Terza Generazione - anno I - n. 2 - novembre 1953

mondiale che può in ogni istan– te sconvolgere le nostre inizia– tive e i nostri propositi. Allora meglio non far nulla se tutto questo « non dipende da noi >. Fenomeno esclusivamente ita– liano? Per ora è probabile di sì, ma le stesse condizioni che attualmente ne assicurano la diffusione in Italia, valgono per lo meno per tutti i paesi d'Eu– ropa. Del resto, al fondo di tutto non vi è quell'atteggia– mento nullista che tanta parte della cultura teorizza? Quanto al film, esso conclu– de ottimisticamente col trionfo della buona coscienza di Mo– raldo. Egli prende il treno e se ne va. Si potrebbe dire che la questione non si risolve par– tendo, ma restando. Ma è uma– no ora chiedere tanto? LlJDO\ 1c,o h"c1s \ I ·vitelloni hanno richiama– to l'attenzione sul problema dei giovani che non hanno più speranza. E' di per sè un me– rito del film, il quale però mo– stra il suo limite. quando non sottolinea certi punti fonda– me.ntali. Nello svolgersi della vicenda si possono seguire alcuni moti– vi, mentre altri sono appena accennati. Moraldo è tra tutti gli amici quello che pensa di più alle cose che succedono sot– to i suoi occhi e sente in cer– to modo il contrasto della sua vita con quella del ragaz– zetto che lavora alla ferrovia, con cui si incontra, stanco, rin– casando, mentre l'altro va al lavoro. Il contrasto che nasce davanti ai suoi occhi, quando scopre che c'è una vita diversa dalla sua anche nel succedersi delle azioni giornaliere e nella distribuzione delle ore, e la sua perplessità crescente davanti a questa scoperta mette capo ad uno dei motivi fondamentali del film: che solo il lavoro, il contatto con gli uomini che la– vorano e con la loro morale, può salvare i vitelloni. Ma bisogna ammettere che per risalire dalla amicizia tra Mo– raldo e il piccolo ferroviere a questo motivo, si deve credere alla funzione solutiva del lavo– ro già prima di vedere il film, perchè in esso le premesse e i dati per compiere questa con– nessione sono appena ombreg .. giati: « Che fai a quest'ora; vai a casa? ». « No, vado al lavo– ro». - « Come, al lavoro? >. - -« Sì, io lavoro quaggiù alla ferrovia », punto e basta. Que– sto è, grosso modo, lo scambio 61olioeca Gino di parole tra Moraldo e il ra– gazzo sul lavoro, ed è anche il punto massimo a cui il film porta questo motivo. Poi si pas– sa ad altro: « Vuoi una siga– retta? ». Ma di che « lavoro » si parla quando si dice che la salvezza dei vitelloni sta nel lavoro e nella morale del lavoro? Per rispondere a questa domanda il film offre una quantità mag– giore di' materiate, anche se non molto elaborata. Il suocero di Fausto un gior– no ebbe una«brutta idea» e tro– vò al genero un « lavoro qual– siasi »: si preoccupava, nel suo piccolo e a modo suo, di risol– vere il problema della « inoc– cupazione » giovanile, procu– rando al ragazzo un lavoro purchessia in un'azienda ben avviata nel commercio di og– getti sacri. Un lavoro già sta– bilito, una attività solida, con la sua clientela fissa di con– venti e di parrocchie, dove non c'è niente da scoprire, niente da inventare, niente che per– metta poi di dire: questo l'ho fatto io; niente che sia colle– gabile con la fatica di altri giovani. Sbadigliando, appog– giato allo stipite della porta, Fausto si annoia finchè non si accorge che la moglie del pa– drone vale qualcosa, e si butta in questa iniziativa: ma cozza anche qui contro un affetto ben stabilito, qualsiasi anche quello come il lavoro, ma fermo e so– lidificato dall'abitudine, e alla fine perde il posto. Considerando la cosa con gli occhi di tutti i gio– vani, il padrone e il suocero hanno tutte le ragioni di sen– tirsi traditi nella fiducia: so– no brava gente che non ha nìai avuto « a che fare con la leg– ge » e, come si suol dire, cer– cano di aiutare i bravi ragaz– zi o quelli che passano per tali. Ma agiscono con tali limiti di orizzonti che ogni loro « buona intenzione » viene frustata. Il limite principale sta appunto nell'avere solo ((buone inten– zioni» che si traducono nel tro– vare qualcosa da fare ai loro protetti. E' un merito del film ave– re mostrato l'insufficienza del– lo slogan « diamo un lavoro ai giovani », perchè in realtà non si tratta di questo, ma di dare ai giovani un lavoro da gio– vani. Si apre qui un discorso concreto sul posto e la funzio– ne dei giovani e sui lavori adat– ti a sviluppare e potenziare questa funzione. Ma