Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

Pubblichia,no questa crittca all'in1:ziativa di T. G. perchè nella sua brevità essa ci pare una summula efficace delle cri– tiche che ci sono state fin qui mosse. Molti, certo, la pensano così - forse avendocJ giudicato senza appello. Ad essi noi dedichiamo questo e i successù1i numeri, e le iniziative concrete che da T. G. nasceranno. Sappiamo, in molti casi, di trovarci d/ fronte a persone che, per natura e funzione, devono difendere la verità che non le intenzioni e la «potenza», ma i fatti e l'« atto» fanno storia. In a/,tri casi, invece, critiche d,' questo tipo nascono da persone che pos– sono riconoscere la verità di un discorso solo quando esso è espresso in termini teoreticamente rigorosi. In altri casi, an– cora, i critici sono dei giovani che hanno a tal ,punto perso la speranza per le delusioni subìte, che temono di credere an– cora e di essere nuovamente feriti. Ci sono peraltro molti} come noi, che o sono naturalmente spinti daNa delusione a tentare ancora, perchè altrimenti do– vrebbero sospendere di vivere; o, avendo rilevato in altri in– tenzioni a loro comuni, vi riconoscono realtà non illusorie tali da portarli a reahzzare dei fatti. Per questi l'inizz·ativa di T.G. ha un valore già oggi effettivo. Pertanto le critiche radica/,i non tengono conto dell 1 esistenza di gente così fatta: esse tendono a negare non solo la possibilità di un loro lavoro ma anzi, addi– nttura, l'essenza stessa del/'esser giovani. « Giovinezza come colpa >> si potrebbe intitolare questa: Critica della E' facile, tra giovani, inter– pretare come una tendenziale evasione nello scetticismo for– me di lucidità critica nei con– fronti di iniziative giovanili « autonome », i cui risultati possono talvolta essere positi– vi, ma sono quasi sempre al di sotto o al di fuori dell'am– bito ideale dei propositi e del– le istanze iniziali. Corriamo volentieri il n– schio di questa accusa pur di contribuire alla definizione ' non delle sicure utilità imme- diate e mediate dell'iniziati– va di Ciccardini e dei suoi a– mici (discorso questo che va attualmente rimandato), ma dei limiti e delle revisioni che si impongono fin da principio ai termini del colloquio e del– la crisi apertisi in un impor– tante settore giovanile e di cui Terza Generazione è la più si– gnifrcativa testimonianza pub– blica. Il primo dubbio che va sin- ' . ceramente espresso e se esista . . i[ih fi'Oae(,~neraz10ne CO- . ' g1oventu me una realtà unitaria di cui parlare e cu.i parlare. Essa esiste certamente, ma con1e un concetto anagrafico. Essa potrà trovarsi in una si– tuazione problematica comu– ne, ma non ha coscienza dei problen1i comuni nè, tantome– no, ha (nè potrebbe avere, se non a patto che esistesse una· unica ideologia) una comune comprensione di questi proble– n1i. Credere all'esistenza di questo fatto generale di co– scienza o alla sua possibilità significa sostituire ai « miti in cui abbiamo troppo indugia– to» (come dice Giugni) un'al– tra mitologia che, sebbene ric– ca del pathos dell'esclusione e caratterizzata dalla forza e di tutte le espressioni demagogi– che, non farà progredire <l'un millimetro l'impostazione con– creta dei problemi della gio– ventù di oggi. Se un « leadership » demo– cratico giovanile è giunto co– raggiosamente al punto di ri– conoscere oggi l'astrattezza anl, delle sue posizioni massima– liste prima e riformiste dopo, dal 1945 al 1953, esso deve avere il coraggio di giungere fino al fondo dell'amaro ca– lice dell'autocritica e di non imputare alla « situazione » la propria esclusione dalla socie– tà nazionale. Non è infatti più conseguen– t~ ammettere che in quegli er– rori di interpretazione della realtà e ndla mancanza di una matura intelligenza delle forze e delle leggi della so– cietà è da ricercare la lamen– tata scissione tra l'ideale e il r~ale? Ideale che rimane ap– punto nebuloso, « povero di voci», perchè richiesto più che pensato e sentito, perchè non è ancora seme profondo nel reale, generatore di realtà. La giovinezza, come fase spiritua– le dell'inquietudine e della . . 1nco1npiutezza, sente come una dolorosa separazione la neces– saria distinzione tra il dov~r essere e l'essere, nella quale è il senso del vivere. La psicologia dell'esclusione de\ e quindi essere lasciata alle spalle; anche perchè è in essa il .centro d'irradiazione di tut– te le direttrici sbagliate che noi giovani rischiamo di seguire quando ci poniamo in termini non individualistici il nostro problema. Già in molti di noi i sintomi di queste tendenze verso deviazioni dispersive so– no evidenti. E' facile infatti prendersi una fatua rivincita sull'esistenza, supponendosi su– periori ad essa, spregiando le forme pubbliche in cui essa si concreta, facendo svaporare i problemi nell'eleganza di l!n « verbiage » che non è più po– litico senza poter essere lette– rano. Il « modello etico » nuovo, che sarebbe nostro compito porre, come afferma Baget, si libra inevitabilmente in un'at– mosfera estetizzante, pencolan- do pericolosamente verso l 'in– dividualismo. Il ripudio della politica, da cui si sarebbero . . ' « ntuat1 1 capi p1u responsa- bili », la condanna dei partiti (la cui persistente vitalità, an– che se non costituisce la loro giustificazione, non permette però che si ignori la loro ne– cessità), la svalutazione del pro– blema della struttura e delrat– tività dello Stato e degli altri Enti pubblici e, in genere, del- 1' organizzazione amministrati– va e politica ( « che è l'ultimo problema che i giovani debbo– no avere davanti », secondo Balbo), la cui importanza in– vece - questo fatto ci piac– cia, o no - assume oggi di- . . . mensioru sempre crescenti, so- no tutti dei motivi che posso– no diventare delle attrazioni, forse irresistibili, verso un in– fecondo individualismo teori– co. Il nullismo pratico cui si giungerebbe sarebbe certamen– te agli antipodi della meta pre– fissa, a meno che non si an1 metta l'assurdo che all'origine d'un movimento giovanile vi sia una sottile e voluta ipocri- . . sia conservatrice. Il richiamo e il centro di raccolta che oggi ci si offre sulla problematica e, perchè no, anche sul dramma di vasti settori giovanili potranno ser– vire a far sorgere delle inda– gini e delle prospettive di ric– chezza imprevista. Sempre che si tenga presente che la que– stione giovanile è nella que– stione nazionale e che questa ha in gran parte i suoi per– chè, le sue remore e la forza di sue istanze essenziali nel– l'ora che attraversa la civiltà comune. Gli uomini e le cose d'oggi non sono gran che di– versi da quelli del 1951 o del 1948; dei problemi si sono inaspnt1, altri hanno avuto parziale o totale soluzione; al– tri nuovi ne sorgono. Ciò che si sfalda agli occhi della ge-

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