Terza Generazione - anno I - n. 2 - novembre 1953

Diffllsione, atto culturale Terza Generazione ha rotto un lungo periodo di silenzio e ha sollecitato e aperto un colloquio tra i giovani; questo collo– quio deve preparare l'ambiente alle ini– ziative. Se questa è la funzione principale della rivista, è chiaro anche che la sua dif– fusione non può essere solo un fatto am– ministrativo e finanziario, il raggiungimen– to di una certa tiratura, di un nutrito fa– scettario, di un buon numero di abbonati. La diffusione della rivista deve essere fatta in modo da favorire e allargare il collo– quio; essa è quindi un fatto culturale che si tr~durrà in concreto nel raggiungere non una forte tiratura a tutti i costi ma quella tiratura, quel fascettario, quel numero di abbonati che consenta di far arrivare T.G. a tutti quelli che già hanno o potrebbero avere qualcosa da dire in questo colloquio. La funzione di T.G. si svilupperà in pie– no quando molti giovani costruiranno in– sieme alla redazione la rivista, e poi le ipotesi, i piani di lavoro, le iniziative. La lettura serve solo a prendere conoscen– za delle idee di un altro: è un primo atto. Per fare insieme un passo culturale, però, per lanciare una nuova ipotesi, per far scattare un movimento, è necessario che ognuno riconsideri gli scritti, critichi e so– prattutto entri in un rapporto c·oncreto di collaborazione. Se la vera cultura è un pro– dotto di tutti gli uomini e non di uno solo, la cultura di una generazione non può procedere che così. Si può concludere che per la nostra riu– scita è necessario invertire le proporzioni tra lettori-collaboratori e lettori-amici che stanno alla base di ogni altro giornale, ri– vista, pubblicazione in genere. Da parte nostra e dei collaboratori è quindi opportuna una conoscenza e una identificazione reciproca per gruppi di «at– titudini » delle persone a cui mandare la rivista e di quelli che potrebbero scriverci sopra. Coloro che ricevono la rivista possono essere divisi in tre gruppi principali: gli I amici, i lettori attivi, i collaboratori. I pri- mi, sulla base di una formale comprensio- . ne, assumono un atteggiamento di simpa– tia nei nostri riguardi, i secondi invece, pur non prendendo parte alle iniziative, ci appoggiano concretamente preparando ,l'ambiente nel quale le iniziative si muo- BibliotecaGino Bianco vono. I collaboratori infine partecipano in modo diretto alle iniziative d'azione e di ricerca o dànno contributi alla rivista. Gli amici e quelli che abbiamo chiama– ti lettori attivi (una distinzione effettiva non può logicamente avvenire a priori, ma solo quando essi si differenzieranno col– l'assumere un atteggiamento piuttosto che un altro) sono compresi in quel gruppo svariatissimo di persone che svolgono già una funzione precisa nella società, che li assorbe per gran parte e che sentono oggi nel loro lavoro impedimenti grossi o pic– coli al suo pieno svolgimento. Essi si possono ritrovare intanto in un certo numero di «anziani», intendendo con questa parola non una categoria costruita in base ali' età, ma tutti coloro che portandosi die– tro cose del passato, non trovano più il posto per esse nella società di oggi che nel suo sviluppo ineguale strappa in parecchi punti le giunture con la tradizione; que– sti « anziani », convinti della verità delle « cose » che posseggono, come del fatto che la storia cammina, ci guardano con una simpatia mista ad aspettativa speran– do che noi collochiamo in modo nuovo il valore essenziale della loro eredità. In una analoga posizione si trovano alcuni educa– tori, sacerdoti, uomini politici, dirigenti di imprese e operatori economici, giornali– sti, industriali, uomini di cultura che ve– dono nascere, ognuno nel proprio settore, difficoltà sempre maggiori al pieno svolgi– mento del loro compito personale e degli organismi con cui hanno a che fare. An– che alcuni dirigenti di organizzazioni po– litic_he e religiose giovanili, sono nella stes– sa posizione. Questi e altri ci seguono, parlano con noi con facilità, ma è chiaro che hanno il loro lavoro da svolgere e che questa è per loro la prima cosa· da fare. Sarebbe un errore per noi e per loro con– siderarli « collaboratori »; la loro funzio– ne sarà domani quella di usare, quando appariranno, certi risultati di indagini e di• iniziative ed è oggi essenzialmente quella di formare un movimento di opinione; in certo qual modo di tenere chiusa la diga mentre stiamo scavando in fondo al cana– le. Questa loro funzione è molto utile ed è in questo senso insostituibile. Lo « sca– vo » è opera nostra e dei collaboratori: essi non solo devono essere molti ma de– vono cercare sempre di reagire prontamen– te a uno scritto o a una iniziativa, di mo– strarne i limiti, di proporne un'altra. I collaboratori sono coloro che si sentono legati allo spirito di ricerca della rivista; che in genere non hanno una funzione precisa nella società d'oggi, o svolgono fun– zioni dove non esplicano tutte le loro pos– sibilità. Sono giovani tecnici industriali che nelle fabbriche toccano con mano i proble– mi della disoccupazione e della crisi pro– duttiva, giovani tecnici agrari che negli enti di riforma vivono ora per ora il diffi– cile trapasso di terre con il groviglio di problemi che si trascina dietro, o che la– vorano in sottordine a compiti quasi ma– nuali nelle zone dove la riforma non c'è. Gli uni e gli altri sentono la necessità vi– tale di superare la crisi, di espandere la produzione, di salvare i destini degli ope- , . rai e dei contadini italiani e non possono che lavorare in silenzio sparsi per l'Italia facendo del loro meglio nell'ordinaria am~ ' ministrazione. Sono giovani sacerdoti che prendono contatto con le parrocchie sen– za sapere come parlare e cosa dire alla gente, che tentano con passione i mezzi consueti - il cinema a passo ridotto e i circoli ricreativi -, non vedono crescere la religiosità di un passo e indietreggiano alla normalità di sempre. Sono giovani medici che non trovano modo di far an– dare un ospedale, di risolvere le questioni igieniche fondamentali di un comune; gio– vani maestri e educatori popolari che non possono fatcela nella lotta per la cultura in un ambiente che la trascura e davanti· a una gerarchia paesana che in fondo la teme. E poi la schiera dei giovani contadi– ni, braccianti, piccoli proprietari e affittua– ri, mezzadri alle prese col loro vecchio problema di sostituire l'aratro di legno, di dar più concime, di comperare una vacca, e di convincere a far questo gli adulti e di trovare i soldi che quelli non sanno o non curano di trovare; e i giovani operai delle commissioni interne che fanno un lavoro a vuoto, e quelli che lavorano ai sindacati cui si fa strappare una fettina per volta, « un boccone a te e uno a me »; e i giovani cooperatori che devono vivere in un'altra realtà sopportata . e isolata, la cooperativa, dove un cenacolo di coopera- 39

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