidere la Bosnia. Dalle lettere di Gabi vedo che non capite lo scopo di questa uccisione, di questo crimine che la storia non vuole registrare. Probabilmente perché le informazioni arrivano soprattutto dai media di Belgrado, che sono diventati la più grande fabbrica di bugie al mondo. Lì Goebbels sarebbe un principiante. Non si può descrivere, e tanto meno capire da lontano, le cose che questi mostri hanno fatto e ancora fanno in Bosnia. Per ora a pagare sono i mussulmani, ma il peggio toccherà ai serbi che non potranno ripulire il loro nome sporcato dai loro rifiuti. Dopotutto il "padre della nazione" Dobrica Cosic scrisse un tempo che nel popolo serbo c'è una percentuale eccezionalmente alta di scarto, e adesso ce la stanno facendo vedere. A Sarajevo in un anno sono state uccise circa diecimila persone, di cui 1500 bambini. Ma un bilancio reale si potrà fare solo quando questa pazzia sarà finita. E' importante registrare, ricordare tutto, non per motivi di odio o vendetta, ma per evitare che abbia a ripetersi. Mirko Kovac ha scritto: ogni nazionalismo fiorisce non sull'amore per il proprio popolo ma sull'odio per l'altro. La vita scorre più che monotona. Esco solo quando è necessario, anche per la tranquillità della mamma, che ieri è uscita per andare per la seconda volta in un anno dalla parrucchiera. Generalmente viviamo grazie agli aiuti umanitari. Da Boro abbiamo ricevuto un pacco e da Loni quattro, che sono arrivati proprio al momento giusto. Non lo dimenticheremo mai. Dei prezzi è meglio non parlare. Oggi la mia pensione di giornalista vale circa 5 marchi tedeschi, oppure un pacchetto e mezzo di sigarette, o due uova, o un etto di carne, o tre etti di cipolla, o mezzo chilo di zucchero ... Svjetlana ha mandato un pacco da Belgrado, ma non è ancora arrivato. L'abbiamo avvisata di non mandare più niente perché sappiamo che anche là non fioriscono le rose. La guerra, oltretutto, è una cosa molto costosa e ci riporta tutti indietro di un secolo -e questi androgini vogliono riportarci al XIV secolo! Il XXI secolo per noi sarà solo un sogno. Può darsi che tutto si calmi, tutti sono stanchi della guerra, solo quelli che non sanno dove andranno e capiscono che la pace sarà come una condanna a morte per loro, giuridica o politica, vogliono continuare. Forse durante aprile le cose si chiariranno un po', vedremo. Vi diamo il numero di telefono del vicino, provate a chiamarci. Hanno promesso di far funzionare qualche linea telefonica verso occidente. Saremo felici di sentirvi, e come! Per fortuna finora ci assiste la salute. Speriamo. Contattate i rappresentanti bosniaci, se ci sono, aiutate la Bosnia in ogni modo possibile, ogni aiuto è benvenuto, anche se è solo una buona e bella parola. Tanti saluti. B f dry. Toare 0 cassGiirlOf?" ~ 01 àntco· UNA CITTA' 5

fuori le 111ura .. Le difficoltà della scuola tedesca per i bambini italiani. La posizione della donna. Il problema della doppia nazionalità. Il rischio di una multiculturalità facile, da supermercato. Intervista a Maura Lucci. Maura Lucci Mundersbach vive a Mannheim, dove lavora come psicologa e assistente sociale al "Gemeinschaftzentrum ", centro sociale pubblico per la popolazione cattolica del quartiere Jungbusch. Che tipo di quartiere è quello in cui operi? E' il quartiere dove c'è la più grossa densità di stranieri di tutta Mannheim: lo Jungbusch, che significa "giovane cespuglio". Lo Jungbusch è conosciuto dappertutto aMannheim perché è il quartiere dei bar e i bar in Germania sono luoghi di spogliarello, "a luci rosse". Non è un caso che molti stranieri abitino in questo quartiere: gli affitti sono molto bassi perché le abitazioni sono estremamente fatiscenti e non ci sono fondi per la ristrutturazione. La tendenza del le persone che vengono allo Jungbusch è di fermarsi qua per un po' di tempo e poi trovare una "socia) wohnung", una casa sociale altrove, e andarsene. Ultimamente si è cercato di migliorare la qualità abitativa del quartiere. Oggi ci sono 3 studentati che sono stati inseriti per migliorare il tessuto sociale e per aumentare il numero dei tedeschi giovani. Nello Jungbusch ci sono 4700 abitanti: 2700 sono stranieri, il resto sono tedeschi, ma soprattutto anziani. Bambini tedeschi ce ne sono molto pochi e quei pochi sono figli di madri nubili, quindi fanno parte della fascia sociale