Una città - anno III - n. 21 - aprile 1993

il unto I Una conversazione con Gianni D'Elia sulla poesia e sul movimento degli anni '70. L' esperie, gioia come fondamento della militanza politica e letteraria. La lezione di Pasolini. Gianni D'Elia è uno dei più noti e significativi poeti italiani. La rivista '' /eng11a ", da lui fondata e dire((a, oltre ad accogliere e promuovere I 'a((ività poetica, si segnala come un prezioso laboratorio del nuovo pensiero critico. Si potrebbe partire da una riflessione sul senso e sulla praticabilità di una «poesia civile» oggi, in tempi così oscuri. Parlerei invece di «poesia incivile». Oggi non ho quasi nessuna fiducia, nessun rapporto con questa rappresentazione del sociale attraverso la politica e quindi con l'idea civile che viene proposta. Ho piuttosto impulsi fortemente incivili (Pasolini, nell'ultimo libro di poesie, faceva proprio riferimento alla «poesia incivile»). Nei confronti del reale, abbiamo oggi un sentimento di dissidio, non di consenso o di mediazione quando invece una «poesia civile» esigerebbe proprio l'onda della mediazione tra intellettuali e masse, tra democrazia e letteratura. Nessuno, neanche a livello politico, è capace di dare una forma del consenso o della mediazione dei conflitti, figuriamoci quindi a livello della scrittura! Allora ecco: penso che si possa testimoniare molto di più il dissidio, l'incapacità di avere un rapporto civile, di mediazione; e questa, la coscienza di una contraddizione insanabile, è la domanda di fondo che Pasolini ci ha lasciato. Di fronte a rapporti sociali che appaiono oggi immodificabili, l'onda d'urto della poesia, e penso anche del pensiero politico, civile, potrebbe essere quella di rendere conto di questa grossa contraddizione. Se a rapporti sociali che appaiono immodificabili continua a corrispondere una cultura della mediazione oppure una cultura altra, una cultura della contraddizione o della disassimilazione dal coro. Ed è più un sentimento che una riflessione, è il sentimento della stanchezza terminologica o nomenclatoria del reale, di come il reale viene oggi incapsulato nelle parole. la poesia non vive nella poesia, i libri non nascono dai libri Non vedo per niente una poesia che contenga la cultura. ma il contrario. Penso a quel- )' ipotesi di poetica che risale a «Officina», a Pasolini, a Romanò, a un gruppo di poeti. letterati e critici che hanno cercato di combattere l'ontologia poetica del novecentismo, il misticismo letterario, l'ermetismo, e anche quella sua un po' rozza opposizione che era il neorealismo. Si tratta, insomma, di riconoscere che la poesia non vive nella poesia, i libri non nascono dai libri e che c'è un rapporto tra la vita e la poesia, tra la storia e l'arte. Bisogna cercare di capire perché. per esempio, in Italia questo rapporto sia stato per lo più un rapporto di fuga. da parte dell'arte, o di copertura o di falsa coscienza. Una «poesia civile», insomma, è possibile se c'è una civiltà, una società in cui ti riconosci e una possibilità di mediazione; se invece hai degli spunti soltanto di estraneità o di opposizione ... Certo, l'idea è quella di costruire qualcosa d'altro. però riuscendo anche ad andare contro il senso comune, anche della sinistra. Per esempio, in Voto d'aprile, il testo è molto duro, sia con l'ipotesi del cambiamento del nome sia con quella del1' incaponirsi ancora sul mantenimento del nome. Perché il problema è quello della "cosa". e se la cosa è sfatta. questo dice la poesia, il nome è impuro. Se lo cambi è ancora peggio, perché non fai poi i conti con una tradizione ... lo non è che abbia molte cose sensate da dire a livello politico, però per me la poesia è stata un 'approfondimento della coscienza ... Ecco, come si innesta la poesia nella tua esperienza politica che sappiamo essere stata molto intensa? Io non sono nato poeta, secondo me nessuno lo nasce. Facevo parte di un movimento di liberazione, un'ipotesi, che ha accomunato i giovani di un periodo storico, gli anni '70. e sono arrivato alla poesia con la crisi di un linguaggio. quello della politica, che era molto radicato in noi. Tanto è vero che. almeno secondo me, la rottura fondamentale in Lo((a Continua non è scaturita tanto dalla questione della violenza o del terrorismo (come è stato falsamente detto), ma dalla vita quotidiana. dall'esistenziale. Una rottura affiorata grazie alle compagne e al femminismo. e. a Pesaro dove abitavo. anche grazie al «Circolo Ottobre». che era un tentativo di portare dentro la dimensione politica forti impulsi culturali «altri». fondamentalmente esistenziali: la ricerca cli una nuova cultura, l'amore del cinema, le domande sull'ar1e e sulla letteratura. la questione del la droga. la questione del sacrificio del privato e dei sentimenti in nome del dover essere della militanza, e quindi uno scontro fra il