Terza Generazione - n. 0 - agosto 1953

Non • possiamo rifìutare nulla della • storia d'Italia N è del Risorgimento, nè del più tismo e del primo dopoguer~a, antico passato, nè dell'età giolittiana, n.è dell' in.terven– nè del fascismo, della guerra e dell'immediato ieri. Caro Ciccardini, la tua lettera non chiede una sola ri– sposta ma più risposte, a me come a tutti quelli a cui, direttamente o indiretta– mente, si rivolge o perchè ajJprofondi– -scano la comprensione del passato o per– chè aprano dal presente qualche sjJeranza. Per me questo effetto è forse più vivo, perchè mi riconosco nell'at1nosfera delle esperienze da te delineate e soprattutto nelle aspirazioni 1.t1nane e storiche di ieri e di oggi. Ed è riconoscendoci nella co– mune fedeltà ad esse, più che fondandoci sulla critica del passato o sulla corn une fede religiosa, che abbia1no potuto sul serio incontrarci dopo ave, militato in parti politiche e culturali op poste. Potrei quindi rispondere sul passato e cercare di dare il mio contributo al bi– lancio delle esperienze jJolitiche e culi u- 1·ali della nostra generazione, approfit– tando della fortunata circostanza per cui mi è capitato di vivere anche l'esperienza di quella che tu chiami la generazione an– tifascista, ed in punti abbastanza signi– ficativi. Tuttavia non mi se1nbra questo il 1no– mento più opportuno di fare un' esau– riente e dettagliata autocritica: cosa che dovremo certo fare jJiù avanti, quando. più numerosi, avremo da caratterizza> e precisamente le nostre carte d'identità. Penso invece convenga risponderti con l'occhio al futuro, traendo sì lezione dal– l'esperienza fatta, ma cercando cli jJor– tare soprattutto avanti il discorso per una comune coscienza nostra e della nostra generazione È questo un fatto essenziale se voglia– mo che intorno a noi non si raccolgano dei disperati o della gente finita, 1na dei 'I. disponibili » che cercano i propri veri romjJiti, conie uomini e come cittadini Innanzi tulio dobbia1no chiederci seria– mente dove siamo e cercare di guardare in faccia la realtà della storia. Io credo che se cominciassimo con coraggio a poi– re tutti gli interrogativi che sono affiorati alla nostra coscienw e alla nostra sensi– bilità in questi anni, e sempre più nu– merosi in questi mesi, e li ponessimo se- 1·enamente alla risposta nostra e di tutti gli altri, noi faremmo una cosa utilissi– ma non solo a noi stessi, ma a tutto il fJaese. E nessuno potrebbe rimproverar– ci della nostra franchezza per aver rotto un silenzio, che è forse colpevole solo fJer noi, ma che pe'ia ormai su tutti. Contrariamente a tutti gli uornini ogai ~b~J ~~~.e\~~: )fja~, cfii'. la storia d'Italia fino ad oggi: nè del Ri– sorgirnento, nè del più antico passalo, nè dell'età giolittiana, nè dell'interventi– smo e del primo dopoguerra, nè del fa– scismo, della guerra e dell'in11nediato ieri. ulla rifiutare del la si ori a del nostro paese, e certo anche della storia d'Euro– pa e del 1nondo fino ad oggi: tutto que– sto per noi è ciò che è dato - è il ri– sultato dell'opera storica delle genera– zioni che ci hanno preceduto, dove cia– scuna ha cercato di scegliersi a te1npo e luogo i suoi problemi. A noi spetta, secondo una. legge quasi naturale, aven– do di fronte questi dati, scegliere i nostri problen1i, i nostri co1npiti ai quali rin1a– nere fedeli, per i quali prepararci, intor– no a cui lavorare negli anni della nostra 1naturità, per portare il nostro contributo non solo alla continuazione ma allo svi– luppo della storia. Perchè, subito, si deve aff er1nare che tale è il senso di limite che avvertiamo nella presente condizione della nostra so– cietà nazionale e del mondo, che la gi o– ven tù deve precoceniente scegliere tra la resa incondizionata ad un oggi sen– za domani sollecitando corporativamente, dove è possibile, il « posto di papà » pri– vato o statale; e