Una città - anno III - n. 21 - aprile 1993

La domanda di cui si discute qui accanto ci tocca direttamente. Perché sulla ex Jugoslavia non abbiamo discusso, perché non ci siamo mossi? Ora ci accorgiamo che le notizie dei massacri, degli stupri, dell'agonia di Sarajevo e Sebrenica ci sono sembrate venire da un altro pianeta. E in tanti di noi, anche lo sdegno, di fronte a tanta sofferenza procurata freddamente, è stato freddo, razionale. Per coloro che si sono sempre sentiti solidali con altre popolazioni che soffrivano un motivo in più per riflettere. Un ragazzo con la kefia ha detto: "difficile appassionarsi per la Jugoslavia, perché non c'è la 'causa"'. Forse uno dei problemi è qui: non è facile abituarsi a fare a meno delle "cause" e imparare ad arrabattarsi, a districarsi, a impegnarsi solo nelle conseguenze. Dobbiamo essere grati a chi ha sentito il bisogno di andare. I loro racconti cominciano a commuoverci, a farci capire, e anche, a farci riflettere su di noi. Forse a smuoverci. L'indifferenza verso il dolore altrui non lascia mai le cose come erano prima, lavora. Cohn-Bendit ci dice che è stato questo a dar sicurezza ai malfattori. Ma lavora anche dentro di noi, crea precedenti, ci cambia. E forse, in questo caso, tradisce anche la rimozione di una verità intuita, ma che non vogliamo sapere, che non vogliamo pensare: forse Sarajevo è fin troppo vicina. E quelli che tornano e ci dicono "questo sta succedendo in città come le nostre, a gente uguale a noi che fino a ieri faceva una vita normale come la nostra", fanno ripensare a quei fuggitivi dai campi che tornavano nei ghetti a dire "credetemi, sta succedendo". E che non furono creduti. E se ancora riesce difficile pensare che Sarajevo sia la "prova generale" di qualcosa, mai come in momenti simili si vede come sentimenti e risentimenti si traducano "in politica" carica di futuro. Cosa si può fare? La proposta, fatta da un gruppo di persone, di un digiuno collettivo -la pubblichiamo nell'interno- non sarà gran cosa per chi là sta soffrendo e morendo, ma certamente è qualcosa. Sicuramente per noi, per curare quell'indifferenza che lentamente ci debilita. Cli Via M. F. Bandini Buti, 15 4 7100 FORL/' Te/. 0543/780767 - Fax 0543/780065 Via Parini, 36 4 7023 CESENA 17-ancy Te!. 0547/611044 - Fax 0547/611144 P.zza Tre Martiri, 24 47037 RIMINI Te/. 0541/53294 - Fax 0541/54464 Il validosupportoallapromozione dellaVs.attività Produzione •i Vendita ~ -- Orologida paretee da tavolo, oggettisticadascrivaniaa, rticolipromoziona"liadhoc'. Oggettisticapromozionale: penne,agende,articolidaufficio, calendarip, ortachiavi, pelletteriavaria,magliette, camicie tuteda lavoro,valigettee, cc. 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Partecipavano fra gli altri, Daniel Cohn-Bendit, uno dei leader del Maggio Francese oggi assessore alle politiche multiculturali di Francoforte, Alex Langer, europarlamentare verde e Adriano Sofri. Riportiamo stralci dei loro interventi. Adriano Sofri. E' di oggi la notizia che anche gli ultimi resistenti, fra i mussulmani bosniaci, hanno dovuto accettare la proposta della spartizione etnica della Bosnia, cioè della distruzione della Bosnia, della consegna alla Serbia di una gran parte della Bosnia. Li hanno costretti a farlo e realisticamente lo hanno fatto. Forse si è compiuto l'ultimo passo nella cancellazione fisica dell'ultimo frantume di realtà multinazionale, multietnica che restava: la città di Tuzia cede le armi. Allora: secondo me sarebbe importante riuscire finalmente a discutere come mai in Italia non si sia discusso di niente riguardo la Jugoslavia. E dalle poche cose che ho capito, direi che la discussione non è andata molto avanti neanche in Germania. Bisogna chiedersi, cioè, come mai, sul tema della Jugoslavia, non si è ottenuto di ripetere nemmeno la