Una città - anno III - n. 24 - luglio 1993

gua, alle situazioni che si hanno di fronte. Una valutazione della possibilità di convivenza fra diversi, legata alla mitologia dei diritti del- !'uomo che si è costruita negli ultimi due secoli, dove ci porterebbe nel confronto con gruppi di "diversi" organizzati secondo civiltà molto differenziate? Bisogna porsi il problema da due punti di vista: uno è l'integrazione di quelle realtà che si esprimono attraverso singoli, spesso sradicati o in via di sradicamento, un altro è il contatto fra gruppi culturalmente coesi. Il problema del groenlandese in Italia o in Germania si pone in maniera alquanto diversa rispetto a quello del senegalese. Ci sono migrazioni nei paesi europei che riguardano decine, o al più centinaia, di persone e non creano macroproblemi; il problema c'è quando cominci ad avere centinaia di migliaia, o milioni, di persone. Qui i numeri contano molto. trovatemi una cultura universale universalistica Si può ragionare su questo potenziale elemento di conflitto in termini esclusivi, di valutazione dei diritti dell'uomo individualmente inteso, ma occorrerebbe prima chiedersi perché non funzionano le società europee che sono rette sui diritti dell'uomo. Il problema è decidere se i diritti dell'uomo debbano servire da orientamento nelle situazioni o un dato da applicare tout court ... Io non sono un relativista assoluto, anche il relativismo ha bisogno di un quadro di contenimento, occorrono delle macroregole del gioco entro le quali situare il rispetto delle differenze. Certamente, quindi, un elemento di tipo universale ci deve essere, ma altro è dire uno schema universale, altro è una cultura di tipo universalistico; che poi spesso, purtroppo, non è altro che la proiezione del diritto della propria cultura di porsi come paradigpossibilità è che, una volta che questo si sia manifestato, si possa orientarlo e farlo apparire in forme ben più nobili di quelle delle mille sette che ora proliferano. Il mondo sta andando verso un tentativo di reincanto, di risacralizzazione, con tutti i limiti del caso. Ne potrebbero certo venire delle cose abbiette, ma è così augurabile che si rimanga nelle condizoni attuali? C'è sempre un rischio nelle cose umane che può portare alla tragedia, o anche aprire a soluzioni in positivo. E' impossibile programmare. Se venisse il dittatore universale che dicesse "Da domani si ricrede nella fede" certamente le prospettive sarebbero quelle di una catastrofe. Ma se, viceversa, il filtraggio dal basso di questa pulsione avvenisse in forme graduali e questa riscoperta di una dimensione trascendente e accomunante al tempo stesso, fosse il portato di una serie di domande di senso, perché non ci si dovrebbe arrivare? li problema è non programmarla e non intellettualizzarla. Lasciamo che il gioco delle forze si esprima liberamente. Certo ci potranno anche. essere delle fasi tragiche, ma non è affatto detto che una traduzione in senso religioso, o plurireligioso, del bisogno di sacralizzare il senso della comunità darebbe necessariamente dei risultati negativi. lo non sono uno che rifiuta l'ecumenismo se può essere un modello di ricrescita della tensione verso il sacro. Ma attraverso quali forme politiche è possibile far coesistere una pluralità di comunità ? Nella Nuova Destra si parla molto dell'idea di "impero" e con questo si intende un'autorità riconosciuta, basata su una struttura federale e su forme di democrazia organica, la qual cosa richiede una sorta di sintonia fra i livelli. un impero al plurale, basato sulla fiducia ma universale. lo vi sfido a mo- Se l'impero fosse la nascita della strarmi una cultura universale di grande autorità che impone non segno universalistico: non se ne è sarebbe adatto ai problemi della mai vista una. E' il caso dell'espe- nostra epoca, mase, viceversa, fosranto sul piano linguistico: sarebbe se la costruzione fiduciaria di un unabellacosa,macomefaiquando rapporto di vertice, con vari livelli devi costruire delle strutture !in- ognuno con una dimensione pluraguistiche sulla trasmissione quasi le, il discorso sarebbe diverso. "genetica" di alcuni dati culturali L'idea di impero si deve basare di fondo? Dovresti destrutturare sulla prospettiva della democrazia tutto per poter ricostruire e quindi organica, cioè sul recupero a livelsarebbe come fare un genocidio lo diffuso della voglia di partecipauniversale delle culture percreame re alla costruzione di un proprio una nuova. In realtà c'è una dina- destino politico, culturale eccetera. mica della realtà