La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

Attualmente i Rom sono circa una trentina, tre fratelli con le rispettive famiglie. Sul far della sera una decina di mocciosi corrono intorno· a un falò di tavole e stracci, cadono in terra di tanto in tanto, lordandosi i vestiti già sudici. Brì ha tredici anni ma dal maglioncino di cotone proromf e un corpo già da donna. Porta in giro per i campo, su un vecchio passe~gino, l'ultimo di sette fra fratelli e sorelle. D1 scuola non ne vuole sapere, del suo futuro non sa dire niente, forse perché sa già tutto. Per lei, che si schernisce dietro un sorriso malizioso, non esiste altra vita che quella che la sua gente conduce da secoli. Il nomadismo, lo spostamento incessante nello spazio è diventato il contrappeso dell'immutabilità nel tempo di una struttura sociale patriarcale e premoderna, anzi l'unico modo per .l'reservarla. Brì non lo sa, ma chiedere I' elemosma per le.vie di Taranto è la rivendicazione ·orgogliosa di voler rispettare solo quel diritto delle genti, o naturale, che sta al disopra di tutte le leggi civili e che prescrive a ciascuno di adoperarsi come può per poter campare. L'aria intorno ai prefabbricati è pervasa di odore di rape lesse, mentre all'interno di uno di essi Bianca, madre di Brì, stra preparando delle frittelle. Il benvenuto agli ospiti, dalla parete del monolocale che sta di fronte all'ingresso, lo dà una modellona seminuda in cartone di dimensioni reale. La televisione, accesa dalla mattina alla sera, vomita le immagini di un a telenovela di quart'ordine. "Hanno assimilato il peggio dei nostri modi di vita", spiega Giuseppe, che fa da cicerone e da garante in questa visita fra i iffidenti nomadi, " dai film di Van Damme ai telefonini, dall'alcol ai Take That". J oy e suo padre Vezir sono affacendati a costruire una finestra per la loro baracca. Gl utensili - la sega, la pialla e il trapano - sorn quelli della cooperativa e Giuseppe, che è pra t1co di lavoro di falegnameria, d1 tanto in tant< dà dei consigli. Poi una volta in disparte bisbi glia: "Vezir e suo nipote Digor sono a~li arre sti domiciliari per un furto di automobili com piuto quando si trovavano in un paese qui vi cino, sono in attesa di processo e per quest< resteranno qui almeno qualche altro mese." Ma in paese, come l'hanno presa quest storia del campo nomadi? "Mah, dovrest chiederlo a· loro", fa Giuseppe, "comunque salvo qualche battutina, non mi sembra ci sia no reazioni negative". In effetti è così. l _pas santi a San Giorgio sono tranquilli. Anzi, 1 pit non sanno nemmeno che da mesi, a due chilo metri dal centro abitato esiste l'accampamen to. È strano, il paese: ha 16.000 abitanti, è pie colo e la gente, è ovvio, dovrebbe mormorare "Non ci danno alcun fastidio e possono rima nere quanto vogliono", dicono due ·giovan con grossi anelli all'orecchio, dall'aspetto pa radossalmente trucido e un po' destrorso. U1 giovane fermo ai bordi della strada a fare auto stop riconosce che "hanno una mentalità mol to differente" ma chiede che " ci si adoperi pc integrarli quanto più è possibile". "Fino quando si comportano civilmente posson< senz'altro stare", fa una ragazzina in jeans 1 Invicta. Nel frattempo passa un signore anzia no, probabilmente un contadino, che origlia i discorso e sbotta: "non ci piacciono perché so no di un'altra razza, disturbano la gente coi l'elemosina, sono sporchi e poi tolgono il la voro". Ma questo campionario di luoghi co munì, frequente oggigiorno, non può che sot tolineare che ci si trovi di fronte a un sentit<

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