La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 4 - giugno 1995

paradigmi di conoscenza incentrati sulle scienze sociali ha da tempo inficiato il predominio intellettuale degli storici e la storia, un tempo considerata la guida sicura, la stella polare della politica, ha finito per essere ridotta ad un ruolo ancillare, dimessa comprimaria su un palcoscenico affollato da agguerrite pretendenti. Ma vi è una ragione più profonda che concorre a determinare questa crisi del ruolo della storia ed essa risiede nel fatto che quanto vi è di più essenziale nei meccanismi di trasmissione della conoscenza tende a saltare o ad eludere il nodo del confronto con la cultura "alta". La produzione di senso comune da parte dei mass-media consente procedimenti di ricostruzione "storiografica" n_on solo straordinariamente efficaci ma anche capaci di oltrepassare tradizionali barriere comunicative e perciò tali da "spiazzare" il tradizionale approccio degli storici professionisti. In particolare, la creazione di una "realtà virtuale" poggiata sui nuovi sistemi di comunicazione integrata (televisione più cinema più elaborazione computerizzata delle immagini) se per un verso consente un uso innovativo della fiction, caf ace di attrarre la nostra voglia di dare corpo a passato dall'altro produce una sorta di schiacciamento del tempo sull'oggi. La dilatazione estensiva dell'offerta di intrattenimento e informazione va infatti di pari passo ad una diminuzione dell'attenzione per quegli elementi della realtà non immediatamente percepibili o comprensibili, ma che invece erano aspetti importanti del mondo di avantieri o di quello di un secolo fa. Risucchiato nel presente, il passato, semplicemente, scompare in quanto realtà altra , distinta da quella che ci circonda. Si pretende che esso possa essere compreso con la stessa naturalezza con cui si guarda (o si ritiene si dovrebbe guardare) alla realtà presente. Così l'inadeguatezza dei nostri manuali scolastici rivela molto più che una questione di comunicazione di sapere, molto più del problema di una sua attualizzazione. Essa ci parla dell'incapacità della storia di rispondere ad una doppia sfida, quella del declino dell'importanza sociale della di~cipli~a e quello ~el rapporto col passato nell ambito della cosiddetta civiltà dell'immagine. Non che non ci sia un problema di manuali, di curricula, di modi di insegnare. Solo che essi vanno subordinati ad un ripensamento di ciò che serve davvero imparare del passato o attraverso il suo racconto, la sua storia.. Oggi che l'idea di progresso unilineare è in crisi, oggi che il presente ci appare meno l'ovvia conseguenza di uno scontato antecedente temporale e più il risultato di percorsi' che possono essere compiuti in avanti ma anche all'indietro, di acquisizioni che possono crescere in consapevolezza o degradarsi, di conquiste che si possono mantenere o perdere; oggi noi dobbiamo avere la consapevolezza che la· storia serve a spiegare non solo cos'è una società e come funziona ma soprattutto c9me si _produce il mutamento, come e perché cambiano i quadri mentali, i rapporti produttivi, i comportamenti sociali. E per fare ciò è essenziale coglie~e la r~dicale d)ve~sità dell~ ~en~alità colletuva, dei meccamsm1 produttivi e nproduttivi, dei corri di credenze e di tradizioni delle società de passato: esse ci testimoniano infatti dell'esistenza di una pluralità di mondi. La straordinaria imp?rtanza di un ragionamento sul passato sta proprio qui, nel fatto che solo la scoperta dell'artificialità della realtà, della non-naturalità degli oggetti e dei concetti che popolano il nostro universo rende possibile una riflessione sulla trasformazione sociale. Sulla creazione di nuovi oggetti, di nuovi concetti, di nuovi modi di organizzare la vita associata. In fondo, è f roprio questa dimensione del mutamento ne tempo passato che ci lascia aperta la prospettiva di un cambiamento possibile in quello futuro, ed è solo tornando alla storia, insegnando ad osservare storicamente la realtà, che possiamo ancora credere nel domani. Altrimenti non ci rimane che un mondo sen_za~toria, appiattito su un presente senza rag1om e senza speranze. INFANZIA E STORIA: · DUE TERMINI ANTITETICI? Cesare M areno ♦ Cesare Moreno insegna in una scuola elementare di Ponticelli (Napoli). · ♦ Quando per la prima volta ci si accinge a introdurre alla storia dei ragazzini di otto anni che a mala pena sanno riconoscere ciò che vedono scritto e a mala pena sanno riprodurre delle parole ci si chiede se ciò che stiamo per raccontare possa avere un significato per loro, sia in grado di rispondere a qualche loro domanda. Certo ci sono mille espedienti didattici per esorcizzare la paura di una domanda che è imbarazzante pure per noi: si lavora sui "prerequisiti", espressione didattichese che equivale allo "apparecchiare" - depilazione, lavaggio, anestesia - il malato prima dell'operazione, oppure si supera brillantemente la difficoltà affermando che comunque il bambino vive in un ambiente ricco di comunicazioni dove anche la storia ha un suo posto. Esistono poi le risposte accademiche: una ricca storia della storiografia può aiutarci a trovare risposte che placano il nostro spirito di sistema, ma non è detto che siano risposte adeguate al bambino. Su questi piani non sono in grado di avventurarmi, posso provare però a testimoniare di alcune esperienze fatte con bambini tra i meno dotati di sollecitazioni "culturali" familiari o ambientali. C'è un momento appunto ~erso gli otto anni, in cui il bambino comincia a rendersi conto che le cose non sono sempre state eguali e chie- .de: com'era una volta? ."Una volta" è la somma di tutto il tempo passato, così come "ora" è la somma di tutta la SNavita e di tutto il suo futuro. Ci sono non pochi ragazzi che giungono al biennio degli istituti superiori avendo ancora una simile concezione del tempo per così dire puntiforme, anzi fatto di due soli punti in mezzo a cui c'è uno ed un solo percorso rettilineo. Ma questa è anche una domanda su se stessi, sul proprio passato e sul proprio destino: sono SCUOLA

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