nei confronti della Se manca questa voglia non è penquale noi saremo testimoni e parti sabile l'aggregazione, se manca in causa e sulla quale possiamo l'aggregazionenonèpossibilepensoltanto indicare degli orientamen- sare il coordinamento fra gli aggreti, non di più. Io sono convinto che gati; è come il famoso castello di un progetto di universalizzazione carte: se tu ne togli una crolla tutto. forzata scoppierebbe nei confronti E non è che l'idea di impero contradella pratica ed è illusorio che gli sti col presupposto di una politica ultraoccidentalisti, per esempio restituita a una dimensione di vera quelli che vorrebbero debellare a cittadinanza, anzi .. forza l'Islam, pensino di poter otte- Questa visione fortemente intenere i risultati che auspicano. Così grata può contrastare con la tencome credo che il mondo islamico sione alla libertà dei singoli ... sia composto anche da un buon Ma perché vogliamo per forza di numero di persone perfettamente cose mettere l'impero, inteso in raziocinanti, le quali sanno che non questo senso, come alternativa rapotranno mai islamizzare tutto il dicale alle scelte di libertà indivipianeta, ed infatti fra spiriti elevati duali? li problema delle libertà indelle varie parti il dialogo è sempre dividuali è sempre quello dellacomstato possibile. Dobbiamo anche posizione di queste con la libertà lasciare dei punti interrogativi, dei altrui, ed è un problema che nessuquesiti aperti, dare delle indicazio- no mai risolverà completamente, ni di massima, poi far passare il perché è intrinseco alla dimensiocammello dalla cruna dell'ago non ne umana. Quando parliamo di sempre è un esercizio facile. impero dobbiamo intenderci: non Ma la dimensione comunitaria, abbiamo modelli storici nel passaè una dimensione basata sul sa- to. Il dato federale, della crescita ero. Oggi, con la secolarizzazio- delle regioni nel senso culturale, è ne ormai compiuta, come sareb- un presupposto di questo tentativo be possibile una risacralizzazio- di formulazione di un livello impene? E sarebbe meglio del disio- riale. Senza questo non avrebbe canto attuale? senso e quindi, in questa prospettiIl problema, innanzitutto, è sapere va, non è tanto il problema della se i I disincanto sia un destino da cui I ibertà individuale che viene in I uce, non si può sfuggire. Io non ne sono quanto il problema dei rapporti diconvinto, tant'è che una società narnici, anche conflittuali, che ci nutrita dal disincanto com'è quella saranno sempre fra le parti di una occidentale attuale, fa sempre più costruzione. Il conflitto in qualche fatica a sopportare questa condi- modo va governato: o lo si schiaczione. La grande esplosione di set- eia o lo si articola. Ci sono forme te, gruppi e gruppetti, che cos'è se possibili di articolazione un mininon un rivelatore del disagio che mo organica? Lo spero e ci credo, molta gente ha nei confronti di que- direi che si può tentare una strada di sta forma di ateismo pratico in cui questo genere, salvo poi prendere siamo immersi? E' difficile che si tutte le correzioni di rotta che sapossa programmare la rinascita di ranno necessarie. B°i bs 0totec~i8 dG Ino - Bianco l'RA ESPLOSIONE E IMPLOSIONE LA DC FUTURIBILE Si può parlare, negli attuali tumultuosi frangenti della politica italiana, della Democrazia cristiana sine ira ac studio? Credo di sì: che sia anzi opportuno e necessario. Ci stiamo avviando a tappe veloci a una grande trasformazione del sistema politico e alla manifestazione di nuovi coagula che impianteranno sulla scena italiana forLepolitiche diverse da quelle del passato. Comunque vada questo processo ciò che resterà dopo questa DC saranno una o più "cose", diverse ciascuna dalla originaria matrice, destinata in ogni caso a esplodere o implodere. un monito di Piero Gobetti La Democrazia cristiana sorta cinquant'anni fa in circostanze drammatiche, il crollo dello Stato fascista, il vuoto politico e la guerra civile, fu - ad opera soprattutto di Alcide De Gasperi - un grande esempio di costruzione d'una forza politica popolare, centrista e di mediazione interclassista. Non sorta dal nulla, ma convogliando il retroterra "bianco" di matrice contadina e artigiana, poi la vecchia dirigenza già popolare, fuoruscita o ritiratasi nelle professioni, infine, e soprattutto, iceti medi - non necessariamente cattolici osservanti - più o meno fascistizzati nel ventennio ma alla ricerca di un dignitoso trapasso alla democrazia. Quadri intermedi e militanti, non diversamente che in Francia, saranno in gran parte giovani cresciuti in Azione