discussione. a mio parere disastrosa, che avvenne per la guerra nel Golfo. E perché allora ci fu una discussione che arrivò a spaccare le famiglie, a far sì che gli amici non salutassero più gli amici, in Italia, in Germania, in tutta Europa? Perché c'era stato l'intervento. Oggi non c'è stata nemmeno la discussione più idiota che è quella tra interventisti e non interventisti. lo, dopo mesi che mi mangiavo il fegato e le mani, ho pubblicato un articolo su L'Unirà nel quale mi pronunciavo sulla questione della Jugoslavia in termini che mi sembravano provocatori oltre che stupidi. Dicevo: sono favorevole all'intervento in Bosnia e, per costringerli a fermare l'attenzione su questo brano del mio articolo, fornivo alcune indicazioni -mi ero consultato con CO persone che conoscevano bene la situazione- sui posti precisi da bombardare. Una cosa da pazzi, da Napoleone, e immaginavo che qualcuno mi dicesse: ma come si permette questo scemo! Ma quell'articolo è passato senza una riga che notasse che io avevo detto quelle cose. Poi l'Italia ha una ragione ulteriore di non porsi il problema della Jugoslavia, perché l'Italia, l'Italia pubblica, è oggi totalmente ostaggio di quel panico da carcere a cui alludeva Daniel. Daniel parlava del l' assessorato alle politiche multiculturali, in Italia ormai non c'è assessorato che non richiami immediatamente l'idea di carcere ... Ma il fatto è che tutto questo fa pensare agli italiani e ai partiti italiani che della Jugoslavia non ci si debba occupare. Si conosce un partito italiano che abbia una posizione sulla Jugoslavia? E magari i partiti non avessero delle posizioni su alcun problema, ma su altri problemi hanno delle posizioni. Ora stanno fingendo che sia una questione di vita o di morte il sì o il no al referendum e stanno creando una spaccatura morale sulla questione della riforma elettorale, una spaccatura di tipo manicheo, fra buoni e cattivi come per la guerra nel Golfo. Ma sulla Jugoslavia non conosco posizioni dei partiti, non hanno avuto il tempo di occuparsene;eguardate che sulla situazione jugoslava è avvenuto potenzialmente, anche se non esplicitamente, il più grande mutamento di coscienze che ricordi da quando mi occupo di politica: il potenziale superamento della distinzione fra pacifisti e non pacifisti e cioè di uno dei più grandi equivoci del dopoguerra. Questo è avvenuto. E' avvenuto che dei pacifisti, magari continuando a pagare lo scotto del loro rapporto col movimento pacifista, parlano, se non di intervento militare, di intervento di polizia; si pongono il problema. E' avvenuto che pacifisti molto seri e responsabili, di ritorno dalla Bosnia, hanno detto: non cambiamo niente delle nostre convinzioni di principio, ma lì è necessario fare qualcosa. Morillon è il • campione di cui essere fieri Dopodiché ci troviamo al punto di passare le giornate a invidiare il Generale Morillon e ho scoperto, parlando con Daniel, che il generale francese-a priori l'idea di un generale francese evoca l'idea di un coglione- è il campione di cui entrambi andiamo fieri: uno che è stato mandato a fare il buffone alla testa di un compartimento delle Nazioni Unite, che si lascia ammazzare la gente nelle proprie mani o che tutt'al più si lascia fermare i convogli coi medicinali e si lascia svaligiare e che a un certo punto, forse perché l'hanno preso in ostaggio dei disperati, forse perché ha desiderato essere preso in ostaggio, diventa il titolare in proprio, personalmente, della salvezza di una popolazione, di trattative diplomatiche, ecc ... Daniel Cohn-Bendit. Nella storia, per uno di sinistra, il punto di riferimento è la Spagna, la guerra di Spagna e lo scandalo del mondo occidentale che non intervenne. Ma la Spagna di oggi è la Bosnia e non è nessun punto di riferimento, non se ne parla. "qui tuffo va