La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

Bi Più che una rivista. Vent'anni di "Segno" a Palermo Marcello Benfante Marcello Benfante insegna in una scuola media in provincia di Palermo. Collabora con racconti e interventi a "Dove sta Zazà" e altre riviste. ♦ Sarà colpa di Dumas o dei Beatles ( It ... was Twenty years ago today) ma quando passano vent'anni siamo immancabilmente assaliti dalla nostalgia. Stavolta non è proprio il caso. La rivista "Segno" compie infatti gloriosamente vent'anni e guarda già con audacia ai prossimi venti. Ha 160 numeri alle spalle e circa 20.000 pagine. Non se ne sono stati con le mani in mano, questi accidiosi siciliani. Palermo è tradizionalmente una città dove le riviste durano poco più dello spazio di un mattino. "Segno" fa eccezione. Pur non potendo contare che sul contributo volontario dei suoi sostenitori, si è rivelata stabile, longeva, solida e assolutamente non effimera. Vorremmo dei governi così, ma ci contentiamo di questa buona e seria testata di cui non sapremmo più fare a meno p_er capire la realtà - non solo cittadina - che ci circonda (il cardinale Pappalardo ebbe a dire di vivere felice senza leggerla; per molti è invece uno dei pochi punti di riferimento di una città che sperpera dissennatamente le sue risorse di intelligenza). Ricordandone la nascita, Pietro Gelardi scrive in questo numero 160 dalla intensa copertina cilestre (unica nota di colore nella sobrietà di una veste grafica fin troppo spartana) che "fu un atto di fede solitario e irresponsabile, contrario a ogni regola di buon senso e di modestia, oggi inconcepibile". Eppure i conti bene o male quadrarono, e quell'atto di fede fu foriero di buone opere, tanto che ci chiediamo se a far fallire tante iniziative cittadine non sia proprio la mancanza aGinoBianco di un po' di fede. E in questo senso ha proprio ragione Gelardi quando - pur ricordando gli errori, le ingenuità e certe affrettate analisi degli esordi - esorta a "perseverare all' imprudenza". Anche lo scrittore Michele Perriera - nel libretto allegato al numero del ventennale - ci ricorda che quel che conta non sono né le seduzioni né le delusioni, ma "il livello spirituale delle nostre illusioni". In questo senso "Segno" continua a illuderci che cambiare si può, continua il suo cammino di fede con i suoi nove redattori intorno a cui si coagula miracolosamente tanta parte dell' intellighenzia cittadina (e non solo), del volontariato, del mondo del lavoro, della scuola, della magistratura ecc. Per capire le ragioni della caparbia resistenza di questa rivista, di questo collettivo, bisogna recarsi a visitare la sua redazione e conoscere il direttore, Nino Fasullo, padre redentorista e insegnante di filosofia. La sede di "Segno" si trqva nella Palermo marginale. Per raggiungerla si deve prendere la circonvallazione - un' opera resa obsoleta dai colossali ritardi di realizzazione e dallo sviluppo distorto delle periferie - imboccare la Via Michelangelo, un lungo e desolato stradone in cui i palazzoni si alternano agli ultimi ritagli d'agrumeti, costeggiare borgate ormai fagocitate dal tessuto urbano ma che sono ancora isole e roccaforti di un diffuso potere mafioso, infine giungere in Via Badia, una stradina su cui si affaccia l'austero convento dei padri redentoristi. Oltrepassata la soglia di un grande portone, si accede in locali in cui regna un'atmosfera ovattata. Più oltr~ c'è ~n giardino n<;>npropno azzimato ma rusticamente confortevole su cui si affaccia un campo di gioco in terra battuta. Per un cancello si accede a una polverosa biblioteca che alcuni ragazzi stanno mettendo volenterosamente in ordine. All'interno di questo luogo separato si ha come l'illusione di poter guardare con sereno distacco ai problemi dell'irredimibile Palermo. Anzi, sembra che. la redenzione possa essere possibile, probabile e perfino vicina. Forse saranno i giovani che vi si incontrano numerosi, a far germinare questa illusione. O forse l'ospitalità giuliva di Nino Fasullo, un prete piccolo e dinamico che fa pensare a Padre Brown, parla a raffica, offre dolcetti, racconta barzellette, storpia i nomi delle persone, ma· si fa subito arguto e preciso quando il discorso verte sui grandi temi che ricorrono sulle pagine di "Segno": fede e politica, Chiesa, pace, mafia. "Segno" nasce in seguito all'esaurirsi di un altra esperienza editoriale di carattere prettamente ecclesiale, "Il cristiano d'oggi", che si concluse nel 1974. Nel novembre del 1975 usciva il primo numero della nuova rivista. Promotore era uno sparuto gruppo di preti, insegnanti, studenti e sindacalisti che si riuniva presso i padri redentoristi per leggére la bibbia e discutere i problemi sociali. Erano anni di acceso dibattito etico-politico, rinfocolato dal referendum sul divorzio. Anche all'interno del mondo cattolico c'era un gran fermento, la ricerca di un modo nuovo di essere cristiani, l' esigenza di un rinnovamento della Chiesa e di un superamento delle ideologie. Prendeva forma una diversa concezione della politica, non più come esercizio del potere attraverso la Democrazia Cristiana, ma come libero e r~sponsabile impegno individuale e collettivo. "Segno" si proponeva come strumento di questo dibattito e configurava u·n modello diverso di presenza cristiana nella città che si fondava sullacondivisione dei problemi dei più poveri. Questo progetto poteva realizzarsi solo mediante una coesistenza di fede e laicità, valori niente affatto contraddittori. L'esperienza di "Segno" si proponeva quindi come un superamento pratico della questione cattolica, come denuncia dell'equivoco di una specificità cattolica in campo politico. Come ricorda Francesco Renda, il termine segno assu-

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