La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

LETTURE Foa padre e figlio, sul destino della sinistra Marcello Flores Marcello Flores, storico, insegna all'università di Siena ed'è autore di numerosi saggi di storia contemporanea, del movimento operaio e della sinistra. ♦ È difficile, nel dialogo tra Renzo e Vittorio Foa, prendere posizione per uno o per l'altro, in modo netto. A volte, leggendo senza scorgere bene chi dei due stia parlando, non è facile individuarli, se non per il tono più sicuro e apparentemente più aperto di Vittorio (84 anni) e per il discorrere più apodittico ma in realtà più incerto di Renzo (48 an1:1i).Sicurezza e incertezza, m questo caso, appartengono più alla generazione che all'opzione politica e alla sagacia interpretativa. Vittorio ha passato la vita a offrire risposte e tuttavia parla per domande con l'ansia di chi vuole racchiudere in interrogativi adeguati la possibilità di continuare a capire e quindi a rispondere. Renzo ha seminato dubbi e posto quesiti, e vorreb?e po_ter ~ontinuare se non s1 sentisse impegnato anch'egli a "dire la sua" su un mondo inquieto e in profonda trasformazione. E stato Renzo a proporre il dialogo, ma è Vittorio che sembra trovarsi più a suo agio nel confronto: il primo è più ·critico, i1;1-cisivo,il secondo più saggio, pacato. Le annotazioni più interessanti, anche se il discorso spazia nel tempo e ritorna più volte sulle tappe fondamentali della storia dell'Italia repubblicana, sono quelle relative agli ultimi anni, al post-'89. È negli anni che ci separano da questa crisi epocale, infatti, che si sono manifestate in modo limpido e drammaticamente lineare i limiti e le colpe profonde della sinistra, la sua connaturata incapacità a farsi classe dirigente e Stato, il vuoto lasciato da un' egemonia culturale che è stata sempre in ritardo sui tempi, la propensione a rincorrere la storia invece che a precorrere le trasformazioni, alla resistenza invece che alla proposizione, alla conservazione invece che all'innovazione. Anche un "eretico" come Vittorio Foa, che pure ha gettato con continuità luce e intelligenza su quanto è avvenuto negli ultimi vent'anni, ne è rimasto spesso prigioniero, come individua con sagacia il figlio: "lo credo che la tua eresia in ogni modo è stata tutta interna all'ufficialità della politica, alla sua ritualità, alle sue leggi e al suo linguaggio. Intendo dire la politica un po' come momento separato dalla vita quotidiana, con tempi diversi, gironi di gusti e di consumi staccati da quelli delle persone comuni" (p. 10). Parte di quella classe dirigente che è stata la "più capace" del ·secolo ne condivide la colpa di non aver saputo creare gli anticorpi di una degenerazione che è cresciuta decennio dopo decen?io per esplodere poi tutta assieme. Renzo è stato più istituzionale nella sua appartenenza al Pci, pur nella condizione - limitata ma libera - di giornalista; eppure il suo giudizio sul Pds è drastico e senza appello: "Diciamo che è nato male o che non è nato come nuova forza della sinistra (...) sono convinto che al Pds è mancata la forza di essere conseguente alle attese di allora" (p. 21). BibliotecaGinoBianco Quanto al passato, un passato che ha pesato non poco sul modo in cui tutta la sinistra è giunta all'incontro con la Storia nell'89, Vittorio ricorda più volte la sua convinzione e guida all'azione: "non accettavo nulla del pensiero comunista, ma pensavo che fosse necessario lavorare con i comunisti, perché pensavo che il comunismo fosse riformabile e, anzi, pensavo che nella sua base sociale, nella sua cultura non dotta, ma in quella immanente all'azione, potesse assumere i contenuti di libertà che mi erano cari, secondo la mia formazione culturale" (p. 24). · È quando parla del presente, tuttavia, che Vittorio Foa sembra ormai libero da quei condizionamenti "tattici" che hanno pesato sul suo passato: quando ammonisce a non vedere il mondo industrializzato come mera arretratezza (ma a individuare trasformazioni ancora più rapide delle nostre); a rendersi conto del salto qualitativo che la vita quotidiana materiale ha compiuto; a preoccuparsi dell'invecchiamento della società; a rammentare che l'imm1graz10ne è una nostra necessità prima ancora che un " 61 " d nostro pro ema ; a guar are alla crisi del Welfare non solo in termini di bisogni e di costi ma di promozione del1'autosufficienza; a valorizzare la vasta esperienza del volontariato: "questo volontariato andrebbe assistito più sistematicamente e finanziato mirando agli obiettivi. Nel volontariato ci sono molte cose diverse, c'è l'obiettivo del servizio e c'è l'autoidentificazione, la realizzazione di se stessi. Questo obiettivo spesso è più forte di quello dell'aiuto. L'autorità pubblica deve aiutare il volontariato misurando i suoi risultati. Lì c'è un'area immensa non solo di tutela materiale, ma di aiuto alla gente a vivere, a difendersi, a muoversi, a ridurre i suoi bisogni" (p. 46). Il 1989 è stata un' occasi one mancata, un "passaggio sprecato", e non solo per incapacità tattiche. Renzo insiste più volte su questo punto, consapevole che non è solo per autobiografia, perché fu in quel momento che dette maggiormente battaglia e s'impegnò pubblicamente a favore della trasformazione; ma perché l'insieme della sua generazione, che è poi in gran VOCI

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