La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 10 - dicembre 1995

convinzione, riduce la democrazia ad esercizio delle procedure, delle regole per l'arbitraggio dei conflitti, e in economia tende a sottoporre tutto e tutti alle regole del libero mercato. Ma una società autenticamente democratica dovrebbe prevedere almeno una terza ipotesi, quella ad esempio proposta da Paul Ricoeur, e cioè che si dia una laicità del confronto tra convinzioni diverse, convinzioni nutrite dalla diversità dei retaggi culturali: ebraico cristiano, illuministico, del socialismo, dell'Islam, ecc. 3 c. Caduta la contrapposizione, in parte artificiosa, tra democrazie liberali e democrazie socialiste, stiamo oggi assistendo a un significativo spostamento verso una p.iù radicale contrapposizione tra etica della responsabilità ed etica della convinzione, quest'ultima gravata dall'accusa più o meno esplicita di integralismo; contrapposizione che a livello planetario si risolve in opposizione inconciliabile tra democrazie occidentali e fondamentalismi religiosi, con particolare riferimento alle sue incarnazioni nazionaliste arabe, ovvero alla sua ripresa nel mondo cattolico ed ebraico. Le democrazie si troverebbero dunque a fronteggiare un nuovo e per certi aspetti più irriducibile nemico sia sul fronte interno che su quello internazionale, dal momento che fra società liberali secolarizzate e istanze teocratiche non potrebbe esservi incontro né mediazione, ma solo l'affermazione delle une sulle altre. Per evitare lo scontro diretto si può dunque solo sperare e adoperarsi affinché quelle monadi retrive e gerarchizzate si aprano al libero flusso delle informazioni, delle idee, delle merci, in definitiva alla civiltà capitalistico democratica. Si tratta insomma di gettare tutto il peso, all'occorrenza, come si è visto, anche armato, di tale civiltà su realtà storiche a cui propriamente non può essere dato il nome di civiltà, pena la caduta nel relativismo culturale e quindi nella regressione e nel caos. Dunque nessuna possibilità di uscire dalla stretta logica del polemos: là dove vi è conflitto una parte deve vincere e l' altr~ perd~re; ne~suna possi~ilità d~,relazione che nsolva 11conflit~o ad .un livello J;'m. alto. d. Ma negare c1ttadman.za all'etica della convinzione significa operare una violenza pari a quella posta in opera da sempre dall'autoritarismo religioso, in nome di un astratto individualismo di principio, di fatto regolato dalla logica dell'mteresse e dal potere più o meno totalizzante dello Stato. Se è vero, come ha scritto Hannah. Arendt, che "gli uomini e non l'Uomo, vivono sulla terra e abitano il mondo", e che dunque il grado di libertà e di giustizia di una società si misura su ciascun individuo che ne fa parte, bisogna anche aggiungere che questi individui devono per essere società relazionarsi tra di loro, ed è cosa diversa se lo fanno esclusivamente o prevalentemente in base al gioco conflittuale degli interessi, oppure mettendo anche in gioco quelle convinzioni che sono bagaglio vivo di culture, di tradizioni, di ricerca mtellettuale, di impegno morale e religioso. Una società è viva se c'è circolarità e composizione equilibrata di tutto questo, in modo che il conflitto degli interessi sia temperato da istanze morali vissute e potenziate, e in questo caso s~rà altresì pacifica, cioè d~- sposta a comporre, a integrare, soprattutto a nspettare scrupolosamente il diverso; sarà sensibile ai bisogni di tutti, cioè alla giustizia. Vi è dunque un unico modo per battersi veramente contro ogni forma di integralismo e Ul.lSlliJ. fondamentalismo e autoritarismo; riconoscere i reali bisogni fisici e morali di ciascuno, adoperarsi per il loro soddisfacimento per quanto è possibile in un determinato quadro socio economico, educare all'attenzione reciproca e al rifiuto pressoché istintivo di ogni violazione della integrità fisica e della dignità morale dell'individuo, chiunque egli sia, qualunque siano convinzioni di cui si fa portatore. È da questo riconoscimento che nasce il desiderio di conciliazione, vale a dire la capacità di "tradurre le rivendicazioni nel linguaggio dei bisogni degli esseri viventi", secondo una luminosa espressione di Martin Buber. Questa sarebbe una società di uomini liberi e pacifici capace di influire spontaneamente su società "retrive e gerarchizzate", senza bisogno di esercitare alcuno spirito di superiorità. Ora perché questo accad;i. esiste fondamentalmente un ostacolo, il nesso tra capitalismo e democrazia, cioè infine il tabù del denaro, l'onnipotenza della logica mercantile. Occorre che questo nesso venga scisso, che il denaro vada ad occupare il posto che gli compete, di mezzo e non di fine. e. Ma un popolo che ispiri la propria vita sociale alla giustizia e alla libertà, che abbia come fine la pace per sé e per gli tutti, resta necessariamente esposto al pericolo di essere sopraffatto da chi al contrario si ispira alla forza ed è disposto a farne uso appena gli sia possibile. Ci troviamo qui di fronte ad una contraddizione assoluta, una contraddizione a cui la nostra cultura ha da sempre risposto tentando di dissolverla: se vuoi la pace prepara la guerra; ha cioè attribuito alla forza un potere d1 equilibrio, mentre la sua natura è essenzialmente dismisura. Pensare ad un uso controllato della forza non ha senso. Di fatto la forza ha il potere di precipitare immediatamente nell'irrealtà, da ambedue le parti, come ci ha insegnato Simone W eil. Dunque l'uso della forza è comun9.ue un male; e tuttavia questo non significa clie non dobbiamo comunque batterci, al contrario. Perché non c'è dubbio che la giustizia e la libertà vanno difese, e fino al punto da costringere l'ingiusto, se possibile, a riconoscere la propria mgiustizia. Allora tutto dipende da che cosa c1 muove nel batterci, e da come ci battiamo. Qui il comandamento dovrebbe essere: non desiderare l'uso della forza, cosicché, se costretti a usarla, se ne avverta tutto l' orrore. Ovvero, subire la contraddizione insolubile: l'uso della forza non può essere in alcun modo giustificato (non esiste guerra giusta!), chi lo fa mente innanzitutto a se stesso, e tuttavia è necessario battersi. A questa condizione, sopportando questa contracldizione, è possibile "batterci per la giustizia - ma batterci con amore" (ancora Buber), è cioè possibile battersi a un tempo per sé (per i bisogni fisici e morali del propno popolo) e per l'avversario, in quanto s1è mossi dal desiderio della conciliazione. 1 Ne ho scritto più ampiamente,con particolare riferimento alla situazione italiana, in un intervento pubblicatosul terzo numerodi questarivista. 2 Si veda Sentinella quanto resta della notte?, in G. Dossetti, I valori della Costituzione, ReggioEmilia, Edizioni S. Lorenzo, 1995, pp. 52 ss. 3 È illuminanteal riguardola discussionesvoltasisu «Micromega» 2/91 in occasione della guerra del Golfo. ♦

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==