cattolica e in molti casi temprati dall'esperienza della resistenza. Più "a sinistra" dell'elettorato medio del partito. Fu Togliatti, non per "doppiezza" ma per "visione sistemica", a favorire l'ascesa di De Gasperi alla guida del governo di unità delle forze popolari. Era l'età della ricostruzione, del ruolo pedagogico dei grandi partiti, dell'impegno di giuristi e "professorini", di lì a poco, attorno alla carta costituzionale della nuova Repubblica. Togliatti, con maggior duttilità e intelligenza politica dei dottrinari aristocratici del Partito d'Azione, faceva in pratica tesoro della raccomandazione di Piero Gobetti esternata vent'anni prima sulla Rivoluzione Liberale : "Le democrazie cristiane devono essere accanto alle democrazie socialiste ... Effettivamente i popolari devono guardarsi per l'avvenire da un solo pericolo: che in essi riprenda vigore l'odio per il socialismo. Sarebbe la villoria definitiva della reazione e del filisteismo piccolo-borghese". E' un monito, quello di Gobetti, da cui vorrei partire per alcuni giudizi sull'oggi della politica italiana, e democristiana. Esso non deve essere preso come una profezia, ma come una pietra d'inciampo con la quale fare i conti. Nel 1948 certamente quel suggerimento non ebbe fortuna: forze democratico-cristiane e forze "socialiste" si batterono tenacemente su fronti opposti. Ma poi tutti gli anni cinquanta trascorreranno alla ricerca di una "apertura a sinistra" che ricomponesse, almeno in parte, una divisione che riproponeva infelicemente quella internazionale tra est e ovest. le mutazioni democristiane Il centro-sinistra non rappresenterà la soluzione dei problemi italiani: le sue potenzialità riformatrici erano state da un lato (democristiano) preventivamente neutralizzate, dal- !' altro (socialista) mantenute su un tono vago, predicatorio, dottrinario. Basti pensare all'inutilità pratica del tanto discettare di "riforme di struttura". Intanto proprio la DC era cambiata, più o meno silenziosamente, dall'interno. Dal partito degasperiano delle libertà si era passati a un nuovo partito dei poteri corporali. Non voglio indicare questo passaggio - la cui data di trapasso epocale resta il Congresso DC di Napoli, giugno 1954 - come dal bianco al nero, dal positivo al negativo. Politiche in qualche modo "dirigistiche" si imponevano all'interno di una esigenza di governabilità, specie nel momento di pre-decollo economico in cui il nostro paese veniva a trovarsi nella seconda metà degli anni cinquanta. Del resto anche la Francia di Mendès France manifestava analoghe esigenze di intervento pubblico e governabilità. Ma certo tra Ezio Vanoni e l'occupazione dello Stato, dalle Camere di Commercio alle banche, dalle Partecipazioni Statali ai vecchi e nuovi enti inutili, ce ne corre. Il craxismo sarà poi, molti anni dopo, l'accelerata applicazione a macchia d'olio di un principio inaugurato da "Iniziativa democratica" - il correntone generazionale e di potere che spazzò via d'un colpo gli ex-popolari a Napoli '54 - e da fanfaniani e dorotei negli anni sessanta. In un quadro totalmente avalorico. Si potrebbe stendere un parallelo tra la sicumera DC con pretese di "centralità", durante la segreteria Forlani tra 1969 e 1973 (duramente osteggiata e combattuta da Aldo Moro che ne comprendeva la miopia e l'infecondità, specie dopo una crisi non riassorbita come quella del '68) e la nuova "centralità" craxiana lungo tutto l'arco degli anni ottanta fino all'inglorioso epilogo del CAF (l'asse Craxi-AndreottiForlani). Non era certo quello I' accostamento tra democratici cristiani e socialisti vaticinato da Piero Gobetti. La degenerazione morale e i I crollo del CAF hanno prodotto nel paese un risentimento colleuivo e ondate giustizialiste di segno protestatario qualunquistico e torbido. Le appartenenze sono state scalfite anche nei loro "zoccoli duri" e -per dirla col vecchio Vilfredo Pareto- dalla "persistenza degli aggregati" stiamo velocemente passando ali' "istinto delle combinazioni". Questo è il grande dato di novità: anche dalla DC sortiranno cose più o meno nuove, come si diceva ali' inizio. tre posizioni alla partenza Proviamo a vedere le posizioni ai blocchi di partenza. C'è una posizione fortemente continuista, cui la storia non pare insegnare granché, recentemente rappresentata in pubblico da uomini come Pier Ferdinando Casini, Sandro Fontana, Ombretta Fumagalli Carulli, decisi a difendere un "centro" che sarebbe poi un centro-destra, pronti a mediare con liberali di destra, Lega (soprattutto) e, forse, missini. A