Terza Generazione - anno II - n. 10-11 - luglio-agosto 1954

Disponibilità Nel disorientamento delle idee, nell'indigenza dei mez– zi, nell'incertezza di prospettive, nell'enorme pressione dei fatti accresciuti nella loro entità e nel loro numero dal progresso tecnico, l'uomo sembra temere la perdita di una funzione e di una posizione raggiunte o assegnategli, e, come per risparmiare qualcosa che presume risparmiabile o comunque esistente anche senza impegnarlo, accantona la sua « disponibilità », e praticamente la rinnega. Come sopraffatto dall'urgere dei fatti divenuti forze brute sottratte al suo controllo (tale è la sensazione intima di tutti indipendentemente dalle condizioni e dalla fun– zione) cerca e crede di poter ritrovare la via per tornare ad imporsi e per salvarsi almeno dagli urti, o lasciandosi af- fondare e costruendo sul fondo cose che abbiano l'appa– renza della vita, della luce, e di tutto quanto ha perduto; o agendo per sè solo e sperando nelle perdizioni degli altri il vantaggio per sè. Sottile senso di malessere e di angoscia, sentito e dif– fuso ovunque in tante diverse sfiducie e scetticismi: ma l'uomo ha di fronte a sè, come sempre, la propria ricchez– za, le azioni sue e degli altri. Come conscio di un falli– mento e per non assumersi responsabilità che rinnega, ine– sorabilmente le svaluta. Esistono bisogni, che più propriamente chiameremo << umani» in quanto alla loro base sta l'esigenza di rea– lizzazione del destino unitario dell'uomo, e esistono azioni degli uomini compiute o disponibili allo scopo di soddi– sfare tali bisogni. Di fronte al bisogno esiste cioè una fon– damentale « disponibilità » dell'azione umana, rinuncian– do o limitando la quale, l'uomo rinnega se stesso: dispo– nibilità che costituisce l'intima natura e il primo carat– tere dell'azione e che pure può giacere oppressa e sepolta da soprastrutture spurie. Contro questo primo scoglio s'infrange l'umanità del– l'uomo e si pone il problema de!Ja sua reintegrazione. La disponibilità viene sistematicamente limitata con criteri che non è qui il luogo di seguire e di criticare, ma comunque rimane inevitabilmente scoperta tutta una zona di responsabilità cui l'uomo rinuncia: e l'azione stessa, la responsabilità conseguente, e, indiretta1nente, il bisogno, subiscono una svalutazione arbitraria. Come avviene questa svalutazione? Avviene perchè, con procedimento sofistico, ciascuno pone la propria azione come al margine delle azioni disponibili e in conseguen– za ne deriva per la stessa un giudizio di sostanziale indif– ferenza per la sua sproporzione e per l'insignificanza della quantità di bisogno che la stessa soddisfarebbe. Si calcola cioè una sorta di nuova utilità marginale che stabilendo l'indifferenza della nostra azione singola, santisce in de– finitiva una svalutazione del bisogno come entità concreta e ricchezza reale dell'umanità. Non si creda che quando così ci siamo compromessi, BibliotecaGino Bianco Letture ciò che di umanità abbia1no perduto sia recuperabile per altra strada. E' un tentativo, è un diversivo riprovato con– tinuamente, col quale presumiamo di riuscire a riempire il vuoto della nostra vita. Del resto non senza ragione noi evitiamo con ragionamento sofistico lo scoglio rappresen– tato dal bisogno umano: sappiamo che è il punto meno determinato ma più impegnativo per le nostre responsa– bilità. Il bisogno umano ha in sè una forza e una ampiezza problematica che ci urgerebbero continuamente: al ser– vizio dei bisogni, la nostra attività non trova più così fa– cilmente limiti e prospettive finiti, prossimi, parziali ma scambiabili sofisticamen,te per finali. E allora dovremmo cercare altrove queste prospettive, dovremmo cercare noi stessi, trasporre le prospetti ve là dove solo ci è dato trovare le ragioni e i principi per guidare e dirigere i bisogni stes– si: è il campo dell'integrazione umana dove dovremmo affiggere lo sguardo e che si prolunga prospettivamente in quello morale. E ciò vuol dire impegno, impegno totale. Noi prefe– riamo rifuggirne a costo di perdere ciò che nella fuga non . . . nusc1amo a conservare con noi. Così muovendo, così rinunciando, pur di fronte al si– curo progredire delle situazioni tecniche, si articola fra uomini disintegrati una civiltà del sofisma, come ciò che ha appunto permesso e giustificato tale disintegrazione e la perdita della possibilità stessa di controllare ciò che ab– biamo compromesso. In conseguenza sentiamo in noi una immensa difficol– tà nel cercare un'orientamento per le nostre azioni: ci sen– tiamo spaesati· nel nostro paese, snazionalizzati nella no– stra nazione, disumanizzati nel momento stesso in cui vo– lontariamente non vogliamo più alzare lo sguardo dalla terra degli uomini. Ci sentiamo nelle mani idoli che si frantumano continuamente anche se risorgenti, anche se possono muoverci passionalmente ed illuderci. Concezio– ni politiche o estetiche, cosmopolitismi o umanitarismi, espressioni culturali e, perfino, religioni. Chè la confusio– ne delle coscienze e dei discorsi non ci permette più di di– stinguere se sono idoli che si spezzano o se sono a volte le nostre mani che non reggono e si frantumano esse stes– se per il disfacimento dell'uomo che, non sapendo più se e come impegnarsi, si particolarizza e si disintegra. Qui, veramente, si apre nel corpo vivo ma disunito dell'uomo, e nel suo sangue, una larga fascia di atteggia– mento umano compresa fra una zona di puri principi che ci si illude possano vivere staccati e isolati da tutto (ed infatti quando si vuole riprenderne qualcuno ci si accorge che è morto) e una zona di comportamenti determinati dove si presume di poter accettare assieme cose che dovreb– bero elidersi e dove si scambiano e si invertono le fun– zioni e le portate delle operazioni umane. E' la fascia do– ve ha la sua origine il sofisma prima di articolarsi e 35

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