Terza Generazione - anno II - n. 12 - settembre 1954

Teoria e • pratica ' 1 Teoria e pratica del servizio socia– le " (1) è quasi universalmente considera– to il manuale fondamentale della tecnica del casework (z); e infatti in quest'ope– ra, frutto dell'esperienza di più di 20 an– ni di servizio sociale americano, ne sono ampiamente analjzzati i vari aspetti ap– plicativi: il rapporto fra assistente e assisti– to, il colloquio, l'utiljzzazione delle risorse sociali, il lavoro nell'ambito dell'ente as– sistenzjale e i rapporti tra i vari enti, as– sunzione, studio, valutazione diagnostica e trattamento dei casi, campi di applicazione. Il casework come lo concepisce Gor– don Hamilton, risponde alla definizione dj S. Bowers: « è un'arte in cui la nozione della scienza delle relazioni umane e l'abi– lità nello stringere rapporti umani, sono usate per mobilitare le capacità dell'indi– viduo e le risorse nella Comunità per un migliore adattamento tra il cliente e tutto o parte del suo ambiente ». H. Hamilton, infatti, considera obiettivo del casework non solo la soluzione di que– sto o quel problema, ma anche l'adattamen– to sociale dell'assistito. L'autrice infatti ap– partiene alla scuola organica o diagnostica, per cui, considerando la persona un tutto inscindibile, i problemi non possono essere risolti isolatamente ma è necessario studia– re come questi hanno inciso sulla persona– lità dell'individuo e raggiungere l'adatta– mento sociale mediante il trattamento. Il concetto basilare espresso in Teoria e pratica del servizio sociale è che « l'assisti– to non è un problema, ma una persona con un problema » p. 38 che si rivolge all'assi– stente sociale perchè non è riuscita a risol– verlo sia per cause oggettive sociali, sia per una sua incapacità soggettiva psicologica. Ogni caso è differente daglj altri e non esistono metodi buoni per tutti da applicar– si · esteriormente, ma ogni persona va trat– tata in un modo diverso. O meglio: esisto– no delle regole impersonali riguardanti jl diritto all'assistenza, ma l'atteggiamento dell'assistente sociale riguardo alla situazio– ne di ogni assistito deve essere personaliz– zato. Il caso ~ cjoè il problema, ciò che que– sto significa per l'assistito e come questi vi reagisce - è, dunque, un processo psico– sociale, nel senso che è il prodotto di due ordini di fattori, interiori ed esteriori, stret– tamente connessi fra loro, e forma l'ogget to del rapporto assistente-assistito. Rappor– to che si dice professionale, in quanto ha come scopo la soluzione del problema di cui assistente e assjstito cercano insieme di sta• BibliotecaGino Bianco del • • serv1z10 sociale bilire la natura e trovare il rin1edio adatto. Il lavoro dell'assistente sociale si sviluppa dunque in due direzioni; modifica dell'am– biente difficoltà e pressioni esterne, tratta– mento dell'assisti_to per metterlo in grado di risolvere il proprio problema. Per far questo bjsogna conoscerlo e capire che cosa la sua situazione significa per lui. Questa cono– scenza degli « individui in relazione non solo alle loro esperienze sociali, ma anche ai loro sentimenti riguardo a tali esperien– ze » (p. 2) ci viene data dalla psicologia di– namica, strumento fondamentale per com– prendere i meccanismi psicologici che in– fluiscono sul caso, studiando il 1nateriale dj informazioni, sentimenti e reazioni emo– tive fornitoci dall'assistito nel colloquio. E' questo il momento principale nello svolgi– mento del caso in cui l'assistito fa la sua richiesta e racconta la storia del caso. L'as– sistente lo ajuta ad esprimere i sentimenti e problemi relativi alla sua situazione, ad analizzarne meglio i vari elementi, facen– dogli domande inerenti a quanto sta di– cendo, (« non domande convenzionali pre– se da un questionar.io o da uno schema fis– so») (p. 6o), soffermandosi quando espone un conflitto o un dilemn1a, interpretando tal– volta certi