Terza Generazione - anno I - n. 3 - dicembre 1953

• Il prezzo dell'uscita dalle parti Ciascuno di noi ha militato pubblicamente in qualche partito politico, ha professato qualcuna delle ideologie per cui si schierano le coscienze e gli intelletti, ha ap– partenuto a qualche organizzazione confessionale, oppure ha vissuto chiu'.so nel costume e nei princìpi ideali di una classe o di un ambiente sociale, o con l'atteggiamento pra– tico e la forma mentale relativi a una certa professione o a una certa posizione tra le funzioni economiche. Queste esperienze non sono un brutto passato e la « quota zero» da cui abbiamo ripreso a muoverci non le cancella con un colpo di spugna. Ovunque e per chiun– que abbiamo militato o vissuto, se ora ci troviamo a que– sto punto, abbiamo militato per una ragione diversa da quella che parzializzava il valore dei nostri atti e dei nostri giudizi contro le nostre stesse pretese: abbiamo vissuto con una coscienza diversa da quella di chi fosse sulla «propria» posizione in lotta contro le altre o in difesa delle altre. Così, uscendo dalle parti, non conser– viamo nessun risentimento, nessuna sfiducia, nessun di– sinteresse verso le ragioni per cui in esse abbiamo mili– tato o abbiamo vissuto. Abbiamo semplicemente imparato che quello non era il nostro posto, perchè le parti hanno ragioni sufficienti (anche se formalmente non vere) per sussistere; e mili– tare in esse o per esse con la pretesa di non accettare le determinazioni imposte da queste ragioni costituisce uno spreco sistematico di fantasia e di impegno. Le parti oggi esercitano ciascuna una funzione tanto necessaria e tanto evidente da ottenere l'adesione e l'appoggio di una certa base che resta loro co~unque legata. I legami interna– zionali, gli interessi economici, i costumi sociali, le tra– dizioni culturali, le prospettive ideologiche, l'ispirazione clericale che provocano storture e deformazione dei giu- • dizi e dei comportamenti sono tuttavia alla radice, nel midollo delle parti, e non è concepibile l'esercizio della funzione che le parti esercitano senza questi appoggi e questi lieviti. Perciò non è possibile stare in una parte e fare ciò che presupporrebbe che la parte fosse tutt'altra cosa e, quindi, che fosse tutta diversa la situazione in cui la parte è invece quella data. . Abbiamo imparato che quando una cosa è tecnicamente impossibile è anche moralmente negativa, non per sem– plice conseguenza, ma per una sua .ragione convergente. E questo ci pare molto importante, perchè la nostra edu– cazione, la nostra cultura, sono piene di giudizi, di pre– tese e di obblighi morali non omogenei con le possibi- Biblioteca Gino Bianco lità tecniche. Infatti non è soltanto impossibile far fare alle parti ciò che non permettono le loro strutture senza delle quali esse non sussisterebbero o indebolendo le quali esse verrebbero meno per il male e per il bene: è anche immorale pretendere ciò che comporterebbe un indebo– limento della parte, in cui o per cui si milita, a vantag– gio di altre parti. E' un tradimento dei propri compagni di vita e di lotta. Così è tecnicamente impossibile l' in– contro tra parti diverse o avverse, che si riduce al pas– saggio di transfughi alla parte che ha preso l'iniziativa, ma è anche immorale il ricatto delle coscienze che vi è im– plicito. Dal gioco delle parti, però, non si esce comunque, vel– leitariamente, ma ciascuno può uscire in modo suo pro– prio, relativo a un impegno ben individuato. Preten– dere di essere fuori delle parti solo perchè si afferma di avere una missione più ampia e più libera di quella uf– ficiale, senza tuttavia esercitare, perchè non si riesce, una azione diversa da quella esercitata dalle parti e senza che i propri giudizi indipe.ndenti possano essere in rapporto organico con azioni nuove, è una pura velleità. Preten– dere di essere fuori delle parti solo perchè non ci si in– teressa delle loro lotte e delle loro dispute, significa ope– rare inconsciamente e con falsa irresponsabilità per que– sta o quella parte che si avvale per il suo gioco del no– stro giudizio e del nostro comportamento o che ne riceve comunque un vantaggio. Uscire dalle parti con la pretesa di fare ciò che esse fanno, ma di rifiutare i condizionamenti che derivano dalle possibilità date di fare ciò che esse fanno, significa votarsi all'insuccesso, ingenerare confusione e perdere il tempo. Tuttavia non si sta fuori delle parti rinunciando a im– pegnarsi sui problemi storici sui quali le parti sono im- · pegnate. Questi problemi però vanno affrontati con atti e con g~udizi che non mirino a interessi particolaristici o a formule di principio la cui parzialità è storicamente acquisita o evidente; perchè, se no, persino la pace di– venta motivo di discordia per coloro stessi che deside– rano sinceramente la pace. Questi problemi vanno af– frontati sulla scorta di interessi comuni al livello delle esigenze storicamente rilevabili, omogenei a definizioni di principio universali; perchè, se no, gli atti e i giudizi che vi si riconducono non possono essere oggetto di comune usufruizione - come, infatti, succede, ad esempio, per il comportamento degli industriali, che impongono i licen- '

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