Una città - anno III - n. 23 - giugno 1993

schwitz rispetto ai quattro centri di completo sterminio. Auschwitz era un campo misto, un'industria e una fabbrica di morti insieme, ma anche un'industria: tutti quelli che sono tornati sono persone che in genere hanno lavorato nelle officine. Primo Levi si è salvato perché era un chimico. Mi è successo un giorno di dire paradossalmente che forse Yehudi Menuhin, il grande violinista, avrebbe potuto sopravvivere a Auschwitz, ma non Picasso. E questo perché, in una Germania con una fortissima cultura musicale, essere musicista era molto importante ed è così che il padre di uno dei miei amici -un ebreo polacco che si chiamava Simon Laks- è sopravvissuto, perché, essendo musicista, diventò i I direttore d' orchestra di Auschwitz. Credo che se Picasso fosse stato ad Auschwitz, sarebbe stato ucciso .... la shoah non deve diventare mercanzia Allora il miglior simbolo della distruzione non è Auschwitz, ma Treblinka. C'è persino peggio, perché da Belzec è tornato un solo sopravvissuto, anche da Chelmno una o due persone sono tornate. Non credo che quando questi sopravvissuti saranno morti si dimenticherà tutto. Ad ogni modo siamo in un universo simbolico. Come spiega l'udienza, impensabile tino a ieri, che riescono a trovare queste teorie che negano l'esistenza dei campi di sterminio? E' a causa di questo passaggio dalla memoria alla storia, a causa del1'offensiva revisionista e, infine, a causa della strumentalizzazione di Auschwitz, della trasformazione della Shoah in mercanzia, che mi appare come una cosa terribile. In Israele, ci sono due posti simbolici. C'è Yad Vashem, un posto ammirevole, un centro di ricerca e un museo della Shoah, e c'è anche, sul monte di Sion, la "Grotta dell' Olocausto" dove una goccia di sangue cade dal soffitto per ricordare e convincere la gente che la guerra condotta dagli arabi contro gli israeliani è il seguito della Shoah. Questo mi pare molto pericoloso. Ricordare è un bene, ma è un pericolo strumentalizzare questo ricordo a fini politici nel senso stretto del termine. E' quello che si chiama in francese "la politique politicienne", la politica che fa politica. E' un pericolo perché i fatti stessi sembreranno uno strumento politico e questo agevolerà tutti coloro che negano la realtà. Vorrei fare un esempio: supponete che si costituisca un giorno un impero còrso, che a partire dalla Corsica qualcuno si costruisca un piccolo impero con il Sud della Francia, una parte della costa italiana, la Sardegna e una parte della costa spagnola. Immaginiamo che si faccia questo nel nome di Napoleone. Ebbene, allora si troveranno delle persone che chiederanno se Napoleone sia veramente esistito. Nel diciannovesimo secolo ci sono stati dei buffoni che hanno detto di Napoleone che era un mito solare e questi buffoni non sono stati presi sul serio ma se si fa di Napoleone uno strumento per giustificare una conquista corsa attuale, si rischia di far credere che si parla di un Napoleone mai esistito. La stessa cosa avviene per la Palestina, dove si trovano dei palestinesi che dicono "non siamo noi ad avere commesso questi crimini", ma se ne trovano anche altri, un piccolo numero, che dicono: "tutto sommato forse questi crimini non sono mai esistiti". Quindici giorni fa ero in Grecia e una delle mie ex-studentesse che è giornalista, mi ha fatto delle domande a proposito della Macedonia. Mi ha detto: "lei sa in quanto storico e ellenista che la Macedonia è sempre stata greca?". Ma che cosa vuol dire? E' assurdo, non ha senso, si può fare un uso perverso della storia e, nel caso del genocidio, il pericolo di farne un uso perverso è molto grande. In ogni caso, non sono gli ebrei attuali che sono stati uccisi, sono i loro genitori, i loro nonni. Sarebbe meglio non fare di queste rire meno reali. Ciononostante, si fa ancora fatica a credere che siano un pericolo effettivo coloro che negano l'esistenza dei campi... Ciò che è pericoloso nel revisionismo è la possibilità, già reale in Francia, di un'alleanza tra gente che viene dall'estrema sinistra e dall'estrema destra, un'alleanza che non saranno certo quei tre o quattro matti dell'estrema sinistra a sfruttare. Tenete presente che in un paese comeilmioc'èdal 12%al 15%di gente che vota per il Front National e gli ideologi del Front National sono revisionisti e non lo nascondono affatto. Sono costretto