Terza Generazione - n. 0 - agosto 1953

ciale a cui appartiene. Perchè il punto es– senziale è per me questo: che non es1ste una possibilità di azione autonoma d~lla generazione giovane, ma esiste invece, ed è il problema al quale si deve porre oggi mano in Italia, se si vuole evitare la forma– zione di un vuoto culturale, tra l'antico che ha rivelato la sua insufficienza ed il nuovo che non esiste ancora la necessi- . tà di mettere in movimento la nuova gene- razione, per porla alla ricerca, stimolarla a formare una nuova cultura, e immettere questa, patrimonio non di una sola genera– zione, ma di tutte, nel circolo della cultura nazionale, per vivificarla con l'apporto di nuove idee, nuovi problemi, nuove forze an– siose di trasformare la propria società se– condo gli schemi che si è liberamente co– struiti. Ed avendo chiarito questo - presupposto fondamentale, una volta individuata la zo– na di operazione. si pone l'altro problema, e cioè quale discorso si debba tenere a que– sti giovani ai quali parliamo non perchè sono giovani, ma perchè sono l'ago più sC'n– sibile di una crisi che coinvolge essi, ma non soltanto essi. Ci siamo spogliati dei panni che avevamo vestiti negli anni più acerbi, abbiamo ritirato la nostra fiducia al marxismo, come al pensiero sociale cri– stiano. come alla mitologia dell'imprendi– tore libehale. A questo punto, non vogliamo più ricostruire dei nuovi miti, ma vogliamo una volta per sempre liberarci degli schemi di conoscenza precostituiti, ed affrontare la realtà quale realmente è, ponendoci di– nanzi questa enorme rete di problemi che presenta la vita nazionale, e pro ponendoci di individuare in ciascuno di essi la chiave per la sua soluzione, cercando come soluzio– ne giusta non più quella che risponde allo schema precostituito, bensì quella che pale– sa la capacità di esprimere il massimo di conte.nuto umano, di stimolare il più alto impiego delle risorse umane. Quindi il no– stro è un problemismo, ma un problemi– smo che non evade nella concretezza quella che è la nostra vera responsabilità storica, ed attraverso la quale, soltanto, si giustifica il problemis1no: e cioè la responsabilità di promuovere lo sviluppo della vita econo– mica sociale e culturale del Paese, rimuo- . vendo le innumerevoli strozzature che la comprimono, rimettendo in circolazione i /attori, economici ed umani che sono ino– perosi, facendo nostra la causa degli esclusi di oggi, e conducendoli ad inviduare il Lo– ro punto di funzione e di responsabilità. Responsabilità che è oggi, ancor prima che di agire, responsabilità di conoscere, re– spingendo da un lato gli specchi de/orman ti delle ideologie, ma affrontando dall'altro il compito di sostituire a questi quadri f al– si e mistificatori un duro ma fecondo lavoro di ricerca, che è la sola base consistente sulla quale potremo costruire. Convinti di aver trovato- la chiave della verità in una formula teoretica. abbiamo trascurato il compito di ricerca dei dati, e cioè l' anali– si di fondo dell'ambiente sociale italiano, e mentre il sociologismo positivistico e meccanicistico provocava la condanna di un'altissima fonte culturale alla quale noi tutti abbiamo attinto ed attingeremo, il rigore degli epigoni continua ad opp()rre resistenza all'introduzione delle scienze so– ciologiche che sono nel frattempo avanzate in altri Paesi, e si sono liberate dalle scorie e dalle ambizioni metafisiche, per assumere il loro giusto ruolo di metodologia della conoscenza della realtà socio-econo– mica. Questa è per me la prima battaglia culturale da impostare, a pena di essere ·costretti ad avanzare, brancolando nel bnio. Ed altre, numerose, se ne prospett'lno. Occorrerà in primo luogo abbattere i miti in cui abbiamo troppo i.ndugiato. Si dovrà demolire il mito socialista della fabbrica. della soluzione della condizione operaia con r espropriazione degli strumenti di lavoro; soluzione che, come • oggi testimoniano i « Nuovi Saggi Fabiani » si è rivelata del tutto insufficiente perchè fondata su un principio mutuato dalla stessa cultura l,or– ghese, e cioè che sia la proprietà a condur– re a completezza la