Terza Generazione - anno II - n. 9 - giugno 1954

quello della insufficienza delle parti esistenti, perchè in qual– che maniera sconvolgeva il tra– dizionale modo di porsi delle forze politiche rispetto ai pro– blemi. C'è in questo atteggiamento una sorta di pigrizia un acce– cato porsi all'interno delle so– luzioni già date, un facile at· tendere l'inserimento « sponta– neo » nel mondo degli anziani. Potremo dire scherzosamen– te che da questo punto di vi– sta l'unità della generazione è salda e incrollabile: l'unità nella passiva attesa dell'eredità. Ma il problema è cosi grave che non pensiamo possa essere oggetto di scherzi e di g1uo– chi di parole. Ci ritroviamo cosl sempre di fronte all'appello per una mora– lità in cui affondino profonda– mente le basi per la costruzio– ne del nuovo Stato: una mo– ralità civile su cui agisca la presa di coscienza della crisi e per la quale sia facile affron– tare le strade più difficili e i compiti più gravi. Poichè la stessa comprensio– ne dei fatti e della realtà sto– rica in cui ci muoviamo non è possibile senza questo rinnova– mento della moralità, senza una profonda ribellione agli sche– mi e alle situazioni preesisten– ti., senza questa intima voca– zione alla ricostruzione della società umana. Accorgersi quindi, che il pro– blema dello Stato è legato più a fatti « umani », ad una zo– na che è stata continuamente messa in un cale come quella della moralità e dei rapporti fra gli uomini, (in una socie– tà che invece ha sempre po– sto in primo piano il rapporto politico, l'egemonia culturale ed ideologica, il giuoco delle for– ze) è innanzitutto un cambia– mento di punto di vista. Cambiare il punto di vista non è certamente aver risol– to il problema, possedere nuo– ve categorie, avere una nuova cultura: è soltanto aver rifiu– tato la moralità corrente e a– spirare ad una moralità diver– sa per una società civile diver– sa: ma basta questo passo per veder cambiare molti termini dei problemi cosi come ven– gono posti : per vedere come, questa generazione salverà o perderà il proprio paese se tro– verà o no nuovi rapporti fra gli uomini italiani e lo Stato. Una co1nu11ità per gli studenti Caro Ciccardini, avrai letto in questi giorni quel che si è scritto sulla scuo– la italiana prendendo spunto dall'alta percentuale di boccia– ti che ha coronato l'anno scola– stico 1953-54. Le accuse che ven– gono mosse alla scuola sono: l'enciclopedismo dei programmi e l'assurda vastità della materia d'esame; il super-affollamento delle aule; il grande numero di scuole parificate che invece di essere fatte a piramide con la base nelle classi inferi ori, han– no la base nell'ultimo anno per– chè accolgono, com.e uditori, una notevole quantità di boc– ciati. Stabiliti in questi termini i ca– pi d'accusa sembra facile indi– care le auspicabili soluzioni in proposte di questo genere: ridù– zione dei programmi; costruzio– ne di edifici scolastici corrispon– denti alle attuali esigenze e be– ne attrezzati; massinia severità nei riguardi degli istituti pari– ficati. Sull'argomento ha preso an– che recentemente la parola il Afinistro alla P.l., At/artino, che in un articolo apparso sul setti– manale " Oggi " ha ammesso la necessità di una riduzione dei programmi notando però che non bisogna esagerare altrimen– ti la cosa potrebbe andare a sca– pito della serietà della scuola italiana. Anche nel mondo degli stu– denti, del proble1na si parla e molto. C'è anzi tutto un atteg– giamento dei più vivi che se1n– bra dire: senza di noi non si faranno riforme, oppure, la ri– forma partirà dagli studenti. Naturalmente così non può es– sere, che il problema della scuo– la è connesso a quello dei fi– ni e del consolidamento dello Stato, cose queste che esorbita– no dallo spirito di corpo degli studenti ed anche dalle loro pos– sibilità culturali. Altri si dovrà occupare quindi dell'aspetto più vasto del problema della setto la ( e speriamo con maggiore a– cume di quanto non abbia fatto l'On. Martino nella sua intervi– sta al settimanale « Oggi »). Purtuttavia