suoi pensieri non del tutto co– scienti, riuscendo a raggiungerlo al di là delle parole e a capire ciò che veramente egli vuole anche quando ha delle « resisten– ze », e non è capace di esprimerlo verbal– mente. Ora, perchè il colloquio dia un ri– sultato realmente positivo, non solo nello studio del caso, ma anche nel trattamento, è necessario che tra assistente e assistito intercorra un rapporto di reciproca accet– tazione, che implica da parte dell'assistente rispetto e comprensione, totale e non solo intellettuale, per l'assistito, e un sincero desiderio di aiutarlo a risolvere il suo problema; da parte di questo la coscienza di avere un problema e un reale desiderio di essere a.iutato a risolverlo; infatti per una soluzione che risulti duratura,- « è indispen– sabile che l'individuo voglia aiutarsi da sè » (p. 12). In segujto al colloquio l'assistente socia– le deve essere in grado di fare una diagno– si fondata su ipotesi che spjeghin0 la na– tura e le cause del problema, e una valuta– zione della funzione che, rispetto a questo, ha l'individuo. Tale valutazione diagnosti– ca è naturalmente elastica e suscettib1le <li modifiche secondo l'apporto dato <laj c.ol– loqui seguenti e non dà un giudizio di va– lore sulla persona, ma ha il fin~ cH sta• bilire il significato del caso e ,''i linea di condotta da seguire nel trattamento. La me– ta del trattamento consiste nel « 1nohilitare le capacità dell'assistito ad un'ati:~Ya patte– cipazione al suo caso », in maniera da ri– solverlo con lui e non solo per lui. Questi sono in sintesi i « processi fenda– mentali » del casework, elaborati alla lu• ce della psicologia dinamica, con1~ G. Hamilton lj enuncia nella prim:1 parte di '' Teoria e pratica del servizio sociale '' e li descrive, « in funzione di un metodo siste– matico di studio e di diagnosi, quale base del trattamento » (p. XVI), nella seconda. Ci è sembrato utile dilungarci nell'esporre que– sti processi fondamentali data la poca cono– scenza di tale forma di servizio sociale in ' Italia. Oggi la corrente organica o diagnostica, che trova una esauriente forn1ulazjone in " Teoria e pratica del servizio sociale 11 è og– getto di molte critiche, e si sta sviluppando la corrente funzionale che reagisce a certe esagerazioni in cui la prima era caduta. Dal punto di vista funzionale il casework si riduce all'offerta e somministrazione di quei servizi di cui l'assistito mostra di aver bisogno. Si ha in questo caso una maggior fedeltà al problema, mentre si jndaga meno sulla personalità dell'assistito. I seguaci della teoria funzionale obietta– no a quelli della organica di sottovalutare il problema concreto che gli assistiti pre– sentano, perdendosi nella ricerca delle cau– se lontane che Jo hanno generato e di of– frjre cc un trattamento controllato dall'as– sistente sociale » (4), invece che dei servi– zi, lasciando agli assistiti la facoltà di re– golare come meglio credono i propri rappor– ti con l'assistente. In altre parole i diagno– stici hanno la tendenza a preoccuparsi mag– giormente del disadattamento sociale degli assistiti che non dei problemi concreti che essi presentano. E' giustificato questo at– teggiamento? Nella condizione attuale di disgregazjone della società molte persone restano a t mar– gini del gruppo sociale cui appartengono. La società di cui nomina] men te fanno parte non è in grado di comprenderli e non da loro la possibiHtà di crescere e di esplicar~ la loro funzione. I provYedimenti assi c,tcn. zia li di massa non risolvono realmente la loro ~ituazione perchè spesso i problerni con– creti che gli ass1st1t1 presentano non 5ono che effettj e sintomi di un problema più grave di crisi dei rapporti tra loro e il I\1on– do circostante. E' necessario perciò parten– do dal problema concreto a cui attribui&cc– no la fonte dei loro guai, aiutarli a prender 21

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