più svantaggiata e si trasferiscono qui perché le case costano poco. Gli italiani sono solo un migliaio, mentre i turchi sono 1500. Poi ci sono famiglie jugoslave, famiglie spagnole e anche alcuni asilanten. Che cosa prevede la tua funzione? La mia funzione, sulla carta, è quella di occuparmi, da un punto di vista socio-pedagogico, della parte cattolica della popolazione dello Jungbusch. Concretamente significa occuparmi in prevalenza della seconda generazione, cioè dei nati qua e dei giovani. Organizzare, per esempio, per i bambini e per i gio- . vani, il doposcuola, perché la scuola in lingua tedesca per questi ragazzi presenta difficoltà estreme; quindi un doposcuola dove possano fare i compiti seguiti da persone che conoscono la lingua tedesca e che li possono aiutare. La scuola tedesca non è a tempo pieno; è una scuola solo per il mattino dove viene dato mollo valore al sostegno della famiglia. Invece queste famiglie non sono in grado di aiutare i loro figli, non parlano per la maggior parte la lingua tedesca e la capiscono in malo modo e i bambini sono lasciati a se stessi. 1'80% dei ragazzi .abbandona le scuole L'assistenza alla seconda generazione è quindi un punto fondamentale: quando sono bambini, per la scuola, e quando sono adolescenti, per l'ingresso nel lavoro. Si tratta di seguire il giovane perché trovi un posto di formazione in una fabbrica o presso un artigiano e contemporaneamente che continui ad andare a scuola ancora per due anni per potere raggiungere la formazione professionale conclusiva. Qui nello Jungbusch, I' 80% dei ragazzi abbandona le scuole. D'altronde l'emigrazione è essenzialmente una forlì 10/ 19 settembre 1993 via dragoni, 57 Verso SUD 1A ffSfA concerti, dibattiti, incontri in libreria, film... sabato 11 ore 22,00: "Il sud delle Radici" concerto del gruppo "BEVANO EST" lunedì 13 ore 20,30: Tom Benettollo, vice presidente ARCI e alcuni volontari di MIR SADA residenti a Sarajevo "JUGOSLAVIA: UNA GUERRA CHE Cl RIGUARDA" introduce Massimo Tesei - a cura di "Una Città" martedì 14 ore 20,30: Giulio Soravla, professore all'Istituto di glottologia dell'Università di Bologna "RELIGIONE ISLAMICA E OCCIDENTE" introduce Tamer Favali, segr. aggiunto CGIL Forlì - a cura dell'Ufficio Stranieri CGIL mercoledì 15 ore 20,30: don Albino Blzzotto, "Beati i costruttori di Pace" e Raffaele Barblero, coord.to Obiettori Forlivese "DIPLOMAZIAPOPOLARE, DEMOCRATIZZAZIONE DELL'ONU: IL RUOLO DEI POPOLI NELLA RISOLUZIONE DEI CONFLITTI" a cura di COI e Associazione per la Pace di Forlì giovedì 16 ore 21,00: Alide Tassinari, psicodrammatista, presenta "LO PSICODRAMMA ANALITICO: L'INCONSCIO E ILGRUPPO" (Freud - Lacan) sabato 18 ore 18,00: Clara Sereni presenta "IL GIOCO DEI REGNI" ed. Giunti sabato 18 ore 22,00: serata "I sud possibili" con i gruppi "38 SQUAD", "A.N.C." radical sound, "GENERAL JOAN", "I.N.F.D." di Rimini - Rap, graffiti, hip hop, ragga ingresso offerta libera emigrazione dal sud e i genitori che vengono dal sud di solito hanno alle spalle un abbandono molto precoce della scuola, mediamente dopo laquinta elementare. Non deve stupire quindi se poi troviamo un abbandono scolastico così elevato nei giovani. Ma allora cosa fare? La situazione del mercato del lavoro in Germania è tale per cui c'è sempre meno necessità di lavoratori non qualificati. Quindi se un giovane lascia la fonnazione scolastica senza qualificazione professionale, un domani non avrà grandi prospetti ve di lavoro. E tra i nostri, qui nello Jungbusch, abbiamo fatto i calcoli proprio ultimamente che 1'80% dei ragazzi abbandonano la scuola e quindi hanno davanti una prospettiva poco chiara. Allora io mi devo occupare di seguire questi ragazzi che possono frequentare la scuola, accornpagnarli, nel momento in cui abbandonano ripescarli, cercare di reinserirli nel processo di apprendimento, finché è possibile. E questo è solo una parte, perché si arriva ai giovani se si arriva alle madri, perché sono le madri quelle che si occupano dell'educazione. Quindi il tuo compito è anche di fare da tramite con la famiglia? Certo, i I ragazzo non viene certo da me spontaneamente. Si tratta di arrivare alle famiglie, conoscere i casi di disagio, stabilire un rapporto di fiducia con le famiglie, consigliare queste donne, fare anche un lavoro di apertura di queste famiglie. Il ruolo