Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

La prospettiva non può essere che questa: che il f er- 111ento di comunione che spinge i giovani imprendi– tori verso gli imprenditori, i giovani intellettuali verso gli intellettuali, si orienti anche in una ricerca di co- 1'nunione tra i giovani di tutta la generazione: stu– denti, operai, contadini, per concretarsi infine in inizia– tive collettive. Noi crediamo che ciò sia indispensabile: altrimenti gli studenti non riusci– ranno a scoprire in mo– do nuovo i reali proble– mi nazionali, i giovani contadini senza un aiuto dall'esterno continueranno a dover abbandonare le cam– pagne, i giovani operai a non poter soddisfare le lo– ro esigenze di lavoro qua– lificato. E la provincia ita– liana continuerà sempre ad esser piena di energie anda– te a vuoto. I giovani sono stanchi di stare insieme per non far niente, di doversi limitare ad apprendere il catechismo o l'alfabeto, finendo per as– sorbire soltanto le propa– gande. Vogliono invece fa– re qualcosa, a loro misura, responsabilmente. Quanti sono i paesi e le città d'Italia, dove la vita non cresce col ritmo neces– sario e possibile, dove da una parte languiscono ener– gie potenzialmente capaci di lavoro dirigente o altamente tecnico e dall'altra decine di giovani sono disperatamen– te in attesa di un lavoro qualsiasi prima ancora che di un mestiere? Allo stato degli atti forse la maggior parte dei giovani italiani si è convinta che con i mezzi esistenti, anche con i più moderni, non vi sia solu– zione a questo dramma, non si possa trovare il catalizza– tore che permetta l'incontro tra questi diversi gruppi di esclusi. Eppure non sempre sarebbero necessari capitali di danaro; nella maggior parte dei casi occorrerebbe– ro capitali d'altro genere. Noi vogliamo proporre al– la generazione la soluzione di questo problema. Secondo noi. una strada esiste, ed è quella che costi– tuisce la nostra prospettiva. La nostra ipotesi è che, nel– la maggior parte dei casi, i problemi dello sviluppo della vita nei nostri paesi non si affrontino solutiva– mente nè per via politica nè per via economica. Ad esse si arriva, in certi luo– ghi prima in altri dopo, ma non è da esse che si parte. Si parte rompendo le bar– riere che esistono fra i gio– vani, ricostituendo una co– munità giovanile, ricreando una circolazione di riJorse intellettuali e spiritu,,i!i, ai fantasie e d'iniziative, di re– sponsabilità e di enturiastni. Occorre uno spirito 1utnvo ed è quello che può nast:~re dall'incontro umano tra gli uomini della stessa età di fronte agli stessi problemi. In altre epoche i giovani italiani si sono trovati uni– ti in situazioni analoghe: generalmente con un fucile in mano per sparare contro un nemico, resi uguali qua– lunque fosse la regione di origine o il titolo di studio: fucili contro un nemico, ma soprattutto uomini contro la morte. Ancora oggi si in– contrano dura11rte il servizio militare o i campeggi o le nianif estazioni di massa, ma è un incontro che nasce su un terreno artificiale, astrat– te; dai veri problemi della vita quotidiana di lavoro. In altri paesi occasioni di creazione di un spirito uni– tario nella gioventù sono stati lo svilupparsi di inizia– tive più o meno aderenti al– le diverse situazioni nazio– nali (i Sokol in Cecoslovac– chia, i campi di costruzione socialista nei paesi dell'O– riente Europeo, l'esercito in Germania).· opere tutte sti- B"bliotecaGino Bianco 1nolatrici di uno spirito di iniziativa responsabile, di una eguaglianza non livel– latrice. In Italia non c'è mai sta– to nulla di simile ed è quel– lo che occorre promuovere. Lo faremo in opere di pace, lf gate ai nostri ambienti na– turali, alle tradizioni popo– lari delle nostre regioni, al– la nostra storia nazionale. Quello che conta è riuscire infatti a lavorare insieme, là dove si vive. Noi abbiamo da suggerire un insieme di iniziative, dello stesso genere, di quel– le di cui vediamo per ora solo alcune forme: per i paesi e le piccole città (con– tadine e non), per i giova– ni delle città, per quelli più capaci di studiare. La prima forma è per noi quella fondamentale, la spi- 11,a dorsale dell'iniziativa. Per quanto possa essere fa– stidioso dover riconoscere 11na verità sotto la retorica strapaesana, i più veri va– lori umani della nostra tra– dizione sono conservati nel– le nostre campagne.· comu– nità in difesa, ferme dtt se– , oli, che la rivoluzione bor– ghese non ha toccato o che ha sviluppato in parte de– formando, comunità deside– rose di sviluppo ma incapa– ci di accoglierlo ove esso si presenti parziale. La rivoluzione borghese si è ferma/a alle porte di molte regioni e di moltissi– mi paesi.· non si tratta di rinnegare questa fase del nostro sviluppo nazionale, 1na non si tratta neppure di proporci l'illusorio obietti– vo di mettere in piedi una borghesia in ritardo, conti– nuando forzosamente e con nii sure assistenziali una ri– -voluzione esaurita. Si trat– ta di prendere atto di quan– to è successo nel nostro pae– se e trarre lezione dall' espe– rienza, ricominciando lo sviluppo dalle campagne con nietodi nuovi, là dove « l' accuniulazione primiti– va » ha fatto per molteplici cause fallimento. Se, nelle sue dimensioni generali, questo è un pro– blema di tutti, cosa posso– no fare i giovani come ge– nerazione? In ogni paese esistono dei problemi irrisolti: la maggior parte non interessa– no direttamente i giovani perchè non sono alla loro portata (ed è sempre molto importante non porre ai giovani problemi non ade– guati al loro sviluppo psi– cologico e morale, alle loro capacità tecniche ed orga– nizzative). Ma vi sono dei problemi che interessano i giov__ani e che sono alla loro portata. Nella maggior par– te dei casi essi non sono og– gi individuati per la nostra abitudine di guardare alle cose con le lenti def orman– ti dell'economicismo e del politicismo e di vedere delle soluzioni solo nell'alternati– va iniziativa privata-inizia– tiva pubblica. Sono problemi di ogni ti– po e genere, nati concreta– mente attraverso vicende di– verse, e che pesano sui gio– vani fino a schiacciarli. Di essi ce ne è uno che è « l'a– nello di catena », il passag– gio obbligato per risolvere tutti gli altri. Su esso si ap– postano forme di atteggia– mento che ostacolano le f,ossibilità di sviluppo, frut– to di divisioni, diffidenze, escl~tsioni, forse secolari, in– ,vidie, rancori, inferiorità paesane. Ma nei giovani queste non sono ancora cri– stallizzate, non sono diven– tate deformazione psicologi– ca o morale: possono essere vinte con una iniziativa concreta, con un lavoro in comune che cominci a risol– vere il problema « anello di catena », a rompere il nodo obbligato. In un luogo potrà essere un problema legato all'in– sufficienza della vita fisica

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