La Terra vista dalla Luna - anno I - n. 2 - marzo 1995

manda di formazione della popolazione ristretta, rilevando bisogni relativi a possibili percorsi di studio/addestramento/specializzazione, per fornire un materiale utile alla progettazione di unità e moduli formativi. La ricerca si proponeva inoltre di rilevare le attività non scolastiche rivolte ai detenuti da parte di Enti Locali, associazioni del volontariato, cooperative ecc.. L'itinerario di lavoro avviato dal Cede intendeva portare alla costruzione di un quadro che interpretasse la situazione formativa nelle carceri, permettendo di focalizzare, a partire dall'esistente, l'efficacia dei vari interventi e la loro distribuzione sul territorio nazionale (equilibrata o meno) in relazione alla qualità e alla quantità di domanda formativa che si esprime nelle singole situazioni. In seguito ai risultati della ricerca, il Cede si sarebbe fatto promotore di un momento di lavoro seminariale che avrebbe dovuto coinvolgere i due Ministeri di Grazia e Giustizia e della Pubblica Istruzione e gli Enti Locali, in quanto erogatori di servizi formativi, per studiare insieme ciò che esiste e vedere di progettare il che fare. La ricerca meritoria del Cede non è stata portata a termine ed ha seguito il destino di tante altre belle iniziative rimaste senza sbocco, che sarebbe opportuno e urgente riproporre. Si ha l'impressione che nelle carceri, per ciò che riguarda le attività formative e culturali, ci si trovi di fronte a molti scenari. C'è quello più propriamente istituzionale, scolastico, nel quale si costruiscono i curricoli e in cui l'aspetto disciplinare è prevalente, in particolare nei corsi delle centocinquanta ore e nei rari corsi di scuola superiore. Ma vi sono altre situazioni, in cui chi opera si sforza di dare risposta ai bisogni di formazione che riesce ad individuare; o che egli interpreta come tali e per rispondere ai quali sente d'avere le competenze. Si tratta di progetti inseriti nella programmazione didattica degli insegnanti oltre le attività curricolari, di attività di formazione finalizzate alla costruzione di competenze da spendere sul mercato del lavoro, o di altre libere attività che definirei disinteressate, che non hanno cioè un fine propriamente utilitaristico, finalizzato al conseguimento di un titolo di studio o di abilità professionali, e che hanno come unico scopo lo sviluppo culturale della persone e la ricerca delle sue possibilità espressive. Tutte queste attività, nel loro insieme, contribuiscono al miglioramento della conoscenza di sé e delle proprie potenzialità; si muovono tutte nella direzione di un aumento delle opportunità e delle possibilità di scelta per il detenuto. È un arcipelago che, come si diceva bisognerebbe incominciare ad osservare più da vicino, per capire se sia poss_ibile comparare espenenze e individuare tendenze, se queste cornBibliotecaGinoBianco spondano a reali bisogni e cosa bisognerebbe fare di più, o fare meglio. Una parte del questionario elaborato dal gruppo di lavoro del Cede e rivolto agli insegnanti riguardava il contesto, in cui le attività formative si svolgono, esaminato attraverso due punti di vista: quello organizzativo, sulle modalità di funzionamento dei corsi e sulla qualità degli spazi destinati alla formazione; l'altro relazionale, di interazione cioè tra l'insegnante o l'operatore culturale, e le altre figure che si muovono intorno a lui e che appartengono all'istituzione carceraria. Si chiedeva quale tipo di interazione avvenisse tra il docente, la direzione carceraria e gli altri operatori carcerari, se cioè il rapporto fosse di collaborazione, di controllo, o di supporto. Focalizzava l'attenzione in particolare sulla figura dell'educatore, in quanto maggiormente responsabile di altri dell'eventuale progetto educativo riguardante il detenuto e quindi più direttamente coinvolto nei processi formativi. Chiedeva in quali momenti dell'attività formativa avvenisse l'interazione tra docente ed educatore. Il questionario sollecitava infine i docenti ad esprimere una propria opinione circa l'atteggiamento degli agenti di custodia nei riguardi della frequenza ai corsi o alle attività culturali, da parte dei detenuti, se questo cioè fosse di positiva collaborazione, di indifferenza o di ostacolo. Nel porre le domande sulle interazioni, la ricerca del Cede metteva il dito sulla piaga. È noto infatti a tutti coloro che abbiano lavorato o lavorino in carcere, quanto pesi la struttura e quanto siano condizionanti e determinanti per il lavoro i rapporti che vi si instaurano. Parlare dei rapporti con la custodia e di come questa non veda con piacere qualunque attività si svolga a favore dei detenuti, significherebbe ribadire un concetto già noto. Significherebbe per di più levare dolenti note sulla formazione di cui gli agenti di custodia stessi avrebbero necessità , in una condizione lavorativa particolarmente delicata e conflittuale, come del resto lo sono tutte quelle professioni a cui si delega il compito di infliggere direttamente una sanzione. Nel rapporto tra detenuto e agente di custodia trova spazio il conflitto diretto. L'operatore culturale, l'insegnante, il volontario, sono visti come coloro che stanno dalla parte del detenuto e, come tali sono circondati da un alone di sospetto; al loro operato si guarda con antipatia, nella migliore delle ipotesi con indifferenza e scarso spirito di collaborazione. Nella peggiore, l'azione di controllo va oltre le normali regole di vigilanza sulla sicurezza personale del1'operatore e si traduce a volte in azioni di disturbo che possono essere molteplici. Sicuramente l'attività esterna tende ad essere invisa e ostacolata, perché disturb~ la routine BUONI E CA7TIVI

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