Terza Generazione - anno I - n. 1 - ottobre 1953

tt·oppo la provincia, tagliata fuot·i dal resto della società nazionale, era ben diversa da come l'avevamo spet·ata. Era e rimane ben diversa, talchè possiamo riferire al presen- te un'esperienza di iet·i. . La prima cosa di cui si ha la sensazione è che la generazione precedente, arroccata into1·no agli interessi economici, non può più assolvere la sua funzio17;e educ'!trice: _i-n_ provincia non esistono guide. Gli uommt di cultura colo1·0 cioè che funzionalmente dovrebber~ essere alla testa di ogni possi– bile moto della società, si distinguono sem– plicemente perchè eser~itano la_mente pre– valentemente al braccio: per il resto an– ch'essi sono occupati a difendere corporati– vamente la loro posizione che, ridotta a pura dimensione economica, si svuota di ogni possibilità egemonica sul piano cultu– rale. In una piccola città a carattere pre– valentemente industriale, come quella di cui. vi sto parlando, si può addirittura tenta– re una classificazione degli « uomini eru– diti ». Da un lato gU intellettuali che chia– meremo «indipendenti» (ne fa parte tut– ta la categoria dei « liberi professionisti.>), le cui punte più avanzate e sensibili sono date da coloro che militano nei partiti po– litici,· dall'altro i tecnici dell'industria. I primi (gli «indipendenti») - condizio– nati dall'ambiente e dalle necessità pratiche della loro attività - non sono abituati a concepire il settore nel quale lavorano co– me momento spaziale di un'unica realtà: privi di una visione unitaria (i loro pro– ble1ni come problemi di tutti) sembrano avere una sensibilità politica soltanto nel momento in cui un pericolo vicino e con– creto minaccia i loro inte1·essi (fenomeno, ad esempio, dell'adesione ai comitati cit– tadini per la difesa dell'industria); i secon– di (i tecnici) rimangono « commessi » del– l'imprendito,-e capitalista, non escono dal momento tecnico, non hanno alcun còntat– to neppure con le loro masse galvanizzate dai partiti di sinistra: legati alle alterne vi– cende dell'ind11stria sono più che mai lon– tani dai problemi che si agitano intorno alle « isole » delle loro fabbriche. Il mo– mento caratterizzante, che qui preme sotto– lineare, è dato dalla mancanza più assolu– ta di ogni attività, in ogni istituto del diri– gente (tecnico-politico); in provincia la so– cietà è statica, il suo sviluppo non è ga– rantito. N è la prospettiva migUora se si conz,– prendono nell'indagine anche i partiti .. Non solo non svolgono la dovuta azione edu– catrice, ma, riducendosi spesso ad agenzie elettorali, vengono meno al loro compito (mediazione tra i cittadini e lo Stato). Non ci sono quindi spinte capaci di risvegliare l'iniziativa politica: si cade nella passività . fidando nel fatto che le questioni più gra– vi hanno delle soluzioni date (di fronte al problema del ridimensionamento indu– striale e dei licenziamenti, ad esempio, ac– canto ad una impostazione data dagli or– gani centrali dei partiti di sinistra e vali– da per gli estremisti indigeni esiste un'im– postazione governativa fatta propria dalla sezione locale del partito di maggioranza). Sj, fa opera di conservazione per mantene– re l' equiUbt·io che assicura la soddisf azio– ne degli interessi esistenti, si vede nello Stato un ente lontano che deve provvedtre a tutto, magari anche ai bisogni dei singoU. t3iblioteca Gino • 1anco Capirai benissimo come ci si possa sen– tire estranei a tutto questo. Di fronte ad una società di cose e non di uomini, la con– dizione del giovane è quella dell'isolato. Lontano dall'ambiente in cui è costretto a vivere, diviso da tutti coloro che nelle al– tre 100 città d'Italia hanno gli stessi pro– blemi e le stesse esigenze, non trova udien– za nelle forme storiche della società esi– stente. L'esclusione (che, tra l'altro, rende ino– peranti forze di sviluppo e movimento) po– ne i giovani con un mini.mum di sensibilità. storica di fronte alla necessità di organizza– re da soli la propria educazione. Di qui la esigenza di chiarire alcune idee (sulle ideo– logie, sulle strutture della società, sulle que– stioni piiì. gravi del paese, sulla funzione della cultura) attraverso colloqui con quan– ti, per avventura, « ne sanno di più>. I con– tatti, sporadici ed occasionali, con coloro che nelle grandi città vivono con una cer– ta intensità i problemi del tempo, dànno ancora 11na volta la misura dell' arretratez– za dell'ambiente provinciale. Il fenomeno si esprime dicendo che vi è una straordi– naria lentezza nella recezione di fermenti nuovi, per cui alcune posizioni acquisite negli ambienti politico-culturali della ca– pitale, ad esempio, sono del tutto nuove lontano da Roma. Fu Gramsci a dire, non ricordo se a questo o ad altro proposito, che i ferri vecchi delle grandi città sono an– cora utensili di provincia: è un fatto reale di cui bisognerà tener conto quando si do– vranno affrontare i problemi di metodo. Perchè il quadro sia completo bisogne– rà accennare