tempo della vitae il tempo della militanza. Una rinessione, quindi. «forte». L'esaurimento di un linguaggio politico e la coscienza cli tutto questo mi portò dapprima alla radio, con l'idea di una comunicazione collettiva che coprisse questa grande crisi del Iinguaggio gergale della poi itica ideologica estremistica. Di fronte al la crisi del linguaggio gergale tu vai alla ricerca di una comunicazione diretta. di un linguaggio coCO mune. Mi sono poi reso conto, nel 77-78, quando per me è finita l'esperienza della radio e ho cominciato a scrivere, che avevo bisogno di molto più tempo, che non c'era più la possibilità di coprire questa crisi del linguaggio della politica col linguaggio collettivo immediato (e quindi con il sogno della comunicazione totale), ma che la crisi andava affrontata come una crisi della coscienza. Per me la poesia è stata perciò come la «coscienza della coscienza», cioè la coscienza di un limite. dalla crisi di un "noi", un "io" per tornare a dire noi L'esperienza politica per una generazione intera, non solo per me, è stata un' esperienza esistenziale molto forte che non rinnego assolutamente: io ho aperto gli occhi sul mondo per la prima volta. Avevo scoperto che il mondo era diviso, che c'erano le classi ed era stata una grande scoperta. Ora, con la poesia li aprivo. in un modo diverso. per la seconda volta, vedendo i limiti di quella coscienza politica. Vedendo quanto l'ideologia avesse compresso -o addirittura eliminato nei casi peggiori- la coscienza esistenziale profonda: da quella corporale a quella psichica, a quella culturale - alla cultura altra da quella politica o dal saggismo, a quella, cioè. che non avevamo letto, la poesia, la letteratura, tutto il rimosso della politica. Il mio percorso, sintetizzando, è stato quello di un'adesione a un noi, che poi di fronte alla crisi di questo noi scopriva un io. per poter di nuovo tornare a dire noi. ma in un altro modo: quell'io profondo dei poeti, quello che dice Machado, che il poeta scava nelle "sècretas galerias del alma", un poeta minatore che tira fuori un •'io" profondo che non è un "io" ma è un ·'noi''. eguale in tutti. Che è iIdiscorso anche di Caproni, dei grandi poeti italiani. di Pasolini ... Parliamo della tua prosa, di 1977, di lnfemuccio itagliano, veri e propri racconti di quegli anni per molti di noi fatali. Nella mia scrittura in prosa c'è l'effrazione totale del la forma-romanzo. che non m' intcrcssa affatto. Sia in 1977 che in !11fem11ccio la mia prosa sta dentro un genere che non esiste. ma che potrebbe esistere: le cronache. Una scrittura antiromanzcsca. quindi. non a livello formali. tico come la neo-avanguardia. ma a Iivello sostanziale. che rompe. cioè. la forma-romanzo per testimoniare e mettere in primo piano il testimone umano, appena schermato eiauno scrittore proiettato in personaggio. Lo schema è il diario di un amico morto ricopiato e colloquiato: un amico morto che aveva fatto l'esperienza politica, e un altro che ha di fronte questo malloppo e che rinette sulla sua generazione, sul suo destino e sulle domande. La finzione esiste, ma è una finzione molto precisa, voluta anche. Quella che Dante dice, in un passo molto bello, l'unione di "ombra e orno certo", l'unione di un mo110 e di un vivo. Che è la nostra storia: io credo che la nostra storia sia la storia dell'unione di un morto con un vivo. Nel ·77 il partito della gioia, del desiderio, del bonheur, per un attimo intravisto, è stato sconfitto. Ha prevalso il partito della morte, dello scontro violento che poi era quello preferito dal potere. L'errore grosso a livello politico è stato, da una parte, il metodo di lotta: un metodo di lotta tardo ottocentesco. leninista, vecchio, bacucco, con l'idea dello scontro violento immediato, che scendeva su un ten·eno che l'avversario prediligeva perché, su quel terreno, era molto più forte di te, e, dall'altra parte, iI non tenere conto che bisognava approfondire, avere pazienza, ragionare a tempi lunghi, per impossessarsi degli strumenti del la comunicazione e del la cultura. E non avere questa impazienza carogna che ci ha portato malissimo. E in queste prose ho un rapporto anche molto conflittuale con le forme di rappresentazione politica della nostra generazione e anche con lo stesso' 68, coi decorsi che poi ci sono stati: non è che sono nostalgico, c'è anche l'invettiva. che non riguarda solo il potere ma anche il movimento e i suoi errori. Per esempio la sottocultura dcli' India, del viaggiare esotico e in fondo omologato, dell'andar via. che a me non sembrava giusto in quel momento. E non a caso il mio primo libro di poesie si chiama Non per chi va perché, in un certo senso. si rivolge a chi resta. a chi non fugge. a chi elabora la sconfitta, cerca cli capire ... Fra l'altro ho scritto prima la prosa, però ho pubblicato prima la poesia. La prosa