a dire che questo può essere un pericolo serio, e lo sarà tanto più quanto più ci sarà quel rischio di strumentalizzazione politica della Shoah di cui parlavo prima. Non credo che necessariamente un movimento diventi pericoloso quando è quantitativamente rilevante, perché la crescita e la decrescita dei movimenti, soprattutto in un'epoca come la nostra, dominata dal tema dell'accelerazione,. cambia velocità continuamente, per cui il semplice fatto che certi fenomeni si vedano in germe, non sviluppati, non è garanzia che poi la loro esplosione non possa essere molto rapida. Tutto questo anche in relazione al fatto che c'è una situazione i111ernazionaleche sempre pitì aiwa reazioni a catena che assumono a loro volta accelerazioni molto forti. Pensiamo a cosa è accaduto e può ancora accadere nella ex-Iugoslavia. Allora, in un mondo in cui ci sono questi grandi movimenti di popolazione, movimenti che spaventano gli europei che non crescono demograficamente ecc, quei germi che apparentemente sono cose ridicole, ridicole ideologicamente e ridicole da un punto di vista quantitativo come presenza nella società, tuttavia esistono -bisogna abituarsi al fatto che esistano per molto tempo- e restano potenzialmente pericolosi. Vale la pena di combatterli e di essere attenti. Sono perfettamente d'accordo e posso firmare ciò che ha detto Gianni. A proposito di come combattere questo pericolo, lei nel suo libro parla anche del problema della verità storica e della verità legale. Qualche mese fa, David Irving, invitato a un convegno di neonazisti, non è stato fatto entrare in Italia. Si è, cioè, usata la forza per contrastare una menzogna. E in tutta Europa si discute se si debbano fare delle leggi, aggravare le pene ... E' una buona strada questa? Certamente no. Non c'è niente di più pericoloso che mescolare la giustizia con queste cose. Non tocca ai magistrati fare la storia, tocca piuttosto agli storici e l'idea di voler imporre una verità attraverso lo Stato è un'idea estremamente pericolosa che in realtà facilita il lavoro degli pseudo-revisionisti. non tocca ai magistrati fare la storia Se c'è un'insegnamento che dobbiamo trarre dall'Unione Sovietica è appunto il fatto che la verità legale, anche quando ha un riscontro nel reale, perde ogni impatto. Ricordo in Polonia, dieci o quindici anni fa, amici polacchi che mi dicevano di far fatica a convincere gli studenti che Marx fosse interessante. Siccome era diventato oggetto di scienza obbligatoria, credevano si trattasse di mistificazione. la stessa cosa è successa nella exDDR. Anche l'atteggiamento dei tedeschi orientali aproposito degli stranieri, è dovuto, almeno in parte, al fatto di essere cresciuti nella teorizzazione obbligatoria della naturale bontà del Terzo Mondo ... Certo, e il risultato è Rostok. La legge tedesca, la legge francese con il loro tentativo di imporre una verità legale a proposito del genocidio hitleriano, mi sembrano estremamente pericolose. lo sono assolutamente contrario e tutti gli storici francesi lo sono. Sl un USYOteCaPPG In O 8 i ancO stazioni I.A NASCITA ETERNA Quando il nostro spazio interiore appare irrimediabilmente compromesso, così sfigurato da sogni e ambizioni irrisolte, da occupazioni superflue, da ergersi come un muro denso di rifiuti e amarezze o, persino, un'ossessiva tela bianca davanti alla quale non sappiamo più ritrovare la felice ispirazione di un tempo, forse è giunto il momento di sbarazzarci di tanti inutili orpelli e praticare una breccia nell'immagine che ci siamo costruiti di noi stessi. Come Lucio Fontana, con un colpo di rasoio, ci insegnò a cercare, anche in una superficie piana, un insperato volume, anche a noi è dato scoprire una nuova, e forse più autentica, dimensione di libertà nel sacrificio. Nella chiesina di Santa Maria di Momentana, presso il cimitero di Monterchi, un affresco di Piero della Francesca, dedicato alla madre, e conosciuto come la Madonna del Parto, raffigura due angeli speculari che sollevando alle estremità i lembi di una tenda rivelano la figura imponente di una Madonna gravida. Malgrado l'iconografia sia volta ad illustrare il significato della Nuova Alleanza, le modeste di mensioni dell'Arca, foderata di pelliccia, la sproporzione fra il corpo della Madonna e quello degli angeli mi hanno sempre ricordato, curiosamente, certe antiche attrazioni circensi in cui dei poveri