La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 10 - dicembre 1995

do moderno e dunque 'della condizione moderna, di questo mondo come è in realtà e non solo come si riflette nell'ideologia. Le conseguenze si misuràno chiaramente oggi: venute meno le ideologie moderne, le Chiese scoprono che nel frattempo il messaggio cristiano è diventato culturalmente e socialmente irrilevante, ovvero che esso sopravvive come puro ornamento, còme luogo comune, come residuo storico impotente ad incidere nei processi reali. E dunque, trascinate nell'agone ideologico, le Chiese sono in larga misura venute meno al loro stessa vocazione: assumere la condizione moderna nel suo stato di massima contraddizione, e deprivazione, e violenza subita, ed emarginazione. Dunque le Chiese hanno di fatto perduto il diritto a conservare la proprietà esclusiva del patrimonio culturale del cristianesimo. E d'altra parte tale patrimonio va liberato dal condizionamento ecclesiastico, se si vuole che esso divenga fonte di ispirazione culturale e sociale per il mondo contemporaneo. Ma questo significa che altre e più libere forme di espressione religiosa c:risuana dovranno nascere sulle ceneri delle vecchie istituzioni ecclesiastiche. Ricapitolando. La crisi delle ideologie (tutte) e la contemporanea crisi delle istituzioni in cui esse si sono storicamente incarnate: partiti e chiese, offre oggi una occasione straordinaria per prendere coscienza della realtà del nostro tempo e per rispondere ad essa riappropriandosi del' patrimonio storico del socialismo e del cristianesimo, rielaborandolo in forme nuove, forme direttamente generate dal sentire, dall'ispirazione, dall'intelligenza di chi le promuove. Peraltro la disponibilità del patrimonio culturale del socialismo e della tradizione ebraico cristiana può metterci in condizione di sperimentare forme di vita sociale in cui non si dia più separazione tra politica, morale e religione, e neppure si dia più un rapporto gerarchico tra di esse, poiché tutte sono colte e concretamente vissute sullo stesso piano. Il che significa superare una scissione che è drammaticamente al cuore dell'epoca moderna, e che non ha solo valore teorico, ma soprattutto antropologico, perché essa ha comportato una scissione nella coscienza e nei comportamenti: privato pubblico, spirituale secolare, soggetto oggetto, e quindi la pratica impossibilità a trovare un punto di equilibrio personale, a riconoscere il proprio valore. di individuo, fisico e morale, nell'insieme delle espressioni della vita quotidiana. Varrebbe la pena al riguardo di approfondire la riflessione recente di Dossetti su l'uomo interiore e l'uomo nuovo; 2 cioè l'uomo secondo ragione, "che impegna per il meglio le sue facoltà a costruirsi pienamente secondo quelle virtù che chiamiamo cardinali (e anche gli antichi chiamavano così): la temperanza, la fortezza, la prudenza e la giustizia"; e l'uomo che, consapevole della forza antitetica del peccato che opera nella corporeità, riconosce nell'opera salvifica del Cristo il superamento di questa conflittualità e dunque l'elevazione a uomo nuovo, a nuova creaz10ne: Tra questi due concezioni non c'è contraddizione per il cristiano; anzi, scrive Dossetti, "tutte e due sono indispensabili, e tutte e due devono essere tenute presenti e valorizzate nella ricostruzione etica che è necessaria perché la nostra conversione sia piena e matura; e perché l'eventuale operare politico dei cristiani possa effettivamente sottrarre agli errç,ri e alle colpe sinora commesse". Ma non c'è contraddizione neppure per il laico, dal momento che l'uomo mteriore è riconosciuto come la condizione sufficiente per operare nel mondo secondo virtù, e l'accesso alla condizione di uomo nuovo resta aperto a tutti nel rispetto di processi individuali non sindacabili per via istituzionale. Per una cultura della pace Una chiara visione della realtà di cui siamo parte e l'elaborazione critica del nostro patrimonio culturale dovrebbe metterci in grado di ripensare anche le nozioni di pacifismo, di nonviolenza, di disobbedienza civile. Mi limito al riguardo ad alcune considerazioni di fondo. a. La scelta pacifista è credibile solo a condizione che sia espressione diretta e necessaria di una cultura della pace rigorosamente definita nei suoi caratteri essenziali, e coerentemente vissuta nella pratica sociale e politica. Nella situazione attuale è invece evidente la genericità e astrattezza della pretesa pacifista, e ancor più del richiamo alla pratica della nonviolenza. Occorre dunque ridefinire i principi che, inseriti in un preciso progetto socio politico, potrebbero consentire il formarsi, e non certo dall'oggi al domani, di una cultura della pace. È inoltre evidente che questo non può essere fatto senza una precisa coscienza storica relativamente a tale problematica, e quindi senza una decisa lettura critica della concezione della forza nella nostra civiltà. b. La civiltà occidentale porta su di sé almeno da un millennio e mezzo il carattere cristiano, il cui simbolo essenziale è un uomo messo in croce, più precisamente un uomo che ha subìto volontariamente la forza manifestandone fisicamente l'orrore. Da altrettanti secoli il cristianesimo ha di fatto ignorato il pieno significato di questo simbolo, nella misura in cui ha riconosciuto dignità e spesso onore all'esercizio della forza anche nelle sue forme estreme (guerra, tortura, pena di morte, coercizione delle coscienze, scomunica), quasi che la morte in croce del suo fondatore fosse stata una sorta. di incidente teologicamente necessario ma privo o relativamente privo di significato religioso e morale. A sua volta la moderna cultura laica e razionalista ha ritenuto di dover espungere questo simbolo dall'ambito della politica, relegandolo in quello delle convinzioni personali (etica dei santi contrapposta all'etica della politica che è violenza legittima, dal momento che sarebbe peculiare del moderno processo di secolarizzazione la restituzione della fede alla sfera privata, al foro intimo della coscienza. Si direbbe dunque che la nostr_a cultura sia in grado di prevedere solo due soluzioni tra loro alternative alla questione del rapporto tra morale e politica: quella della loro identificazione in direzione dell'autoritarismò religioso, op- . pure quella della loro separazione in direzione del liberalismo e dei valori illuministi dello Stato di diritto. Ma non si tratta poi di una alternativa reale, dal momento che in entrambi i modelli socio politici è predominante la nozione di "violenza legittima", seppure diversamente motivata. Così, se è·vero che i fondamentalismi religiosi perseguono il conformismo etico e l'obbedienza a ciò che l'autorità sfaccia come legge naturale, è altresì vero che i liberalismo impone un conformismo pratico nel momento in cui, escludendo l'etica della lll.JQJ:!l

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