Una città - anno III - n. 24 - luglio 1993

un luogo MONACI ZEN Educarsi alla "postura dello spirito". La convivenza stretta con gli altri e il ritmo serrato delle attività. La pratica della castità. Intervista a Kati Choko Salvaderi. Il monastero di Shobozan Fudenji, vicino a Fidenza, è stato fondato dal maestro Fausto Taiten Guareschi. Vi risiedono stabilmente ci rea 15monaci che. oltre al 'attività religiosa, si occupano della manutenzione e della sistemazione del monastero (in origine era 1111v0ecchia casa colonica) e della coltiva::.ionedei campi che fanno parte integrante della struttura del monastero. Il monastero di F11de11jin, oltre, è il più importante luogo di pratica dello zen Soro (della meditazione seduta= zazen). Come sei arrivata alla scelta di farti monaca? Allo zen sono arrivata quando avevo 18 anni. La mia formazione è cattolica, poi ho avvicinato loyoga, lo spiritismo e tutta una serie di vie che mi sembravano spiritualmente soddisfacenti. In realtà niente di tutto questo si è rivelato tale. Poi lessi per caso un libro del maestro Guareschi che parlava dello zen come di una nuova morale e mi è sembrato unmessaggio che mi desse la libertà; non la libertà che cantavo nelle canzoni di allora, ma una libertà più matura, la libertà di rinunciare a qualcosa, la libertà da se stessi e da tutto. Quindi ho cercato un posto dove si potesse praticare questa via e, a Milano, ho incontrato il maestro Guareschi e il suo gruppo. Una cosa tira l'altra e mi sono impegnata fin dall'inizio. Ho smesso di andare a scuola, ho finito giusto l'esame di maturità, ho fatto in modo di tenermi libera, vivevo facendo delle traduzioni, per avere il tempo di seguire da vicino questa cosa. Nell'84, avevo ventun anni, si è deciso di fondare il monastero. "Fondare" nel senso che c'era una vecchia casa da ristrutturare, qualcuno è venuto ad abitarci e ho chiesto al maestro di venirci anch'io, ma lui mi ha detto di aspettare ancora un anno, il tempo dell'ordinazione a monaca. E così è stato. Cosa vuol dire essere una monaca zen? E ' un graduale, purtroppo, risvcgl io al mio inter-essere insieme a tutto l'esistente. Questo permette anche di passare sopra alle proprie esigenze personali, perché diventa gioioso occuparsi degli altri e non doversi arenare su elci nodi personali. E. quc\to che tutti i giorni mi dli la capacità di non attaccarmi a quello che penso di essere. Un tempo. per esempio. mi svegliavo al mattino e se mi sentivo triste a aIJirc d, quello cerca~i rappresentarmi il mondo in termini di tristezza, facendo combaciare tutto in modo da poter continuare a dire che ero triste, di continuare a esistere. L'insegnamento del maestro Guareschi, che su questo punto è radicale, non permette di dire "Ho voglia, non ho voglia; che bello, che brutto", per cui c'è una capacità di cambiare molto rapidamente. Ma non è un appiattimento, perché si continua ad essere capaci di grandi collere, di grandi disperazioni o commozioni, però c'è questa capacità di voltar pagina molto rapidamente. Iopenso che questo siaquello che sui libri leggiamo come distacco dall'ego e che non significa diventare persone prive di caratteristiche ... Per quanto io viva intensamente, fino in fondo, la tristezza, la gioia, la rabbia, so già che cambierà subito dopo; è una presenza nel corpo. li maestroGuareschi dice "Io educo alla postura dello spirito" e questo coinvolge tutto l'essere. Siamo fatti di una materia pesante che ha bisogno dei suoi ritmi e dei suoi tempi, bisogna seguirla per poterla usare come strumento valido, altrimenti la testa parte per una direzione, il corpo non segue e non nasce niente. L'impressione che il monastero dà è di grande serenità; non ci sono problemi, per esempio dovuti alla dimensione totalmente comunitaria o di tipo sessuale? Riguardo alla vita totalmente in comune stiamo riOettendo e pensiamo di costruire qualche celletta singola per chi risiede qui da molto tempo; inoltre questa non è una clausura, facciamo conferenze all'esterno, andiamo in giro... Riguardo alla questione sessuale va detto che per i monaci zen non c'è la regola della castità, ma qui non si può frequentare l'altro sesso, non è il luogo per farlo. Però non c'è neanche l'obbligo di restare per sempre. Il non avere una vita sessuale non mi disturba e se penso alla vita di coppia penso: "che barba!". Anche quella è una missione e perché duri bisogna rinunciare a qualcosa, trovare una mediazione. Essere qua è come essere sotto una lente di ingrandimento, perché la convivenza stretta con altre persone e il ritmo serrato delle attività non permettono tutti quei diversivi che danno il tempo di pensare che sei una brava persona. Io ho sempre pensato di essere una persona estremamente dolce e remissiva, ma scavando ho scoperto degli inferni. Sei sempre faccia a faccia col problema, sei costretta a fare i servizi tutti i giorni, magari con una persona che non puoi sopportare, sei sempre relazionato agli altri e quindi ti vedi per quello che sei. lo penso che lo zen come pratica cominci da qui e vedo che molti si