Terza Generazione - anno II - n. 10-11 - luglio-agosto 1954

cloYc dà 1 uogo ad un 1nalessere che si affaccia sotto forma di indifferenza o di insofferenza. In tal modo risulta chiaramente che non è più lecito, e per definizione non siamo più autorizzati, a distrarci per chiederci farisaicamente se altri tempi, se altre epoche, ~iano state infestate dagli stessi mali: non possiamo per- u1nani, espressioni estetiche, letterarie, artistiche, che par– lino almeno della sua angoscia, qualunquismi, diffusi come costume, che pongano almeno richieste, se non altro, più chiare? chè il nostro discorso rimane appunto separato dal piano delle interpretazioni ed esami storici e da quello dei con– tenuti dei comportamenti e delle operazioni umane. E' ciò che non funziona in noi che qui dobbiamo rilevare: perchè il sopruso logico il sofisma, l'autoinganno raziona~ le, non è 1nai giustificabile o spiegabile per forza di esem– pi, di tradizioni di circostanze. E' soltanto giud~cabile e condannabile per la parte di umanità di cui ci priva: ed è quel giudizio che se non risponde direttamente alla do- 1nanda « che fare? », ci affonda però nelle radici del no– stro malessere per farcene constatare le conseguenze estre- 1ne, per vincere gli autoinganni e le illusioni. Occorre trovare parole, parole sempre, per parlare di queste cose, per parlarci di queste cose attorno alle quali si forma e si stratifica il silenzio, lo sfruttamento e una omer– tà intellettuale carica di morte. Il commerciante che vende la sua merce è ancora molto più chiaro, eccessivamente più chiaro di noi e più preciso: è segno che la mancanza è nostra, che esiste una richiesta rivolta a tutti, che abbia– mo bisogno anche di 1 ui. Dell'unità fondamentale e possibile dell'uomo e del suo discorso, cosa rimane? Forse solo l'unità del sofisma: il di– scorso della nostra coscienza che ci ~onvince al compro– messo, il discorso della nostra cultura che parla solo a se stessa e s'inaridisce, il discorso del politico che parla di libertà e di democrazia (invece che di qualcosa con cui faticosamente supplire), il disegno dell'astrattista, si rive– lano tutti parlati in una lingua sorprendentemente comu– ne. Non sono nè morale, nè cultura, nè politica, nè arte: sono la lingua di noi tutti che rinneghiamo la nostra di– sponibilità umana. Quante « analisi della crisj contemporanea » si fanno e si svolgono nei vari e disparati campi culturali! Ci pas– ano vicino e non ci toccano: non sospettano neppure che nei no tri bisogni sta la ricchezza e nella azione l' arric– chi1nento. E chi mai si preoccupa di sapere cosa deve dire a chi sente pit1 Y1c1noa sè, e alle inespresse esigenze dei bisogni AIMONE BALBO Quaderno I • • cattolici e il linguaggio • marxista Uomini politici e pubblicisti si sono oc– cupati più volte in questi ultimi mesi di un problema che alcuni sentono vivissi– mo: l'uso di un linguaggio « marxista » da parte di molti che marxisti non sono. Di solito l'oggetto di discussione è dato da ar– ticoli o da discorsi di giovani canotici (il « preoccupante » fenomeno sembra riguar– dare quasi esclusivamen1.e questo seJtQrc) in cui vengono usate parole e frasi abiJuali a persone di tutt'altra provenienza cul.tu– rale: e così vien subito notato chi dice « clas– se » e non «ceto » o chi chiama i poveri « proletariato ». Talvolta la pazienza d§J filologi è ancora maggiore. Basta ricorda– re un articolo di fondo del « Giornale d'l talia » in cui il direttore di quel foglio J 'lvendo trovato in un discorso dell'ex-pre- 5idente della CIAC, Rossi, la parola « co– munità ,1, si sente in dovere di giocare sul- le radici... comuni delle parole e scrivere: (( Comunità, comunitario, comunione, co– munismo: si scivola faci.lmente sulle pa– role e sulle cose di comune origine ,,. A pre5cindere in ogni modo da tali stra– nezze, una cosa rimane vera: che negli r;critti dei giovani della terza generazione (.\pccialmente cattolici) molto sp(!sso si ri– trovano non solo parole, ma frasi che i più (abituat1 come si è ad incasellare e a tro- 3 BibliotecaGino Bianco vare una matrice certa a tutte le manife– ~tazioni) ritengono monopolio dei marxisti. Per spiegare il fenomeno si possono dire molte cose: e per dirle non è sufficiente l'economia di una nota. A qualcuna tut– tavia si può accennare tanto per avvia– re un discorso che merita ulteriore appro– fondimento. C'è anzitutto da ricordare un'argomen– tazione di carattere generale, valida cioè anche al di fuori del nostro caso, per cui tutto il nuovo e il vero che gli uomini rie– scono ad esprimere ha diritto di cittadi– nanza tra la cultura e costituisce patrimo– nio indispensabile per tutti coloro che si pongono il problema della creazioµe di nuova storia; chè sarebbe assurdo e vellei– tario pensare di poter andare avanti sen– za prima possedere e aver messa a frutto tutta l'esperienza del passato: con il nuovo e con il vero passa evidenkmerite anche il linguaggio che è necessario perchè il nuo– vo e il vero possa essere espresso. E della cultura indubbiamente fa parte anche il marxismo e del patrinionio di ognuno quet– la parte di vero e di nuovo che ognuno ha creduto di poter _trovare nel marxismo. Sa– rebbe oltremodo difficile (per non dire im– possibile) riuscire ad esprimere il « di più » che nell,-esperienza culturale rappresenta il marxismo mettendo al bando tutti i vo. caboli usati dai marxisti; proprio quei vo– caboli cioè che sono i soli storicamente suf– ficienti a comprendere il 1narxismo. Sareb– be altresì completarnente fuori luogo con– I ondere la necessità storica dell'uso di una parola con l'accettazione del sistema che quella parola ha "scoperto " e riempito di un nuovo significato. Tutti coloro che nella scuola e nella viJa hanno avuto a che fare poniamo con He– gel, sanno benissimo della necessità di usa– re un linguaggio « hegeliano » per libera:. re la parte di « vero » contenuta nel siste– ma di H egel. Ed inevitabilmente parole e frasi usate in un certo modo per la prima volta dal filoso[ o tedesco sono rimaste net bagaglio culturale dello studioso di H egel e vengono tirate fuori e rispolverate ogni qualvolta lo studioso ne ha bisogno per di– re meglio le idee e i concetti che l'incon– tro con Hegel ha contribuito a chiarire. Su questo piano l'esperienza di ognuno è ric– chissima di esempi. Chi ha letto Gram$ci sa benissimo che nelle note e negli appunti gramsciani sono molte numerose le parole e le frasi mutuate dal linguaggio idealisti– co crociano: tuttavia nessuno studioso se– rio, dopo u.n esame sereno dell'opera di Gramsci, si sentirebbe di far passare lo stu-

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