La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 7 - settembre 1995

mente dal punto di vista cronologico non si può negare un collegamento tra la crisi balcanica e il crollo del sistema bipolare, ma ritengo determinanti le ragioni storiche e locali. Ma gli specialisti dov'erano nel 1991-92? Di che cosa si occupavano? Pensavano davvero che, finito il bipolarismo, non ci fosse più nulla di interessante nel mondo? La prima gravissima responsabilità dell'Occidente sta nell'aver chiuso l'incartamento·" guerra fredda" pensando che dopo non ci fosse più nulla. Non è vero che non ·credevamo alla battuta di Fukuyama sulla "fine della ·storia": di fatto ci siamo comportati come se davvero la storia fosse finita. Per poi svegliarci amaramente di fronte agli orrori balcanici. Clausewitz sosteneva che la guerra ha sempre delle finalità politiche. Guardando alla Bosnia e al Rwanda, ma anche al Sudan, all'Angola, alla Liberia, possono sorgere dei dubbi sull'attualità di quella tesi... Tutti citiamo quella frase di Clausewitz, solo che ci dimentichiamo che Io stesso generale prussiano definì la guerra "un camaleonte", cosa che non sfuggì ad Aron nella sua fondamentale opera Penser la guerre. Che guerra e politica siano legate lo abbiamo sempre saputo, ma se riflettiamo sulla dimensione camaleontica della guerra, sul suo essere un fenomeno proteiforme, possiamo comprendere il ruolo svolto dai nuovi oggetti conflittuali come l'etnia. O la nazione ... Guardi, bisogna smetterla di commettere quello spaventoso errore che consiste nell'affermare la centralità dell'idea di nazione. La storia culturale occidentale ha fatto sì che le idee di "stato" e di "nazione" siano state considerate, e non solo linguisticamente, come sinonimi, come una coppia fissa, infatti la scienza politica americana parlava di nation-state e nei nostri libri di storia trnviamo l' espressione "stato nazionale". Ma non è scritto da nessuna parte che sia meglio essere stati nazionali anziché stati tout-court. Negli anni Novanta abbiamo avuto in Italia proposte antinazionali come quelle della Lega, ma è un fenomeno diffuso che troviamo anche in YQQ. ( Canada e nel mondo anglosassone, basta l?ensare al comunitarismo, c10è il rinchiudimento localistico, il restringimento dell'io all'interno della sua comunità. E come si è risposto? Preoccupandosi di salvaguardare l'unità nazionale. Giah Enrico Rusconi ha scritto un saggio, Se cessiamo di essere nazione (Il Mulino), che esprime proprio questa preoccupazione. Gli ho ri- "M h' sposto: a pere e non cessiamo di essere una nazione"? Cessare di essere una nazione per diventare uno stato. Ci interessa di più l'entità stato o l'entità nazione? La differenza sta nel fatto che il primo è un concetto giuridico, la seconda un concetto emotivo. Se non vogliamo più l'ideologia, perché dovremmo volere le emozioni nazionalistiche? Qui occorre una precisazione di tipo storiografico: l'idea di na'.?ioneè stata e può essere il vettore della liberazione, come nel caso italiano. L'Italia è diventato ·uno stato unitario grazie all'impulso del nazionalismo. Ma quest'ultimo è un "vuoto a perdere", una cosa che una volta realizzata non serve più, anzi, se lo stato, una volta costruito, continua a essere nazionalista è destinato a degenerare. Un esempio è dato dal Vietnam: noi facevamo le sfilate per difendere l'idea dell'indipendenza nazionale vietnamita, ma una volta vinta la guerra, non aver buttato via lo strumento nazionalista ha voluto dire trasformarsi in una potenza espansionista. Dal momento che la nazione di per sé non esiste, al- . !ora non può avere dei limiti e tenterà sempre di ingrandire la propria area geografica. L'offensiva dei serbo-bosniaci che ha portato alla conquista delle due enclaves musulmane di Serebrenica e Zepa ha riaccesoil dibattito attorno alla questione dell'intervento militare. È necessario? È possibile? Chi deve realizzarlo e secondo quali modalità? L'opinione pubblica e gli intellettuali si sono divisi. Tutti concordano sull'urgenza di "dover fare qualcosa", ma nessuno, in primis l'Onu, sembra intenzionato a impegnarsi seriamente per risolvere la faccenda bosniaca. In un suo scritto apparso su "Linea d'ombra" e poi ripreso nel volume I doveri degli stati, ma anche in un 'int.ervista su "L'avvenire" del 3 giugno 1995 ha preso una posizione che, semplificando, potrebbe definirsr{avorevole all'intervento militare. È esatto? Sì, ma il senso del mio discorso è più complesso. Ogsi non vedo soluzioni alternative. Non so che cosa altro si possa fare per porre fine a una cosa mostruosa che dura da quattro anni. Per tutto questo tempo la comunità internazionale ha fatto solo dei balletti attorno alla questione jugoslava, pensando che si sarebbe risolta da sola, per poi renderci conto che le cose non andavano nella direzione sperata. Un atteggiamento ignavo e stupido. Allora, di fronte a un male sicuro e perpetrato a lungo non so che vedere due solùzioni possibili. La prima: permettere alla Serbia di concludere il suo disegno. Che cosa volete? Volete la Grande Serbia? E così sia. Ma non diamo armi ai bosniaci, perché sarebbe come dare loro della corda per impiccarsi più in fretta. Questa è l'unica soluzione racific~ _possib_ile.In nome di una emica logica politica, certo, ma è pur sempre una soluzione. L'alternativa? Combattere, cioè fare una guerra nel senso tradizionale della parola. Purtroppo tertium non datur. E' fallito il tentativo di diplomatizzare la situazione, visto che l'interlocutore serbo si è dimostrato del tutto sordo; è fallito il tentativo di delegare qualcosa a Eltsin, promettendo soldi in cambio dei suoi buoni uffici, infatti la Russia non ha contribuito un granché. Allora non si può che trarre un'unica conseguenza: o si riconosce la vittoria serba o si combatte. Sul pacifismo sembra gravare una sorta di "sindrome del Golfo". ~i teme che l'Adriatico possa trasformarsi in una portaerei americana come fu nella guerra contro l'Irak. · Ma c'è da chiedersi se tra le due ipotesi estreme da lei indicate non siano configurabili posizioni intermedie: un uso della forza limitato, raids aere i su obiettivi selezionati, una protezione militare efficaceai convogli umanitari, un diverso dislocamento dei caschi blu ...non pensa che con questi mezzi si potrebbe costringere i serbo-bosniaci a . maggiore ragionevolezza senza dover arrivare a fare la "guerra"?

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