La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 9 - novembre 1995

coloro che oggi sono adulti, in Europa, non è tanto che sentiamo di dover "non dimenticare". Del ricordare, ripensare, 'interrogarci, abbiamo bisogno. Leggiamo libri, vediamo (e rivediamo) documentari e film, visitiamo i musei che ricordano l'olocausto; non ·perdiamo le occasioni che ci possono, appunto, aiutare. Questa è l'espressione che mi viene: abbiamo molto bisogno di essereaiutati, ancora, anche chi di noi ha · vissuto solo indirettamente tragedie, sofferenze e lutti, perché tutto ciò che è avvenuto allora, in quelle circostanze, ci riguarda a livelli molto profondi. Per esser aiutata, dunque, leggo o rileggo (tra le altre cose, Essere fuori luogo di Levi Della Torre; Per violino solo di Aldo Zargani; e Hannah Arendt e Bauman). Ho visitato due mostre, emotivamente molto forti: una di immagini scattate da soldati dell'esercito alleato al loro ingresso nei campi di sterminio (ancora una volta, qualcosa di più, molto di più di quel che sapevo o mi sforzavo di immaginare), l'altra di fotografie fatte a Nagasaki dopo l' esplosione della bomba, e fino ad oggi mai esposte. 1995, milioni di vittime: tragedia dell'Europa e del mondo. Ma attraverso rievocazioni, documentari, film (La lista di Schindler, naturalmente; diari, racconti), ci sono diventate in qualche modo riconoscibili e familiari anche persone, facce, storie. Volti, nomi, persone: è importante riportare il ricordo delle "grandi catastrofi in cui la modernità è incorsa" (Bauman) ad emozioni che investano la sfera privata, soggetti va, della nostra concreta esperienza di vita (che cosa avrei pensato, che cosa avrei fatto, come avrei retto la terribile, indicibile prova?). 1995, sono state rievocate le atomiche che hanno distrutto Hiroshima e Nagasaki, e la sconfitta del Giappone. Ancora numeri spaventosi (venti milioni di morti nell'area del Pacifico); ma anche persone: Truman, il presidente che prende la decisione; i consiglieri, gli scienziati, l' equipaggio degli aerei che hanno s&anciato le bombe; le facce e 1 corpi, bruciati e segnati in modi terribili e particolarissimi, fotografati subito, o anni dopo; e coloro che, americani ma non solo, internati o soldati (in interviste alla televisione o riportare sui giornali), dicono che, senza la decisione della bomba, loro e molti altri non sarebbero adesso vivi. E leggo, e collego, ancora un altro fatto di quest'anno: a Perm, negli Urali, località a oltre mille chilometri da Mosca, un gruppo di zek (prigionieri) ha costruito su quel che era il campo Perm-36 un memoriale ai deportati nei gulag (dodici, forse fino a venti mi- !ioni): il primo monumento dedicato al ricordo di eventi ancora tenuti nel silenzio, e la . . . pnma occas10ne per 1 sopravvissuti per avviare il loro percorso di ricostruzione (di esperienze, di fatti, di luoghi), e di elaborazione del lutto. Tutto questo per dire che c'è un mio modo di essere in rapporto con eventi che si collocano negli anni della mia vita, e dunque mi toccano profondamente: un modo non solo personale, ma della generazione di coloro che sono oggi adulti, e sono cresciuti in Europa. C'è un'altra cosa: ho un ruolo professionale che consiste nell'analizzare, cercare di interpretare, comunicare. Ho molte occasioni per parlare ("insegnare"?) a tanti ragazzi, e anche ad adulti, molto spesso su questi temi. Meccanismi e processi del ricordare, elaborare, comunicare, mi riguardano anche per questa ragione, e naturalmente mi chiedo: serve, è condivisibile, l' esperienza della mia ~enerazione; o l'enfasi sul "m10 tempo" - e dunque sul passato - magari risulta controproducente, perché J?er altri può essere prioritano che ci si confronti con l'oggi e con il futuro? E comunque, e soprattutto, la si può comunicare? Dunque qui il tema della memoria (saperne di J?iù, rielaborare, fare i conti con il passato) non è suello in astratto definito e disquisito -

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