bene, non è problema nostro" Voglio dire due cose: la prima è che la società multietnica è molto difficile da stabilizzare. Finché non c'è una pratica di vita comune -20, 30,40 annicroati, serbi e anche bosniaci e mussulmani vivono in una situazione molto complicata e da un momento all'altro possono diventare nemici mortali. E' molto duro per noi da accettare, ma la definizione etnica non è solo frutto di immaginazione, è anche una realtà molto forte e molto pericolosa che non è affatto semplice da far sparire nel mondo. Questa è la prima cosa significativa della Jugoslavia. La seconda cosa, che mi rende molto scoraggiato, è constatare che tutti i sentimenti di solidarietà internazionale -per vietnamiti, palestinesi, eccetera eccetera-, funzionano quando non c'è un pericolo per noi. Ci può essere iIproblema di scontrarsi con la polizia, ma quello, alla fine, è un gioco. Quando invece c'è una situazione come la Jugoslavia dove, se noi diciamo sì a un intervento, entriamo dentro un meccanismo molto difficile, allora noi reagiamo alla Jugoslavia esattamente come Bossi chiede ali' Italia di reagire al Meridione: non guardare, noi siamo qua, siamo a Milano, siamo a Firenze, siamo a Francoforte, qui tutto va bene e quello non è un nostro problema. E la follia è che se oggi non facciamo niente sulla Bosnia, domani abbiamo 3 milioni di profughi e fra 5 anni ci saranno manifestazioni sul diritto di autodeterminazione del popolo bosniaco per il loro territorio, come per i palestinesi, per gli armeni e allora, per la guerra di liberazione dei bosniaci per il loro territorio, tutta la sinistra, tutta la sinistra del mondo intero, sarà per l'autodeterminazione dei bosniaci. Ma nessuno vuole pensarci orachec'èquesta Bosnia. Nessuna reazione. Subentra la paura e la paura si può capire. Ma quando c'è stata la discussione in America sull'intervento nel '41-'42 contro la Germania, la maggioranza degli americani erano contrari a mandare soldati americani a morire in Europa contro Hitler. E allora il Generale Eisenhower sarà stato un coglione ancora più grande di Morillon, ma è stato necessario, insieme a Montgomery e a tutti gli altri stupidi generai i, per battere i tedeschi. Oggi siamo paralizzati da un'ideologia pacifista che ha momenti morali molto forti, ma che è incapace di rispondere davanti ad un atto di distruzione di centinaia di migliaia di persone. rispeHo al Golfo: meno tifoserie e più gemellaggi Nella mia vita non avrei mai pensato di trovarmi a vivere in una situazione come davanti alla Spagna o davanti a Monaco, quando Hitler prese la Cecoslovacchia, e invece oggi io vivo questa situazione. Noi la viviamo. Ed è molto facile, basta non guardare. Posso continuare a vivere a Firenze o a Francoforte senza problemi, come nel '36 si poteva continuare a vivere a Parigi, di fronte alla Spagna, senza problemi. Il solo problema -e questa è la sola vera differenza- sarebbe quello di fermare la televisione. Ecco, il problema è che la televisione è un problema. Guardare ogni giorno la gente morire a Sarajevo in diretta è molto difficile. A questo punto siamo esattamente nella situazione degli Stati Uniti durante la guerra del Vietnam. La mobilitazione contro la guerra la fece la televisione americana. Perché vedere ogni giorno iImassacro in televisione spinse una parte della gioventLIamericana a dire no. Siamo in questa situazione. Non possiamo continuare a guardare senza fare qualcosa, no, non è possibile. Alex Langer. Io sono d'accordo fino a un certo punto con Adriano quando dice che sul Golfo la gente almeno si schierò nella discussione, mentre sulla Jugoslavia pare non si discuta nemmeno. Però a me sembra che ci sia un salto di qualità. Sul Golfo il tipo di discussione era ancora fra tifoserie: da una -

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