sventurati erano costretti, da qualche impresario senza scrupoli, a mostrare in pubblico le loro sorprendenti anomalie. A differenza, però, del celebreAlbatros di Baudelaire, sbeffeggiato dai marinai sulla plancia, l'aspetto della giovane madre, invece di provocare ilarità o commiserazione, suscita nello spettatore un atteggiamento di riverenza, quasi che l'ineguagliabile grazia della donna non risiedesse, come per I' Albatros, in una qualità esteriorenell' eleganza del volo-, ma nell'intima bellezza di quella sua muta rassegnazione. Come un adulto, semmai, che si fosse ritrovato a percorrere i luoghi della propria infanzia, l'impressione di dismisura sembrerebbe il risultato di una maturità acquisita nel dolore e nel silenzio. La malinconica espressione dei suoi occhi gonfi di pena; la gravità della mano protesa pudicamente davanti allo spacco centrale della veste, da cui traspare l'avanzata gravidanza; lo stesso sguardo estatico, ma amaro, degli angeli, testimoniano una maternità duramente provata, che si direbbe già portare in seno la tragedia del figlio crocifisso e, con lui, del! 'umanità tutta. Forse perché ogni nuova nascita, ogni nuova invenzione spirituale, prima ancora di potere essere giudicata in base alle sue azioni, viene spesso condannata, da una nostra radicata mancanza di fiducia, ad espiare la stessa speranza che l'ha concepita. Pur di non perdere i privilegi concessi dalle nostre effimere certezze, noi non di rado preferiamo ignorare o persino ostacolare, a volte riparandoci proprio dietro l'autorità di qualche fonte rivelata, la rinascita che continuamente si genera nelle nostre coscienze; quando nel- )' aperto segno indicato dall'abbandono della mano sulla candida ferita siamo invitati a rivestire il luogo di una rivelazione sempre possibile, giacché ciò che è non può essere che incessantemente. Emblema di una vita, dunque, umiliata e inibita nelle sue più autentiche aspirazioni, in eterna gestazione, questa giovane donna dal portamento paesano, in cui si rinnova il mistero di ogni nascita, madre di Dio e degli uomini, espone nel suo ventre indifeso un'inesauribile promessa di liberazione nell'avvento di chi è stato. Forse nessuna grande opera d'arte sarebbe tale se non conservasse in sé la furia iconoclasta che l'ha prodotta, certo è che non nella sua presunta completezza riposa la sua verità, bensì nel segreto della sua infinita attesa.D'altronde, per chi non intenda ostruire il flusso solo è possibile diventare una soglia. Gianluca Manzi UNA SACRA INF__.....IONE Una caratteristica del tempo è una certa indiscrezione riguardo al sacro, un diffuso precipitarsi dove invece "gli angeli esitano". Si parla e si scrive di bisogno di sacro e, in certi ambienti perlomeno ambigui, di un bisogno di risacralizzazione pagana di un mondo che il disincanto scientifico avrebbe lasciato "senza dei". Come se il sacro potesse scaturire da una operazione, come se la presenza efficace del divino potesse essere la conseguenza di un progetto. Senza rendersene conto tutta la cosiddetta "nuova destra", di cui oggi con troppa indulgenza si loda la spregiudicatezza intellettuale, coltiva l'illusione soreliana e poi di un certo surrealismo che la dimensione del mito sia tecnicamente progettabile. Questo, naturalmente, contro il "mondialismo cosmopolita e cittadino" della cultura illuministico-borghese responsabile dello sradicamento dell'uomo europeo. Al tempo stesso, presso non esigui settori del ceto intellettuale, si diffonde la convinzione che il sacro possa essere infine posseduto, detto, annunciato, indicato, che sia una questione di nomi o di collezioni di nomi, magari altisonanti, poetici o incantati. A tutto questo si aggiunge una forma di disprezzo per la sola certezza che la contemporaneità abbia saputo raggiungere e sulla quale, soprattutto, abbia saputo meditare, facendone il cuore della propria interiore esperienza spirituale (un nome su tutti: Leopardi): la certezza della propria insuperabile povertà -povertà di parole, povertà di esperienza, povertà di fede. Di fronte al nichilismo, la cui diagnosi è condotta sui segni più superficiali e inoffensivi, si corre insomma veloci verso ciò che si opina l'essenziale: una atmosfera sacra ed evocativa dove la realtà profana si trasfigurerebbe, senza troppo sforzo, per riacquistare quella densità simbolica e significati va che sarebbe