della donna del sud, che qui si ripropone, è quello di stare in casa; non esiste la radio o la televisione e anche se molti adesso mettono l'antenna per potere prendere la televisione italiana, questa gli parla di una Italia lontana e non della realtà tedesca. Dunque le informazioni, rispetto alla rete sociale, non arrivano a queste famiglie: come sono fatte le previdenze, i dottori, gli ospedali. Le informazioni che passano il più delle volte sono distorte, mancanti, non corrette. L'orientamento, anche quello nello spazio, è mancante: il nome delle strade, ecc ... così pure quello nel tempo. Pensa che qui la Krankencasse, che è la Mutua, viene chiamata "a grancassa". Quando io arrivai qua mi dissero: "Io c'ho a grancassa"; Io pensai: avrà un tamburo. La deformazione della lingua rende anche difficile la cornunicazione. Soprattutto tra le nostre donne recepire un sostantivo tedesco e capire cosa vuole dire è estremamente complicato. Noi operatori ci battiamo perché venga mantenuta la doppia lingua. Dico alle mamme: parlate il vostro dialetto, parlate l'italiano; ma siamo sottoposti a delle tensioni formidabili, perché gli asili, le scuole e le istituzioni dicono ai genitori: parlate il tedesco. Come possono delle persone analfabete e che non conoscono la propria lingua, perché è stato loro insegnato il dialetto e parlano in dialetto, insegnare il tedesco ai loro figli? lo assisto a dei casi di disturbi di linguaggio, disturbi di comunicazione, ritardo di sviluppo. dovuti al fatto che dei genitori ambiziosi si sforzano di parlare tedesco ai loro figli. Equesto è un altro problema che riguarda la tutela della seconda genera- - zione, perché a loro dobbiamo dare una lingua che è la nostra lingua e poi metterli anche in grado di imparare la lingua dell'ambiente nel quale vivono. disturbi di linguaggio dovuti a forzature Quindi deve essere un lavoro di apertura della mente, di informazione, di difesa e tutela delle famiglie, di cerniera con le istituzioni. Per esempio qui ora al lo Jungbusch abbiamo messo su un progetto di trasformazione della scuola in una scuola a tempo pieno. E' un progetto modello, perché non esistono precedenti qui nel Baden Wutternberg, ma noi del gruppo di lavoro siamo convinti che in un quartiere come questo, per una scuola come questa dove I' 87% dei bambini sono stranieri, sia necessario cambiare la struttura e tenere i bambini più a lungo, per dare loro una possibilità di stimolazione prolungata e una possibilità di apprendimento diverso. Ultimamente si è molto parlato, ed è stata anche una richiesta dei nostri lavoratori, di una legge quadro per l'educazione scolastica dei figli degli emigrati, che preveda I' insegnamento della lingua italiana nella terra di residenza e che preveda la concessione di un aiuto particolare per i bambini con difficoltà scolastiche. E io aggiungo anche che ci vorrebbe la presenza di un vero e proprio consultorio in lingua italiana. La presenza consultoriale potrebbe anche essere mobile, a giorni, istituita presso i consolati dove le famiglie possano andare a chiedere, perché abbiamo uno stato di disinformazione e di mancanza dcli' idea di educazione e dei concetti basilari del l'educazione che è spaventoso. lo ho lavorato nel servizio sanitario nazionale in Liguria e lavoravo coi bimbi handicappati, ma non ho mai visto tanti bambini con ritardi di sviluppo gravi, gravissimi, come qui in Germania. li meccanismo e il rischio che io vedo è quello di una grande chiusura. Perché, mentre al sud il bambino avrebbe razzolato per le strade insieme ad altri bambini, magari con i suoi deficit, ma almeno avrebbe razzolato, qui invece la donna, che non è in grado di avere una famiglia che la sostiene intorno, si chiude tra le pareti di casa, zittisce il bambino per non aver problemi con i vicini, lo tiene chiuso in casa. In questo modo il bambino viene privato anche di questo tipo di socializzazione e il suo sviluppo si arresta. Certo possiamo guardare al deficit come fa la scuola tedesca che seleziona e dice: scuola speciale, e via. Oppure viceversa possiamo dire: diamo degli impulsi, una possibilità di sviluppo, dei sostegni alla famiglia. Però questo possiamo farlo dove la famiglia ha fiducia in noi, dove la famiglia chiede. Quali sono state le difficoltà che hai dovuto affrontare? Ali' inizio proprio quella