è uscita dieci anni dopo, mi era servita per spurgare questo malore, questo male: 1•ideologia crolla. scopri cli avere il corpo. questo investimento che prima era ovattato dal 1•ideologia. dalla ''linea della segreteria". dal giornale, che era tranquilizzantc poi ... La scoperta è stata che la vita, la corporalità rimanevano scopcrtiequindi la crisi ... La scrittura è stato il modo per affrontarla e per risolverla, gettandosela alle spalle e tentando qualcosa di nuovo. Poi è venuta la poesia ... Se la prosa è stato lo sfogo. il tentativo di una coscienza ancora molto legata all'invettiva o allo stilema (dal punto di vista letterario) compulsivo e ossessivo sul tema dell'unione del morto e del vivo, la poesia è stata l'equilibrio espressivo più che la tensione differenziante, l'espressionismo. La poesia è stata la rarefazione ma non il purismo, il tentativo di controllare attraverso lo stile un pensiero che si facesse strada. Quindi una poesia legata all'argomentazione, alla riflessione, che fosse percezione delle cose, che tentasse di diventare concezione del mondo nel momento in cui queste erano in cns1. Cos'è una strada oggi? Clte cos'è una fermata di un tram? Per me la poesia ancora oggi è una forma di conoscenza, che di fronte alla crisi delle concezioni del mondo, delle grandi narrazioni, propone un'ideologia in atto, nel contatto con le cose, che nasce dal rapporto percettivo con le cose diffuse della contemporaneità, e quindi con tutte le forme della contemporaneità alienata dai mezzi di comunicazione che ci tolgono il presente. E' il grande tema della mancanza dell'attimo e dell'istanza vitale sottratta da questo universo comunicativo della comunicazione istantanea che simula la presenza, ma che in realtà è la spoliazione del presente. La poesia come riflessione sull'artificiale «vero» dei media. lo credo che la poesia cerchi, partendo dalla percezione delle cose, dal paesaggio che ha di fronte -una casa, una piazza, una città, l'esperienza urbana della confusione delle lingue- di passare da questa sensi bi Iità ali' epocale. Cos'è una strada oggi? Che cos'è una fermata di un tram? Quali sono le figure dell'attesa nella grande città? Non più quelle dell'800 o di quella metafisica della letteratura che non mi piace per niente, o di quella metafisica della scrittura che vede la poesia nella poesia e basta, e la filosofia nella filosofia e basta. li tentativo è insomma il rapporto col reale. Ora questo nuovo realismo non può essere che un realismo critico e, a questo punto, ci si imbatte nella esperienza di Pasolini. Il suo non è né neorealismo, né l'ontologia dell'ermetismo, ma un realismo critico, problematico. E' l'idea che, essendo venuta meno una visione unitaria del mondo e vivendo il nostro tempo in un rapporto di connitto con la realtà, la poesia è il luogo che non supplisce all'ideologia, quanto piuttosto il luogo in cui il rapporto con la realtà molto vivo e ravvicinato con l'evento -della spoliazione. della mancanza di senso. della solitudine. del disorientamento-. potrebbe paradossalmente portare a una concezione del mondo. A partire da questa percezione monca, inquietante, problematica occorre mettersi in cammino verso una concezione del mondo. beato citi trova il sublime nel quotidiano Credo che questo la poesia lo possa dare. Per questo la voce dei poeti è importante. Nell'ultimo libro postumo di Caproni c'è una sezione politica (Anarchiche). Un poeta partito dall'area ermetica, anche se molto legato al quotidiano, a un canzoniere domestico. è però riuscito a captare tutta l'insofferenza nei confronti del pubblico. nei confronti di questa concrezione mefitica che è la politica italiana. La sua è quindi una poesia politica che parte dal riscontro del quotidiano, cieli' intimo, della rinessione sul male, da quella che è stata chiamata anche la sua metafisica, ma che per me, poi, è molto fisica. è l'esperienza del corpo, del morire, del passare. Quindi: la poesia non può dare la concezione del mondo, ma è in cammino verso essa, partendo dall'ideologia in atto, da un rapporto con le cose che è un investimento totale. non solo di testa, ma molto anche di cuore. molto di emozione. Un sentire. insomma. Tu parli di un rischio che attraversa la tradizione italiana novecentesca e che inquina anche tanta recente produzione, il rischio della "ontologia letteraria". Cc ne puoi chiarire il significato? C'è stata una linea critica nel '900. diciamo pure tutta una poetica antinovccentesca. Si tratterebbe di riprenderla. rileggerla e cli cercare di tradurla in atto. Ciò che essa afferma è il primato della res sulla parola. Tutto il libresco. tutta la metafisica della scrittura. anche Borges, tutto il senso comune letterario degli anni '80 non l'ho mai sentito vicino proprio perché la mia espc-

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