questo esce fuori da un giudizio sul film. Sempre rispetto al problema del collegamento col lavoro, la 1anco sua morale e i suoi problemi, si può dire che la partenza dell'unico vitellone che ha ca– pito, è una soluzione molto pe– ricolosa perchè può creare mol– ti equivoci. Non è con uno spi– rito da emigrante, prendendo il treno o una nave alla ricerca di un'avventura da sostituire alla povertà spirituale della cit– tà di provincia, che si risolve il problema. C'è una avventu- . ' . . ' . ra piu piena e ptu importante: esplorare le cause della pover– tà dell'ambiente e il modo di rimetterlo in moto. Per far que– sto il luogo è indifferente ed è logico che si cominci a cer– care dal 1uogo dove ci si trova, quando si prende coscienza del– la bellezza di questa avventura. Un altro motivo solo om– breggiato nel film è quello del padre di Fausto: uno di quei vecchi uomini abbastanza mo– desti, duri ma che· piangono facilmente, e che difendono le buone tradizioni del passato e la loro coerenza morale, oscu– ramente ma con decisione. Sono pronti a comprendere anche se prendono il figlio a cinghiate o gli dicono senza sottintesi: « ti garantisco che la sposi, oh se la sposi! ». Non hanno niente da pro– porre per tutti ed è questo il loro limite storico, direi, non morale. Ma, considerando questo li– mite, trova un senso il · fatto che siano i loro figli i capi- '-– banda degli scapestrati, questi figli cresciuti con esigenze di– namiche su una piattaforma di coerenza che difendeva molto utilmente il passato, ma non offriva prospettive nuove. Come ha un senso il disprezzo in cui quest'uomo è tenuto dalla fa– miglia della ragazza, che vive copiando la borghesia delle cit– tà ·maggiori: il padre di Fausto è per loro un passato pol vero– so, un parente povero di cui ci si deve vergognare. Ma questo « parente povero )) compare sempre nei momenti critici del film con le sue pa– role scarne e poco accomodate, i suoi groppi di pianto in gola e le sue cinghiate: quando San– dra scompare e la famiglia va in questura e i vitelloni girano la campagna e Fausto prende paura, lui è un elemento solu– tivo della vicenda; perchè a lui, che pure non ha i mezzi per le soluzioni generali, ricorrono i protagonisti come all'unica cosa che rirµane, quando tutti sono ridotti in un intrico di guai per la loro mancanza di spina dorsale. Infine il film mostra i suoi limiti quando si chiude col dramma familiare di Fausto: la moglie se ne va, stanca del fat– che egli non è un uomo e che non l'aiuta a diventate donna. La ricerca con la paura addosso fruttifica solo per Fausto ed è logico se si pensa che non si tratta di malvagi da riportare col dramma nella retta via, ma solo di ciechi che per trovare se stessi dovrebbero vivere un dramma che li riguardasse tutti e non uno solo. Così, mentre in Fausto matura l'uomo, gli altri si limitano a una solida– rietà nella forma e non nello spirito. Infatti ~ durante la ri– cerca in campagna che Alberto si produce nella sua scenetta · con i lavoratori e si preoccupa di trovare una frittatina ad ogni casa colonica in cui arri– va, poichè è uscito senza man– giare. Il risultato è che mentre Fausto si stacca dai vitelloni per diventare uomo nella sua cer– chia familiare e Moraldo evade, gli altri dormono senza sentire problemi. Perchè il loro pro– blema, l'unico che abbiano in comune è quello di riuscire a non essere quello che sono, quello che Alberto rinfaccia quando è ubriaco, parlando in fondo a se stesso: « Ma chi cre– dete di essere? Voi non siete nessuno». E per i vitelloni questo è l'unico dramma collettivo; solo risolvendolo insieme essi pos– sono diventare qualcuno e non disgregarsi nel nulla e invec– chiare prestissimo. PIERO L 1 GOLL I E' sempre con vivo interesse e con gratitudine di giovane che accolgo films come I vi– telloni che affrontano temi tra i più scottanti della vita della nostra società. Oggi infatti il (< vitellonismo» lo ritroviamo dappertutto; in provincia e in città, negli uffici e nelle univer– sità, nei salotti e nella vita po– litica: è questione soltanto di misura e di forma; il fonda– ment~ è identico. Urge quindi che si metta in chiaro questo problema che investe tutti i campi della vita comunitaria, essendo causa del disinteresse verso ogni problema; disinte– resse questo che rappresenta per di più la generale imma– turità da tanti stigmatizzata. ANNIBAL.E V ASILE

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