personalità u1nana. Non • Le soluzioni stanno davanti a è trasformando la proprietà da individua– le in collettiva che il problema operaio troverà la sua soluzione, come non la tro– verà nel ritorno a /asi patriarcali, cioè, come teorizzò il social/ascista De Man, e co– me è immanente nel pensiero sociale dei cat– tolici, fondando sulla macchina e sull'orga– nizzazione scientifica del lavoro un atteg– giamento di « gioia del lavoro », di reden– zione sociale ottenuta sul lavoro stesso; occorrerà rendersi conto, invece, che la pos– sibilità di redenzione della condizione ope– raia non consiste nel riferire l'operaio ;;fes– so all'oggetto di lavoro, ma nella su11 con– quista di una completa libertà spirituale attraverso una più attiva partecipazione al– la vita associativa e comunitaria. E con i miti socialisti e cattolici dell' e– spropriazione oper aia e della « gioia del lavoro » dovrà cadere il mito liberale del– l'impresa economica. come sola espressione dell'attività e dell'inventiva umana che sia degna di essere pienamente garantita dal– l'ordinamento giuridico, laddove invece non solo l'iniziativa economica, cioè l'attività di combinare nel modo più lucrativo i fat– tori produttivi, deve essere garantita, ma l'iniziativa umana, l'ideazione e l'invenzio– ne creativa, il lavoro nelle sue varie forme, sì da trasformare l'ordine costituito da un sistema di norme a garanzie per una sola classe di imprenditori, quelli economici, in un ordine rapace di garantire l'espansione umana in tutte le sue dimensioni. E non enuncio tesi astratte. chè il primo, concre– to problema che si pone a chi accetti que– ste critiche e avverta queste esigenze è la realizzazione di un principio della costi– tuzione: quello che sancisce il diritto al la– voro. Ho indicato alcuni elementi della mitologia da cui ci stiamo liberando. Ca– duti i miti avremo distrutto quanto ci ha diviso, ed avremo qualcosa in comune: la volontà di ricerca. Su questa base credo che potrenio ricostruire, e su questo piano attribuisco al tuo invito le più ampie pos– sibilità. GI O GIUGNl noi Nel futuro che abbiamo da costruire e che il punto di partenza non nel passato che non può rappresentare altro Caro Ciccardini, Le cose che dici nella tua lettera han– no la verità indiscutibile delle constata– zioni. Se la giovane generazione italiana ha fatto la tua esperienza ciò vuol dire che in Italia sta maturando qualcosa ad un tempo di grave e di importante; gli uomini che si accingono ad assumere pre– sto o tardi responsabilità dirigenti grandi o piccole nella vita civile, nella cultura, nella politica si trovano di fronte alla interruzione storica non di qualche tradi– zione ma di tutte le tradizioni ad un tem– po, si trovàno a dover accettare la re- ,sp~a\iJHTià dello ~iluépo 1Jfa1t(: i- nistrazione del patrimonio ·nazionale sen~ za beneficio di inventario e senza i mezzi per far fronte alle passività. È particolar– te significativo che di fronte a questa verità non si cerchino più da parte tua delle scappatoie e si abbia finalmente il coraggio di guardare in faccia la realtà e di abbandonare senza polemiche il ter– reno della obiettiva omertà pubblica e del rumoroso silenzio con cui si parla del « problema dei giovani ». Oggi non siamo di fronte a un qua– lunque « problema dei giovani » specie in Italia, ma siamo di fronte al proble- 1na di una epoca nuova. Solo un proble– ma di questa entità è degno e proporzio- nato al fatto che un'intera generazione si trovi nella necessità di affrontare tutti i problemi della sua civiltà su tutti i piani, dalla teoria più astratta alla prati– ca più immediata e urgente. Penso che sia logico fare questa grossa affermazione nel I 953: dopo due guerre mondiali e sotto l'incubo di una terza guerra i cui caratteri sarebbero certa– mente di una disumanità e spietatezza degna delle pre1nesse che ogni giorno si pongono in questa fase di guerra fredda: quando nessun potere e cultura costituiti sanno più trattare casi come quelli dei Rosemberg e degli oper<:1idi Berlino se non nella sola e dispotica legge delle

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