Terza Generazione - anno II - n. 12 - settembre 1954

A di Abbianio scritto su T.G., che, per noi, la ricerca teorica non è un fine, 1na uno strumento indispensabile e che, perciò, non nunamo alla definizione preliminare di principi, ma a quella critica e a quella formulazione di giudizi, che spieghi me– glio la nostra esperienza e le scoperte che facciamo di bisogni non soddisfatti e di talenti non investiti. Con questo non ab– biamo affermato la strumentalità pura e semplice dell' a.ttività teoretica. D'altra par– te è stato detto in vari modi, che T.G. non si muove in funzione di un siste1na di cultura pregiudizialmente accettato. -Enunciata in questi ternunz, la posi– zione di T.G. doveva risultare ostica o per lo nieno pericolosamente equivoca. Ostica per coloro che hanno ceduto alla facili– tà di supplirne l'indeterminatezza con il preciso fantasma dei loro rispettivi bersa– gli abituali: ambigua e ricca di incognite per coloro che ritengono sinceramente de– gna di attenzione l'iniziativa di T.G. Ci offre l'occasione di riprendere espres– samente il discorso con questi ultimi, Do– menico Novacco con l'interessante artico– lo su « Nuoya Repubblica » del 10 settetn– brc: « Terza Generazione allo specchio ». Donienico Novacco riconosce la funzione di T.G. di far vedere sentire e operare co– se che hanno bisogno di occhi e di orec– chi nuovi e di mani che si muovono, e apprezza lo sforzo di T.G. per incontrare real,nente z problemi sulla strada della società e della cultura, anzichè dall'in– terno di posizioni tradizionali asfittiche. A questa simpatia, che permette un col– loquio di per sè difficile, si accompagna– no le 05servazioni critiche che ci invitano a questa nota. E' vero, che molti dei giovani di T.G. sono « giovani cattolici che si agitano per uscire dai ten tacoh del tradizionalisrno più statico », ma ciò che caratterizza que– sto fatto, è che non si tratta di un enne– simo episodio cli sgretolamento del vec– chio mondo per l'azione delle forze nuo– ve, ormaz tradizionali anch'esse, della Riforma e dell' Illuminùmo. T.G. non è un fatto interno del mondo cattolico, dal quale si abbia ragione cli attendere dei frutti per la parte laica tradizionale. L'in– co11tro con i problemi storici della so– cieta, che deve far uscire ognuno dai li– miti che sperimentiamo, deve 5pingere al superamento qualitativo di questi limiti. A questo si è irnpegnata T.C. e questo, eibliotecaGino Bianco un'ideologia inconfessata evidente men te, è ciò che sconcerta tut– ti coloro che non si sentono di partecipa– re ad un simile sforzo. Del resto, uno sforzo, che è stato utile alla maturazione del cornpito attuale, sen– za superare in radice i linziti da cui si voleva uscire, nwlti di T.G. l'hanno fat– to, negli anni scorsi, sulla strada della generazione dell'antifascismo, di cuz so– no stati i più giovani partecipi. Il primo appunto che ci muove Donze– nico Novarco, infatti, concerne una peri– colosa « boria dei dotti » che animerebbe l'interessamento di T.G. per gli aspet– ti trascurati della nostra società, per z valori morali e culturali che gzacc1ono improduttivi nelle zone umane superate dal progresso storico a cui hanno cessa– to di partecipare a cominciare da una cer– ta epoca. « Nella preùtoria della cultu– ra » egli dice « non c'è quello che la bo– ria dei dotti amerebbe trovarvi, 11zentre vi ristagnano potenziali ferrnenti, il cui svolgimento è la tematica secolare della storia dei popoli >>. Egli giustificherebbe queste ricerche., se portassero alla conoscenza del moto naturale della storia e, quindi, ali' adesio– ne consapevole, cioè alla funzione di guida, della sua maturazione. T.G., invece, pretende di fare l'analisi delle forze e delle possibilità scoperte, per favorire, con giudizi e con eventuali znzzzative, uno sviluppo secondo una li– nea che solo gli uomini possono impo-.;ta– re, facendo della storia, il più possibile. un'opera unzana. A. Paci, nell'articolo citato da Dome- nico Novacco, non sz mente che la storia non to l'istanza metodologica serva che gli uomini non posto con concretezza e ficienti il problema di storia. stupisce znge11ua- abbia soddisfai– di T.G., ma os– si sono mai pro cornpletezza 5uf– fare la propria L'uomo comune, che tace o ripete di– scorsi non suoi, sa per co11to suo che non sono sufficienti le necessarie scelte con– tingenti. Una volta scontati i rniti, non .,i può attendere imperturbabili ciò che poi, attraverso le scelte particolari imm •dia- te, la storia ci riserverà. Atteggiamenti e discorsi come qur~t 1, oggi si reggono soltanto sulla com J>re11sio• ne della realtà di cui si parteci/> i, mal– grado le categorie disponibili per cc·m- prenderla sistenzaticamente zn linea di principio. A « fuori dell'Enciclopedia », dello a « Il Alulino ». e giudicar/ 1 tutt'oggi sono co·me è stato Di qui, quel!' andare sprovveduta di T. G., che, da una parte fa credere alla ri– nuncia a ogni verità che non sia il giu– dizio particolare e, Jall' altra parte, fa sospettare che, invece, sotto la camicia, abbia l'amuleto di una dottrina tutta finita, che l'illude segretamente. In realtà, noi crediamo che il fare pos– sa risultare qualche cosa come un corol– lario di una visione sistematica, ma non un corollario ovvio, cioè non un dato che sia possibile raggiungere effettivamen– te per deduzione logica. Noi crediamo che i filosofi debbano fare i conti con l'empirismo e lo storicisnio, ma pensiamo anche che una nuova concezione potrà maturare e avere sen– so, soltanto se saranno evidenti ed evi– dentemente operanti quei dati, che cadono fuori delle concezioni attuali, i quali po– tranno giustificare storicamente i principi per cui risul !assero comprensibili' siste-- 1naticarnente. Il nietodo proprio di T.G. non ci pare ,;zè ipotetico, nè provvisorio, perchè ha la saa funzione anche per rispetto alla « rkeréa della verità » propria della filo– sofia nel senso classico. D'altra parte, giustificato che sia, non ci pare che pos– sa stare per una filosofia, visto che non lo pretende, apparentandosi con le cor– renti pragmatiste. Se è vero, in qualche modo, che l'impe– gno di T.G. rinzanda ad una ideologia. esso la richiede, non ne dipende, e la richiede come richiede lo Stato o le uzz– ziative democratiche. Le iniziative che stiano nello Stato, cioè organiche. non anarchiche nè eversive, non si deducono dallo Stato e nessuno Stato può supplir– le correttamente. Lo Stato penn~ato dal basso della società, ha un suo fondamen– to, un suo diritto, una sua funzione e non è la semplice e immediata conse– guenza del movimento della società. Co– sì l'organicità necessaria tra i giudizi di T.G. e una concezione della realtà non implica la derivazione di questi da una filosofia inconfessata, nè la pretesa di costruire, con quelli, una filosofia. RENZO CALIGARA

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