Terza Generazione - anno I - n. 2 - novembre 1953

Introduzione alla Iniziamo una nuova « rubrica > dedicata a problemi non specifica– mente giovanili. V i affronteremo, nelle dimensioni più ampie, pur in forma essenzialmente descrittiva, tut– ti quei problemi ai quali noi ed il nostro paese siamo pur sempre stret– tamente legati, cercando, con l'allar– gare le prospettive, di renderli più comprensibili. La prima domanda che ci siamo posti è quella di vedere cosa si pen– sa dello stato del mondo dopo la seconda guerra mondiale. Che i tempi siano particolarmente difficili, e che esista una crisi è oggi opinione largamente diffusa. Nella maggior parte dei casi però all'intui– zione del pericolo non si accompa– gna una effettiva presa di coscienza della situazione: si avverte che le . . cose non vanno, ma non si riesce a vedere, non diciamo il perchè, ma fino a qual punto esse non vadano. In altri termini sfugge il senso della totalità della crisi. Ciò comporta due limiti: uno identificabile con la cre– denza che la crisi, investendo soltan– to le piccole cose, possa essere ri– solta dal riformismo; l'altro carat– terizzato dalla fede nelle ideologie, nei grandi capi («i miti>), consi– derati capaci di diagnosticare e di guarire i mali del mondo. Da qui l'idea di offrire un quadro smitizzante della situazione per ve– rificare sull'esistente alcune nostre af– fermazioni (come quella della tota– lità della crisi) che altrimenti po– trebbero sembrare gratuite. Abbiamo raccolto del materiale e lo verremo presentando a puntate: l'unica preoccupazione che ci ha gui– dati è stata quella di uscire dalla cronaca, dalla frammentarietà e, con ciò stesso, dal generico, nella spe– ranza di rimediare ad una deficienza. Abbiamo cercato testi di qualità, ac– costando esperienze diverse, pagine per noi fondamentali, che passano generalmente inosservate. Oggi purtroppo i nostri giovani, data l'impostazione della stampa e della radio, non riescono ad uscire, nemmeno nel campo dell'informa– zione, da un cosmopolitismo provin– ciale: portarli in modo diretto a co– noscere le diffìcoltà dei tempi, la non solutività delle diagnosi, significa farli avanzare a gran passi sulla via della presa di coscienza della realtà storica e della loro posizione. Nei prossimi numeri diremo anche dei fermenti, degli aspetti tositivi: _ non per ristabilire un equilibrio, ma perchè riteniamo comune interesse conoscére le speranze del mondo. B1olioteca Gino Sia.neo • storia di domani Autocritica della classe dirigente inglese : <e il nostro primo compito è, dunque, ridefinire il progresso >J Ammettiamo che, pur con le inevitabili battute d'arresto, il mondo progredisca continuamente verso l'unità e la libertà; e che il socialismo democratico, o qualcosa di simile, sia destinato a rappresentare in av– venire il modello di un governo mondia– le? O abbiamo perduto la fede nel progres– so che era la convinzione quasi generale non soltanto dei primi fabiani, ma di tutto il mondo civile all'inizio del secolo? Un semplice banco di prova può essere offerto, a questo proposito, dall'esame dei due punti di vista estremi, quelli di H. G. Wells e di Arnold Toynbee. Wells scri– veva: « La nostra storia ha registrato lo svi– luppo costante delle unità sociali e politi– che in cui gli uomini si sono combinati. Nel breve giro di diecimila anni, queste unità sono cresciute dalla piccola tribù faipiliare della prima civiltà neolitica fino ai vasti regni unitari - vasti, eppur sempre trop– po piccoli e parziali - dei nostri tem– pi. Questi sviluppi in estensione dello Stato - sviluppi manifestamente incompleti - si sono accompagnati a profonde trasfor– mazioni in tutta la sua natura. Coercizione e schiavitù hanno ceduto il passo a idee di libertà associata, e la sovranità, un tempo concentrata in un re e dio autocrate, si è distribuita in tutta la comunità ». Questo passo esprime in forma concisa tutta l'illusione del progresso automatico. La storia è storia dell'evoluzione della so– cietà dalla piccola alla grande unità, e dal– l'unità basata sulla coazione all'unità ba– sata sull'associazione volontaria; e questo processo è destinato a svolgersi finchè rag– giungeremo uno Stato mondiale, senza coercizioni di sorta. Verso la fine della vita, W ells cominciò a disperare, perchè si avvide che il suo prin– cipio implicito - l'allargamento della co– noscenza scientifica, cioè il potere di con– trollare natura e uomini, ha per necessario effetto l'aumento della libertà - contrasta– va coi fatti, e, di fronte all'incapacità del razionalismo di razionalizzare la natura umana, si avvicinò decisamente alla posi– zione pessimistica di Arnold Toynbee: « Le società primitive possono essere pa– ragonate a persone che giacciono intorpi– dite sul ciglio di un pendio, con un pre .. cipizio sotto ed un precipizio sopra; le ci– viltà, a compagni di questi dormienti che si sono appena alzati e hanno preso a sca– lare la parete di roccia sovrastante; quan– to a noi, possiamo paragonarci a osser– vatori il cui campo visivo si limita al ciglio e alla base del prec1ptz10 superiore, e che sono apparsi sulla scena nel momento in cui i diversi membri della comitiva si trovavano in quegli atteggiamenti e in quel– le posizioni rispettive. In realtà, nonostan– te la nostra prima impressione, le figure sdraiate non possono essere paralitiche per::. chè non possono esser nate sul ciglio, e solo i loro muscoli possono averle solle– vate a quel punto di arresto. D'altra par– te, i loro compagni, che in questo momen– to scalano la parete, hanno appena lasciato lo stesso ciglio e, poichè il successivo sfug– ge alla nostra vista, non sappiamo quanto possa essere alta e difficile la parete; sap– piamo soltanto eh' è impossibile fermarsi a riposare ». Oggi, riconosciamo quasi tutti che Toyn– bee vedeva meglio del primo W ells. E tut– tavia, fino al quarto decennio del secolo, le illusioni di W ells erano condivise da li– berali, marxisti e primi fabiani; erano, an– zi, il clima dell'opinione pubblica progres– sista in generale. Questa concezione materialistica del pro– gresso si basava su ipotesi relative al com– portamento umano, che l'indagine psicolo– gica ha dimostrate prive di basi reali, e su una teoria della politica democratica che i fatti degli ultimi trent'anni hanno confu- tata. Non v'è, nel sistema economico, nè identità naturale d'interessi, nè contraddi– zione inevitabile. Lo sviluppo della scienza e dell'istruzione popolare non determina automaticamente un'evoluzione «all'insù» della società, - intendendo per «all'insù» il passaggio da forme servili a forme demo– cratiche; - parimenti falsa è l'ipotesi apo– calittica che, dopo un periodo di dittatura, una rivoluzione proletaria debba realizzare una società di liberi e eguali. Tanto la filo– sofia evoluzionista quanto la teoria rivolu– zionaria si sono dimostrate false. A giudi– car dai fatti, gli elementi a favore della dottrina cristiana del peccato originale su– perano quelli a favore della fantasticheria rousseauiana del nobile selvaggio o della visione marxista della società senza classi. Il nostro primo compito è, dunque, ride– finire il progresso. In che senso possiamo, anzi, parlarne? V'è nella storia umana, come hanno creduto tutti i comunisti (allo stesso modo di liberali e socialisti) un mo– vimento ascensionale, o non si tratta che di una vicenda senza senso nè piano? ... R. H. s. CROSSMAN In Nu):;vi saggi fabiani, Comunità, Milano 1953.

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