questa posizione potrebbero aderire i "democristiani del Sud" che fan capo a Clemente Mastella, e i presidenzialisti cossighiani di D'Onofrio e Zamberletti. Tutti costoro si considerano laici in politica, pronti al cambio del nome e ali' accoglienza di liberal-democratici in libera uscita come cofondatori del nuovo partito. Questa prima posizione critica fortemente come fondamentalista la seconda, rappresentata da Rosy Biodi, esponente di punta della sinistra bianca, ovvero di un'area "cristiano-sociale", che vede cioè il nuovo partito -già chiamato in Veneto: Partito Popolare- fondato sul tradizionale associazionismo cattolico. La terza posizione è ormai fuori della DC e si pone come cofondatrice, con altri, di "Alleanza democratica", in una prospettiva di nuovo polo progressista e riformatore: si tratta di Mario Segni e dei suoi "popolari per le riforme". Si tratta di costituire il lato moderato di un insieme di forze di sinistra-centro. La prima posizione è certamente in linea con un certo modello bipolare europeo: conservatori britannici, giscardiani, CDU-CSU, popolari iberici rappresentano posizioni simili. Il dato valoriale e religioso resta stemperato sullo sfondo e non obbliga il partito, almeno in pari misura delle leggi di mercato e delle solidarietà occidentali. Rispetto a quanto permane di "socialismo" l'antitesi è piena e netta. Il monito di Gobetti sarebbe archiviato. La seconda posizione è anomala, tendenzialmente minoritaria, e rischia di far fare alla DC italiana la fine, per consunzione, del MRP francese, spiazzato alla fine degli anni cinquanta dall'onda gaullista. In più punta su un principio -lo dico con tutto il rispetto- ormai del tutto anacronistico: la permanenza di un rapporto privilegiato, ideale e di cooperazione materiale, con la gerarchia ecclesiastica. La terza posizione, difficile da consolidare perché prevede un traghetto di voti tradizionalmente espressi per la DC in una posizione di stretto contatto con altre culture politiche su un piano di "nuova laicità", è di rottura ma proprio per questo in sè interessante. Rappresenterebbe l'osservanza più che letterale del monito di Gobetti: superando la posizione di "accostamento" di forze diverse, per arrivare a un punto di "fusione" o di "contaminazione" tra le stesse diverse forze e culture democratiche. Non so quanto la prossima assemblea costituente DC deciderà, e se deciderà in maniera esplosiva, liberando cioè da una coabitazione scomoda, e ormai forzata, le due prime posizioni (la qual eventualità mi pare improbabile), o implosiva (nel solito gioco "a somma zero", in cui le diversità si neutralizzano a vicenda, danneggiando la produttività esterna del partito: la qual cosa rientra nell'ordine della quasi certezza, ma questa volta con un costo altissimo). identità e alleanze In ogni caso la presente congiuntura politica mostra che i due principi che garantiscono l'azione di ogni forza politica, quello dell'identità e quello di una politica di alleanze, debbono marciare di pari passo. Non si dà l'uno senza l'altro. Anzi di più: uno definisce al contempo l'altro. La posizione "continuista" paradossalmente è quella più snaturante e sradicante in termini di radici e di identità. Ritroverebbe sul terreno delle alleanze quella parte di exelettorato DC di ceto medio, più o meno cattolico, passato alla Lega, concorrente sullo stesso terreno laico di centro-destra. La posizione "cristiano-sociale" rappresenterebbe il massimo di continuità con l'ala tradizionalmente "di sinistra" nel movimento cattolico, che ha espresso figure come Dossetti, La Pira, Moro, ma, per svolgere un ruolo significativo dovrebbe saper virare nettamente a sinistra, con un'intesa sincera e profonda con il PDS e la nuova "Alleanza democratica". In questo senso avrebbe ragione Segni quando parla di possibile reincontro futuro. Ma Martinazzoli è parso fin qui impari a un tal compito che richiederebbe coraggio e carisma. E, come è noto, chi non ce li ha non se li può dare. Ammesso che Martinazzoli un tal compito l'abbia mai ipotizzato. La posizione neo-sturziana di Mario Segni, ha bisogno di radicarsi alla base per dimostrare che non esiste solo uno stato maggiore: ma in teoria ha le carte in regola sul piano dell'identità come su quello delle alleanze. Resterebbe tra l'altro a suo merito quello di aver contribuito a superare e cancellare uno storico cleavage nel panorama italiano: la frattura tra "cattolici" e "laici" in politica. Giovanni Tassani UNA CITTA' 1 3

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