senza voler affi- dare agli studenti co1npiti supe– riori alla loro statura io penso che potrebbero fare qualche co– sa di importante per la loro scuola. E proprio di questo ti volevo parlare. Finora gli studenti se ne sono occupati in maniera confusa: la · stanipa giovanile direttamente interessata non assume atteg– gianienti uniformi. C'è una diffusa posizione di carattere rivendicazionistico. Si fanno proprie le accuse di cui abbiamo fatto cenno e si ri– chiedono "all'autorità compe– tente " sollecite soluzioni dei gravi problemi indicati; in più generalmente si avanzano pro– poste specifiche c01ne l'insegna– mento della storia successiva alla prima grande guerra mon– diale, l'inserimento del 111edico e dell'assistente sociale nell'isti– tuto, l'abolizione del voto o al– meno del voto segreto. A1olte volte la rivendicazione ha fini esclusivamente proselitistici. C'è anche una corrente d'opi– nione studentesca che sostiene la necessità di una rif ornia del– la scuola che parta dal basso, cioè dagli studenti stessi che dovrebbero cambiare il loro sti– le di vita studentesco. E' diffusa anche l'idea di in– tegrare fuori della scuola le ca– renze esistenti all'interno della scuola con i ruoli, associazioni culturali e stampa studentesca. Carattere comune di queste posizioni è quello di muovere dall'esterno e mirare a creare delle zone di ùnpegno fuori del– la scuola per la soluzione dei problemi della scuola. In alcuni casi ci si limita a convogliare i giovani verso una posizione di protesta; in altri si orientano i giovani ·verso quegli ambienti nei quali dovrebbero trovare quella formazione persona!e e quello spirito necessario per po– ter svolgere un'azione mission'l– ria nella scuola e operare quin– di una specie di rif orni a dal basso. Dato che la grande . maggio– ranza degli studenti è insensibi– le a questi problemi, sono sola– mente le energie migliori del mondo studentesco a raccogliere gli inviti. Queste, avvertita l'in- BibliotecaGino Bianco sufficienza della vita scolastica, cercano la saturazione delle loro valenze nell'ambito di movi?nen– ti e associazioni che agiscono al di fuori della scuola. In tal 1nodo, all'interno di ogni classe si vengono a determinare ulte– riori fratture. Quale dovrebbe essere il la– voro di superamento della cri– si? A nostro parere, dovrebbe svolgersi all'interno della scuola per passare dalla f or1na di socie– tà a basso livello attualmente esistente ad una forma di au– tentica vita comunitaria. Nella scuola si passano le ore più importanti della giornata per ben tredici anni consecuti– vi, e per di più questi anni so– no quelli della formazione. La scuola rappresenta il per– no essenziale della vita quoti– diana dello studente, ed è logi– co che ogni crescita successiva, ogni nuova esperienza, trovi n~lla scuola il suo inizio, e cioè che la scuola sia, insieme alla fa1niglia il più importante pun– to di riferimento del giovane. Sappiamo già, per esperienza e per i lunghi discorsi che si sono fatti in merito, che la scuola resta sorda ai molteplici inter– rogativi posti dagli studenti, es– sa non vive la sua vita in fun– zione di coloro che la costitui– scono, ma si mantiene rigida e silenziosa nelle sue radicate strutture, ovattando le voci più vive fino a spegnerle del tutto. Ogni classe presenta alcune caratteristiche che ce la posso~ r.o far considerare come una so– cietà. Innanzitutto gli studenti vivono insieme, in una stessa stanza, per diverse ore ogni gior– no; in secondo luogo essi hanno un uguale livello di esperienza nell'uso dei 1nezzi e strumenti che servono al loro lavoro; in terzo luogo essi si trovano in– sienie per un medesimo motivo, e cioè hanno uno scopo comune. Questi tre fattori iniziali fanno della classe una precisa unità, anche se ancora questa unità è inizialmente solo esterna. Al– l'interno infatti della classe e– siste una completa confusione di lingue: ognuno si sente il prodotto di una particolare for– mazione, mem.bro di una fami- 27

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