arenano su questo punto; quelli che riescono a passarci attraverso li vedo venir fuori rifioriti, completamente cambiati. Altrimenti ci si ferma lì. Molti si fermano perché vedono che non otterranno mai niente, anzi, vedono che sei continuamente derubato da qualcosa: davanti ai problemi del mondo tu sei sempre a disposizione e te li scaricano addosso. Ma questo farsi carico non è pesante e divcnta !,Cmprc più leggero se ~i ha la capacità di vedersi. Di vedere quanto pO!,- siamo essere mostruosi o meravigliosi; ma non fa molta differenza: è una dinamica, qualcosa che tulli i giorni si fa, si costruisce, si distrugge e si rifà da capo; senza noia, con gioia. Sì, io penso di essere una persona fondamentalmente gioiosa, anche se sento la tristezza di tullo il mondo. Dicevi che non si è obbligati a restare sempre nel monastero, ma è possibile uscire per un certo numero di anni e poi rientrare? Questa di Fudcnji è una situazione pionieristica: il maestro Guarcschi è il primo maestro europeo riconosciuto che insegna lo zen. E' proprio un'avventura, e quindi non si può parlare di un· istituzione per cui si può o non si può fare qualcosa. Ognuno ha la sua situazione: io sono qui da Ollo anni e per iI momento non ho intenzione di spo- \tarmi; altri sono venuti per unanno e poi !,0110ripartiti, molti praticano nei centri locali e vengono qui per imparare nei seminari e nei ritiri lunghi poi ritornano alla loro vita, alla famiglia; per e%cre ordinati monaci non si chiede di abbandonare la famiglia. Qui ci sono una trentina di clementi trainanti, gli altri sono praticanti. lo starò qui fintanto che ci sarà bisogno di qualcuno che assicuri un ritmo sempre uguale, una pratica costante, per cui altri si possano inserire. Se non ci fosse chi fa queste cose bisognerebbe che ad occuparsi di tutto fosse il maestro e penso che continuerò a dedicarmi a far da spalla al maestro in questo senso per dare a lui la possibilità di fare altre cose. Comunque, se uno vuole una mezza giornata per riposarsi, la chiede. Il problema è che gli altri siano consapevoli della tua posizione e questo è un esercizio alla comunicazione, che è una grossa difficoltà e specialmente le generazioni più giovani sono rovinate da questo punto di vista. Quella della comunicazione è la difficoltà più grossa che ci sia fra noi, quella su cui bisogna lavorare di più. E' molto difficile com,iderare un altro altrettanto importante quanto te e penso che questo atteggiamento sia frullo dell'individualismo sfrenato e un po' malato in cui siamo immersi. Invece un corpo ha bisogno di comunicazione e forse tanti dei grandi problemi del mondo dipendono da una mancanza di comunicazione. La comunicazione è un punto su cui il nostro maestro è spietato: crea apposta delle situazioni in cui bisogna assolutamente comunicare. Il maestro è soprattutto una guida spirituale o è anche una figura gerarchica, dotata di un potere specifico nel monastero? Nella mia vita ho sempre cercato, senza trovarlo, un buon amico con cui capirsi senza bisogno di parlare. Quando ho iniziato a praticare lo zen non ero particolarmente interessata a Guareschi, che allora era a sua volta allievo, ed ali' inizio ero molto diffidente nei suoi confronti, lo studiavo, lo valutavo da lontano. A dire la verità io cercavo un dio e devo dire che Guareschi è stato un po' contraddittorio, come sono sempre le cose reali, poi un giorno l'ho visto in imbarazzo. un imbarazzo che io avevo provocato inconsciamente, ed è da lì che ho cominciato a rispettarlo. Ho visto che era un uomo, non un dio, e che, nonostante avesse tutte le mie paure, aveva imparato un modo di essere dentro che mi piaceva e le cose di cui mi parlava erano quelle che avrei sempre voluto sentire. Sono dodici anni che ci conosciamo e col maestro ho litigato spesso e volentieri. Poi c'è un meccanismo che scatta: tutte queste cose che uno fa all'esterno di sé, sempre lo studio di una postura. di una pratica. di un modo di essere, e si può arrivare al punto di vedersi come delle marionette, di non sentirsi più, di essere scissi in due. Ma quando tutto questo si ricompone è meraviglioso; quando dall'interno scopri lo spirito che ci vuole per riempire quel gesto allora viene fuori la tua vita. tu rifiorisci e lo specchio non c'è più perché sci tutto uno... Dicevi che cercavi un dio, ma tu credi in un dio, nel senso in cui lo si dice in Occidente'? Non so quale fosse I' interpretazione originale del cristianesimo. ma credo al --10sono la via. la verità, la vita·•. ma non è detto che --10.. sia una persona. o forse sono io. A volte mi fa comodo pregare un dio. perché a volte abbiamo bisogno di consolazione: invocare qualcosa è importante.maanchequello fa parte del gioco e non potrei fermarmi lì. Lo zen non è una fede. ma è una pratica che richiede fede. nel senso di fiducia. Per poter praticare in questo modo. perché sia possibile questo cammino, c'è bisogno di un risveglio alle cose, agli altri. alla verità della vita e questo possiamo anche chiamarlo dio. •

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==