tramontata con la modernità. La rarefazione di una imagerie aristocratica ed esclusiva, librescamente ardita ma esistenzialmente soddisfatta conosce allora il suo apogeo. Un pensiero tecnicamente educato - anche quando crede di pensare contro la tecnica- scambia così il tempo dell'attesa e del silenzio per un tempo morto da cancellare economicamente con una operazione compensatrice. Il che resta abbastanza inoffensivo finché dà luogo soltanto a qualche ispirata dissertazione o ad un corso accelerato di steinerismo, ma diventa preoccupante quando origina sette iniziatiche e pratiche esoteriche animate da volontà di potenza. Ma l'inflazione delle parole sul sacro è forse un segno, e dei più evidenti, della sua perdita di valore per gli uomini. Se non è una configurazione del mondo nella quale si è collocati, il sacro infatti non è nulla. La dimensione del nonsapere e della non-comunicazione, ha scritto Bateson, gli è infatti essenziale come ben è testimoniato dal caso di quella tribù indiana che, al prezzo di un mancato ufficiale riconoscimento, rifiutò'di offrire le proprie cerimonie a base di peyote allo sguardo oggettivo, e dunque sapiente, di una cinepresa. L'orrore non era per il mezzo tecnico, come i superficiali credono, ma per la possibilità di sapere, di vedere ciò che si fa (il sacro appunto) che il mezzo offriva. Ma forse dire che il sacro inflazionato delle mille pratiche esoteriche sia un nulla è sbagliato. Infatti è qualcosa: è una "esperienza vissuta" che rende la vita meno monotona. Una distrazione, insomma, teoreticamente e/o esistenzialmente interessante. La vita come tale, però, nella sua organica totalità, non ne è toccata, anche quando si sia disposti, come spesso purtroppo è accaduto, a morire per la propria convinzione (in tal caso si muore infatti per una privata ossessione, per una malattia dello spirito ...). E' questa l'obiezione che un cristiano, vale a dire chi nell' Occidente partecipa ancora ad una tradizione vivente, potrà sempre muovere a chi favoleggia pagane· o esoteriche risacralizzazioni (le configurazioni del mondo non conoscono, ahimè, libertà di opinione. I supermarket delle reÌigiorii, come quelli delle "radici", sono oggi certamente un fatto, ma un fatto che ha il valore del sintomo: nessuno può credere in buona fede che la merce che là si vende sia altro che un simulacro di identità collettiva, un problema psicologico, freudianamente esemplare, di identificazione). E l'obiezione del cristiano è l'obiezione anche del suo "fratello di sangue": l'ateo - "la razza inferiore", scrive Rimbaud, "da tutta l'eternità". L'ateo, dico, non l'agnostico o l'indifferente. L'ateo, vale a dire il fedele, suo malgrado, del nulla, non colui che sospende astutamente la domanda in attesa di tempi migliori o di un surplus di informazione magari scientificamente garantita. Perché l'ateismo, il nichilismo estremo, è una configurazione del mondo, è una "forma di vita", un mito operante. Mai potrebbe trasformarsi in un'occasione di ricreazione per lo spirito e fornire così a giovani signore insoddisfatte materia di studio per corsi di spiritualità "alternativa". La coscienza atea deve infatti sopportare il proprio ateismo come la coscienza cristiana sopporta non senza tormenti la propria fede storica. Essa è organicamente e totalmente toccata dall'assenza del sacro. Né può essere diversamente.L'ateo, infatti, può indubbiamente fuggire in malafede la responsabilità che l'evidenza di questa mancanza comporta, può evitare di porsi la questione che, come un baratro, il suo ateismo gli pone di fronte (esemplarmente riassunta da Dostoevskij nella formula: "Se dio è morto, tutto è permesso?"), ma gli resterà in bocca l'amara consapevolezza di un peccato compiuto nei confronti della integrità della propria esistenza. Forse è per questo che, nella differenza\ estrema, tra l'ateo e il cristiano si stabilisce quasi una sorta di complicità, di inconfessabile vicinanza. E soprattutto, nella comune ostilità a ciò che non vuole misurarsi con la centralità del Cristo nella storia, si apre la possibilità di un dialogo, dialogo infinito e senza soluzione, che, tuttavia, è per noi "ciò che rimane", qualcosa di infinitamente più serio dei certamente utili incontri interreligiosi o di incantate escursioni in mondi perduti. Rocco Ronchi UNA CITTA' 1 1

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