invece il caricarsi di tutto il bene e il male del passato e del pre– sente per jJoter ridiscutere a fondo tutto e cominciare a costruire i propri posti di un propiio domani. La via di mezzo, la via dell'eresia pra– ti ca in un sistema sostanzialmente accet– tato, la via del rifiuto di una parte del jJassato, qualificato « 1nale »,. e dello svi– lujJpo riformistico della parte, qualifica– ta « bene », è diventata un lusso che non ci si fJuò j)iù permettere, caduto con le formule politiche e culturali che ab– biamo trovato e via via accettato nel 1943 e seguenti, sterile come i « miti » di al– lora, che non possiamo con sensibilità critica non considerare superati. Io sono per la seconda alternativa: niente eresie, accettazione serena di tutto il jJassato e del presente, nia esame senza riserve dei limiti di crisi, contro cui urtano in modo sempre più totale le esi– genze di svilujJpo umano e sociale. Vengano fuon queste esigenze, espresse solo con sincerità e onesta ricerca, su pa– gine scritte, affinchè si possa estrarne e definirne, in profondità ed in estensio– ne, tutti i problemi, che sono i nuovi problemi, la sola reale ricchezza della gio• ventù che possa fare aggio sulla esperien– za degli adulti. Ricchezza tanto più pre– ziosa oggi, quanto più sia povera dei ri– sentimenti, delle proteste, delle rivendi- cazioni di cui sono zeppi tutti i discorsi, attuali e possibili, delle forze e degli in– teressi in gioco nel mondo in crisi; e quanto jJiù sia tesa alla giustizia nell'e– spansione della vita, dell'invenzione uma-_ na, dell'iniziativa, nell'integrazione dei singoli e dei gruppi umani, nella costru– zione della comunità di tutti gli uomini. La crisi che investe il mondo, l'Europa e l'Italia, come ci ha dato il poco lieto pri– legio di essere gettati giovanissimi nella lotta armata e nella lotta politica, ci dà oggi quello ben più lieto di porci di fronte, senza scanipo, come nostri pro– blenii, non solo quelli di tutti gli italiani, n1a anche di tutti coloro - e sono centi– naia di milioni - che, nelle forme sto– riche del sistema rnoderno, non hanno potuto risolvere minimaniente i loro pro– blerni o li hanno risolti solo in parte, o sono stati spinti innanzi ma poi ineso– rabilmente oppressi nelle loro legittime esigenze di pieno sviluppo. Se la storia recente ha distrutto per noi definitiva– rnente le illusioni dei miti, ciò è stato per offrirci enormi realtà. Ed è su questo terreno, culturale e pratico, intorno alla soluzione di questi proble1ni da fonnularsi in domande pre– cise, impostate dai giovani, che oggi in Europa e soprattutto in Italia può avve– nire l'incontro tra i giovani e i meno gio– vani, tra allievi oggi senza maestri e maestri rimasti senza allievi. In questo incontro soltanto può riporsi, ragionevol– mente, dopo tanti fallimenti, una spe– ranza fondata di quella discussione e di quel dialogo da cui inventare la tanto sospirata nuova via cli uscita culturale e pratica. ìv1a per questo spetta ai giovani il compi to di un primo discorso, il do– vere di atti di coraggio responsabili. Dai primi a muoversi si potranno sele– zionare coloro che hanno sufficienti qua– lità umane per essere dirigenti (ed ogni movimento vitale ha sempre espresso i suoi quadri) uomini che sanno soprattutto vivere in modo critico e più prof onda– mente i problemi della loro base. Certo, nulla di simile può avvenire se qualcuno non inventa e pensa le prime parole, i prirni metodi e strumenti, le prime for– me organizzative, se qualcuno non rie– sce a interpretare in modo adeguato i bi– sogni nelle condizioni della congiuntura: ma non stiamo noi già facendo questo con i nostri discorsi? E su questa strada bisogna essere pre- . . cisi e senza equivoci. Tu, Ciccardini, hai messo giustamente in risalto ciò che la formula « terza ge-

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