Terza Generazione - anno I - n. 2 - novembre 1953

E' possibile una linea organica o/ Cari amici, la lettura degli articoli «guida> della rivista, sia del primo che di questo nume– t·o (quelli, per intenderci, di Scassellati e di Ciccardini), mi sollecita a intervenire pe1· contribuire a una più precisa determi– nazione del tipo di operazione -verso c11i la 1·ivista sollecita i giovani. Questa determinazione, a mio avt•i_ço ::to– vrebbe pro eedere su due binari: uno teo– retico e uno storico. Sul primo punto, mi pare che Scassel– lati e Ciccardini abbiano già dato indica– zioni sufficienti per consentire una prima esplicitazione del modello di comportamen– to che Terza Generazione vuole indicare ai giovani. La prima cosa da dirsi al riguardo mi sembra questa. La rivista non intende sol– lecitare atti di coraggio eccezionale e di iniziativa straordinaria, ma intende pro– muovere un clima e una situazione in cui tutti siano portati nelle proprie azioni a impegnarsi al limite delle proprie vitaU possibilità: le iniziative dunque a cui fa appello debbono essere tali da consentire, anzi da trascinare, altri analoghi atti di iniziativa. La rivista non nega certo il va– lore di atti di singolare eroismo e dedi– zione, ma essi sono· per principio al di fuo– ri della norma del suo lavoro e della sua linea. Essa propriamente chiama i giovani a degli atti che siano capaci d,i generare un processo di aggregazione e di combina– zione umana nelle condizioni storiche del– la p1·esente situazione; e a queste iniziative si offre come strumento di chiarificazione e di collegamento. Le opere che la rivista richiede sono opere semplici di per sè, ma che mai si potrebbero compiere senza un mutamen– to radicale dell'atteggiamento morale del– l'uomo che opera. - Oggi, infatti, ciascuno concepisce la propria operazione solo in base agU ob– blighi che conseguono dalla funzione so– ciale che svolge (il maestro si ritiene ob– bligato a occupare per tante ore la catte– dra di una scuola, il medico a fare tante visite nel tal modo, ecc.): i reaU interessi umani che nascono dalla propria vita e dalla propria operazione vengono abitual– mente soffocati o non trovano adeguata esplicazione. Questi interessi sono legati allo svilup– po umano di una condizione sociale, che l'individuo avverte come necessaria: e non sol(} lui, ma anche altri, sì che se egli im– postasse ve~amente quel problema, molti ne sarebbero irresistibilmente attratti. Si 8 BibliotecaGino Bianco inizierebbe così un processo di cooperazio– ne umana, in cui ognuno sarebbe unito al– l'altro da un rapporto di lavoro libero, sentito dc ··; tti come utile e valido. Ac– cantQ at lavoro quotidiano, legato alle sue espenenze e ai bisogni del suo sviluppo, nascerebbe allora un nuovo lavoro, per il bene comune degli uomini, in cui il sin– golo troverebbe il senso della sua piena e autentica partecipazione alla vita e all'u– manità. Questo processo parrebbe dover essere spontaneo: invece non è tale perchè impli– ca un atteggittmento di dedizione del sin– golo al bene comune e un suo uscir fuo– ri dalla legge del tornaconto che non sono spontanei. E' questa, mi pare, la ragione per cui la rivista ha tanto insistito sul problema dell'atteggiamento umano. Il risultato a cui si vuol giungere è dunque evidente: si vuol dare vita a un rapporto di lavoro, in cui ciascuno porti i suoi più vivi interessi e· quindi le sue più autentiche capacità, riaprendo così il ciclo, tanto depresso, del– l'inventiva e dell'iniziativa umana. j\,fi pare così delineata la chiave per l-a soluzione di quella che a prima vista sem– brerebbe una contraddizione: quella tra il linguaggio della rivista, così denso di rif e– rimenti storici e di affermazioni universali, e la modestia delle esperienze e delle ini– ziative a cui la rivista invita. Terza Gene– razione ha colto la crisi del « modello » di operatore, ideale della nostra civiltà in– dividualistica, il « model~o » cioè dell'ope– ratore individualistico, che intende l' espan– sione della propria zona· di potenza indi– viduale con la durezza e il rigore di u'na legge morale assoluta, il « modello » del– l'individualità onnipotente che ha domina– to la civiltà pagana e ha trovato nuovo fulgore nella figura dell'imprenditore ca– pitaUsta. E oggi tale «modello» non ge– nera più in nessun modo e a nessun prez– zo vita, lavoro e ricchezza, ma serve solo a garantire la frattura tra le persone e la burocratizzazione del lavoro. Il p-roblema di fondo è quindi la rif or– ma dell'atteggiamento e il superamento qualitativo del «modello» tradizionale. Se la rivista transigesse su questo punto, pec– cherebbe di minimalismo e si troverebbe nella classica situazione di « propter vitam, vivendi perdere causas ». Ma essa cadrebbe in un astratto massi– malismo se non ricordasse che la crescita della società come sistema sforico, come in– sieme organico di opere umane, non può essere fondata sulla mitica iniziativa dei «geni> (questi demiurghi nati dalla fanta– sia e dall'impotenza del tardo romantici– smo), ma su trascendimenti che innovino pezzo a pezzo, punto per punto, il dato esistente. La rivista deve preoccuparsi, per quanto sta in essa, che lo sviluppo sia ar– monico e proporzionato: che non sia fret– tolosamente saltato alcun anello interme– dio, che non sia trascurata alcuna iniziati– va possibile per il mito di un'« iniziativa mgliore >, che sia sempre utilizzato il mas– simo delle energie. Deve garantire, per· quanto le è possibile, che la storia sia ve– ramente il frutto delle iniziative di tutti. E' qui che si apre il discorso sul secon– do binario, quello storico, dove, a mio av– viso, si deve maggiormente manifestare il caratte1·e di guida della rivista, la sua f un– zione chiarificatrice di una linea, la sua ca– pacità a dare nuove e concrete determina– zioni sui tipi di operazione che comporti– no necessariamente un nuovo atteggiamen– to umano e, nel contempo, raccolgano il consenso e l'azione di larghi intéressi gio– vaniU. Ecco, a mio avviso, il problema perma– nente della rivista, quello su cui si avrà il suo vero vaglio, quello su cui bisogna cercare il dialogo con i lettori, distenden– dosi, perdendo quell'aspetto chiuso e con– centrato che, se è stato necessario a quali– ficare la rivista e a testimoniare la serietà dell'impegno, non può, oltre un certo li– mite, giovare a fare della rivista quello strumento di lavoro e di liberazione che voi deside1·ate. Vorrei su questo punto cominciare ad allineare delle domande per invitarvi a un discorso generale di linea, al livello possi– bile, che sistemi e unifichi i molti elementi sparsi nei vostri scritti. · Voi vi ponete come obbiettivo l'unità della generazione: come pensate di conse– g11,irlo? Pensate che s_ia immediatamente possibile riunire, ad esempio, giovani stu– denti e giovani contadini, giovani studenti e giovani operai, attorno a iniziative comu– ni? Oppttre pensate che prima sia necessa– rio creare forme di solidarietà comuni al di dentro delle varie condizioni giovanili esistenti? Che cosa pensate debbano fare questi giovani? Evidentemente la vostra indica– zione non può sostituirsi alla posizione del problema da parte di ciascuno: ma essa è necessaria per sollecita1'e e orientare. Mi auguro che il terzo numero veda su qt,esto punto una ulteriore chiarificazione per una nuova crescita della rivista. GIANNI BAGET

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