di conquistare la fiducia della gente, di essere vista come una persona alla quale rivolgersi in un momento di bisogno. E anche di chiarire per quali bisogni: all'inizio c'era richiesta di soldi, ad esempio. Sì, in un primo momento c'era una certa diffidenza, però direi che questa fase è passata. Ora vengono anche delle persone con delle domande di sostanza, con domande relative ali' integrazione, ali' educazione, alla gestione di problemi educativi e di conflitti: conflitti con la seconda generazione, connitti con la scuola, conflitti con le istituzioni ... Ma l'atteggiamento di diffidenza che rimane e che ancora sento è dovuto al fatto che quando un operatore sociale va troppo in una farnigl ia, quando c'è tutta questa dimostrazione di interessamento, in fondo la cosa è vista male: la famiglia si sente esposta. Mentre vorrebbe sbarrarsi verso l'esterno: tutto quello che succede ali' interno della famiglia, può essere qualunque cosa, deve rimanere dentro. Nel momento in cui si vede un operatore che va, o una famiglia che viene qui da me, è segno che c'è un problema. l'autonomia può costare l'essere tagliate fuori E un problema che mi tocca personalmente, è la posizione delle donne e delle giovani donne di provenienza del sud. E' una posizione molto difficile, non solo per gli italiani, ma anche per i turchi, perché le ragazze arrivano con la tradizione e la mentalità con la quale sono state allevate e si scontrano con una società dove alle ragazze viene richiesta una capacità di autonomia, di giudizio, di impegno, che non è capita o accettata, ma rifiutata. Ho visto delle ragazze farsi mettere incinta perché non erano capaci di trovare una loro via e questa è una soluzione tipica; la ragazza passa una notte fuori con un ragazzo e da quel momento lì è diventata una moglie. Che poi questa scelta sia sensata o insensata, voluta o non voluta, non so. Conosco una ragazza che si è rifiutata di sposarsi e da quel momento è stata vista come la puttana da tutto il suo parentado, per non parlare del parentado del suo promesso sposo ... Anche se, secondo me, per questa ragazza è stato un modo per crescere. Adesso lei ha un lavoro, però si tiene molto a distanza dagli italiani. Questo vuol dire che in questa società le ragazze, se si sviluppano in una direzione di autonomia, corrono il rischio di essere tagliate fuori dai propri connazionali, di non essere più accettate. Questo è uno dei terni più drammatici sulla situazione delle donne, perché non è possibile che una ragazza di tredici anni per poter avere uno spazio di autonomia e di crescita debba tagliare i ponti con la famiglia. Invece sono spesso davanti a questo problema. Adesso si parla di doppia nazionalità, diritto di asilo, di suolo ... Come vedi questa prospettiva? E' necessario che la inseriscano il più in fretta possibile, anche alla luce dei fatti che sono successi ultirnarnente, a Solingen ecc. Secondo me è veramente una decisione politica che devono prendere e smettere di palleggiarsi il problema degli stranieri. Gli stranieri sono un problema finché lo facciamo essere un problema. Quelli che hanno qui la loro residenza, che vivono qui da otto anni, devono poter avere la doppia nazionalità. I bambini nati qui devono poterla avere. Una nazionalità flessibile che si estingue nel momento in cui c'è un ritorno definitivo, ma che nel momento in cui uno è qua la può avere ... Certo, agli italiani interessa che vada avanti il Trattato del- ! 'Unione, però il discorso della doppia nazionalità sarebbe un passo avanti per la risoluzioni di queste tensioni, a questo punto veramente volute. C'è questa richiesta da parte dei nostri immigrati? · Non dai nostri, gli italiani non vogliono la nazionalità tedesca. Credo che gli italiani, e anche i turchi, avranno delle grosse resistenze rispetto a questo discorso. Certo, dipende da come viene formulato, perché la quantità di gente che sceglie di diventare tedesca è minima, ma questo è comprensibile finché esiste l'esclusività "o tedesco o niente". Però, ripeto, ci avviamo verso un conflitto sociale aperto e violento, questo perché i turchi, che sono la nazionalità più presente qua, non possono usufruire del Trattato dell'Unione, e perché il Trattato dell'Unione, che dovrebbe dare il diritto di voto a noi euro-

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