all'Università e alla nuova delusione che essa rappresenta. Ottenuta la licenza liceale, infatti, tutti quei giova– ni che già si sono scontrati nell'incompren– sione della provincia, sperano intensamen– te di entrare in un organismo di studio le– gato all'uomo e ai problemi del suo tem– po, capace di dare una cultura con poten– zialità di rinnovamento e di fornire nel contempo la strumentazione adeguata. Considerata pure l'eccedenza di speranza propria di coloro che hanno già conosciuta l'amarezza di una delusione e tenuti pre– senti i limiti insiti nell'insegnamento uni– versitario (a carattere essenzialmente infor– mativo), mi sembra che al fondo dell' esi– genza vi sia un'aspettativa legittima: quella appunto di conoscere un nuovo tipo di stu– dio sufficiente a fornire attraverso una sa– piente ricerca culturale dei criteri metodo– logici d'indagine e categorie generali di giudizio che rendano lo studente non sol– tanto un tecnico, ma uomo legato ai pro– blemi della società nazionale. Invece nien– te: tutto si riduce ad una serie di con/ e– renze, allo studio ed alla ripetizione mecca– nica di uno, due, tre libri: la difficoltà del– l'esame è in proporzione diretta al nume– ro delle pagine. Manca qualsiasi rapporto umano tra docenti e discepoli, non vi sono seminari dove si possa svolgere un' effetti– va opera di studio, esistono ancora delle gravi insuffecienze degli organismi studen– teschi privi di ogni influenza culturale e incapaci alla base di mediare tra i compiti dell'universitario e i problemi del paese. Il criterio ideologico informatore è an– cora quello che lo studente debba solamen– te ricevere: il fatto « partecipazione > - che rende umano lo studio - è completa- mente trascurato. L'unive1 sità non permet– te al giovane di sviluppare tutte le poss;.. bilità umane; gli studenti, anzi, nella mag– gior parte dei casi non riescono nemmeno a scoprire la loro vocazione. Le conseguenze si fanno sentire al momento della laurea: l'inserimento nella vita sociale avviene nel– la forma della « lotta per il posto >, le ne– cessità materiali respingono nel dimentica– toio le antiche aspirazioni e costringono il giovane, che non ha mai trovato compiu– tamente se stesso, a comprimere le sue c11 pacità nella estenuante routine del lavoro quotidiano. A questo punto la parabola è completa e si possono tirare le fila di un'esperienza, schematizzandone i tratti più significativi. Esiste, in sintesi, una chiusu,ra della so– cietà nazionale e una dispersione dei gio– vani condizionati negativamente dall' am– biente in cui sono costretti a vivere e dal– l'inconsistenza dei centri di cultur". Prescindendo dall'università (centro or– ganizzato di studio che non svolge come abbiamo visto, un'azione compiutamente formativa) non esistono oggi in Italia vere scuole culturali. Gli innumerevoli, istituti di tal nome (accademie, ecc.) sono nella migliore delle ipotesi cenacoli di « gr"ndi intellettuali >, spesso soltanto fondazioni con consigli di amministrazione pletorici, talvolta con attività di lucro, che non svol– gono - anche per l'inesistenza di un" re– te su scala nazionale - un'azione organica sul piano della cultura. Le riviste (parliamo naturalmente di quelle che, agitando idee, non si riducono ad un semplice fatto editoriale) rimango– no un fenomeno limitato perchè poco dif– fuse (in provincia generalmente non arri– vano) e soprattutto perchè spesso sono sol– tanto un atteggiamento di fronte ai fwo– blemi del tempo. Nel tentativo di render meglio l'idea, si può forse dire che, nella maggior parte dei casi, le nostre riviste cul– turali siedono in plate". Se volessimo poi scendere un gradino più in basso ed esaminare alcune inciden– z e più vaste (nel campo della formazione dell'opinione pubblica, ad esempio) ci ac– corgeremmo che non esistono fermenti cul– turali dietro gli strumenti moderni di gran– de diffusione (radio, giornali, cinema, ecc.): le poche cose buone (ad esempio alcuni films della cosiddetta formula neo-realista nel campo del cinema) rimangono sottanto fenomeni di testimonianza individuale. A tutto questo si aggiunga l'ambiente: cioè, nella maggior parte dei casi, la pro– vincia. E' una palude nella quale si cade non appena usciti dall'università (i pochi che riescono a evadere e a formarsi rap- presentano pur sempre un'eccezione). Do– po quel che si è detto basterà ricordare la insufficienza delle biblioteche, la mancanza di stampa, l'assenza di ogni iniziativa con– creta, il diffuso cinismo o l'esagerata scet– tica sfiducia. Di fronte a tale situazione il giovane intellettuale si chiude. Dalla chiusura pos– sono derivare due posizioni: a) il naufragio nell'atomismo professionale che maschera con il suo tecnicismo la rottura con la real– ta: oppure, b) una posizione dialettica ri– spetto alla sodetà in cui vive: tale "tteg– giamento peraltro, non ha "ncora in sè i termini risolutivi del problemtl. Anche nel-

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