Terza Generazione - anno II - n. 4 - gennaio 1954

è importante, è una cosa noio– sa e penosa per avere soldi e poterti svagare. Svagare di chef del lavoro. E' una storia senza senso. Ma « le castagne sono no– stre e orrnai nostro il fuoco su cui bru,ciano ». Questo è il senso della lettera di Gian Pietro Del Mastro. Questa è anche la conclusio– ne della nostra « esperienza di generazione ». Rimboccarsi le maniche e cavare le castagne dal fuoco. Il compito della nostra ge– nerazione è quello di uscire da -una situazione in cu,i le voca– zioni dei giovani vengono di,. strutte: attorno a questo fine c'è da creare l'unità degli sforzi : una unità organica fondata sulla comprensione de– gli uomini al di là delle eti– chette che portano in fronte, creare i rapporti umani dove non sono mai esistiti e su di essi fondare lo sforzo comu– ne. Attorno a questo compito, che sarà sempre più chiaro man mano che nuove espe- rienze si aggiungeranno alle nostre, possiamo già individua– re qitale può essere il contri– bitfo inventivo, di ciascuno di noi, l'impresa propria da fon– dare, il proprio pezzo di storia. Dalla comprensione del com– pito della generazione, ciascu– no di noi può ritrovare la sua 1:ocazione. Esistono uomini che sono soddisfatti del loro lavoro, qua,ido sono riusciti a creare 'Una impresa, quando cioè han– no inventato e realizzato un progetto, un desiderio, una im– maginazione. A i giovani senza mae.stri noi pensiamo di indicare questa strada : farsi imprenditori di se stessi: utilizzare l'vnventi– va, il rischio, lo spirito d'av– ventura, la cultura e la gi o– vinezza a costruire iZ propri o lavoro, quello insostituibile, quello valido in sè e nella sto– ,·i a, quello degno di un uomc. Ciascuno di noi è una poten– zialità che merita attenzione e la cui realizzazione può far scoprire anche n1tove forme al lavoro. B. C. Risposta alla disperazione • pratica dello • scettico C'è della gente, anche nella nostra ge– nerazione, a cui non piace sentir parlare di crisi come di una condizione superabile, nt d'impegni nuovi o comunque diversi da quelli che di volta in volta ciascuno sce– glie normalmente secondo esigenze mo– mentanee che si esauriscono immediata– mente in ogni singolo giudizio, in ogni singola azione. Noi riceviamo, a voce e per lettera, delle osservazioni e delle critiche significative di questa condizione pratica e culturale. Ci rimproverano « disegni ambiziosi », rifiutano il « contenuto irreale e mitico della generazione », negano l'esistenza dei nostri problemi con ostentata « lucidità critica nei confronti delle iniziative gio– vanili ». Sono spesso voci di giovani, i quali han– no assimilato uno scetticismo abbastanza comune tra i benpensanti e lo teorizzano estemporaneamente con espressioni orec– chiate. Ma sono anche voci di giovani, i quali sono a.crivati teoreticamente a forme raffinate di criticismo e ne accettano la disciplina. « La scelta - ci dicono - che non s1 misura su metri assoluti è la vera scelta e non ha bisogno di essere illuminata da ragioni ideali nè di essere giustificata nella dottrina totale »: « la scelta diventa la possibilità di prendere l'una o l'altra via o qualsiasi delle infinite vie, tutte BM~lioteca Gino Bia·nco passibili ài essere percorse quando ci siano utili per l'appagamento delle nostre esi– genze ». « Il termine di crisi - ci dicono - da negativo viene ad assumere un si– gnificato positivo, cioè la crisi diviene po– sizione insuperabile e anzi doverosa per la felicità del genere umano». Chiusi in un aristocratico mondo culturale - come tanti altri lo sono nell'egoistico mondo individuale - questi giovani sono portati a vedere la crisi esclusivamente come « cri– si di miti» e a vederne il rimedio nel dubbio, nella riduzione di ogni giudizio alla sua provvisorietà. Siccome, però, fuori dei loro giudizi tutto un mondo si muove sconosciuto e incalza, essi sono sospinti all'azione per reagire alle cose che si pre– sentano via via alla loro esperienza em– pirica, e si buttano alla fin fine nella politica - come altri nei propri affari o nei propri passatempi - e fanno ciò senza disegni e senza intenti risolutivi, ma cia– scuno attento solo al suo piccolo pezzetto di realtà. Questo loro modo di agire po- liticamente tutto in dipendenza da urgen– ze immediate e particolari non è un modo di affrontare responsabilmente la situa– zione, ma uno dei modi di subirla. Ma e,. sono autorevoli maestri che li confor– tano su questra strada e non ci sono stru– menti teoretici per sottrarsi positivamente alla loro egemonia. I maestri più ascoltati nelle università sono quelli che non aiutano 1 giovani a risolvere i loro problemi e tanto meno li guidano a tentare la soluzione di pro– blemi oggettivi. Li persuadono al dubbio, alla possibilità probabilistica di fronte a tutte le scelte, e li lasciano in balìa dei fatti che impongono via via delle scelte determinate secondo una legge che non si è in grado di dominare. Da noi vogliono sapere su che prin– cipi mai ci fondiamo che essi non han– no già scontato, e si uniscono a tanti al– tri, arroccati sulle vette della cultura di oggi e di ieri, per invitarci a un dibat– tito che deprimerebbe la nostra iniziativa nei limiti da cui intendiamo uscire, cioè nei limiti della cultura esistente. Noi non operiamo una scelta culturale pe1· intervenire nel dibattito di oggi, ma cerchiamo, in cospetto di quei problemi di oggi che la cultura esistente non è ;,, g1·ado di assumere, quelle iniziative che questa non è in grado di giustificare. Certo starà a noi, o meglio ad « intellettuali » a noi omogenei, giovani o non giovani, l' one.re, entro termini di scadenza ragio– nevoli, di riuscire a qualificare questa azio– ne sul piano stesso e proprio della cul– tura. Ora, per rispondere alle sollecitazioni che ci vengono da questa parte, vogliamo far rilevare la relatività e l'insufficienza di questa posizione scettica. Con ciò non

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