Lo Stato Moderno - anno IV - n.5 - 5 marzo 1947

LO STATO MODERNO non ha bisogno di ferule esterne per ristabilire il proprio equilibrio morale, e sopratutto quello di dimostrare agli italiani, COtl la eloquenza secca del– l'esempio, che il primo oggetto della ricostruzione non può essere che quello della severità e della in– transigenza morale. Non intendiamo essere nè apparire i giacobini del costume; ogni aspetto del giacobinismo ci è estra– neo: la faziosità, il centralismo, la turbolenza, l'ora– toria vacua, il sangue inutile, l'isterismo, la comoda acquiescienza alla « massa». Nè ci è discara una certa « douceur de vivre » di talleyrandiana memoria, e fin un qualche gesui– tico lassismo. Ma altro è la vaghezza delle nostalgie individuali, altro la estrema durezza dei tempi. E' probabile che ancora una volta la Francia stia trascrivendo con qualche anticipo la nostra storia. Questo significa che tutto il popolo può essere chiamato tra non molto a duri e rudi sacrifici. Chi risponderà all'appello, se la voce che chiamerà non sarà ritenuta degna di essere ascoltata? E così, un dibattito parlamentare, che poteva essere un grande dibattito di tesi politiche, sociali, economiche, un esemplare preannuncio delle discus– sioni costituzionali, rischia d'esser finito in un pan– tano, a meno che una coraggiosa risoluzione finale non trasformi il pantano in una meditata afferma– zione di una nuova coscienza politica. Dal punto di vista strettamente politiéo non si può dire che dal governo, dalla maggioranza o dalla opposizione si siano avute nuove indicazioni. C'è stata, è vero, ed è stata ampiamente e va– riamente sottolineata e commentata, la formazione di quella « opposizione democratica » da gran tempo re– clamata da questa Rivista. Il fatto merita di essere segnalato, e i suoi svi– luppi di essere attentamente e simpaticamente se– guiti, anche se i nostri uomini politici debbono an– cora convincersi che i problemi della storia non sono problemi astratti che possono essere risolti quando si vuole, ma problemi concreti che chiedono di essere risolti quando si deve. E che « l'opposizione demo– cratica», formidabile arma di difesa repubblicana e di costruzione politica subito dopo il 2 giugno 1946. rischia oggi di perdersi nei vicoli di una speculazione pre-elettoralistica. Ora, se i repubblicani e i social-laburisti vogl~no riguadagnare il tempo perduto, far dimenticare la loro passata collaborazione governativa, e farsi stru– mento della riscossa democratica, debbono avere chiari tre punti. Il primo è che una loro persistente separazione condanna gli uni a un gretto conservato– rismo, e gli altri ,a un miope classismo: se si slarghe– ranno su moderne posizioni democratiche, fatalmente si indeboliranno dividendo i suffragi a loro disposi– zione. Il secondo attiene a prendere definitiva co- scienza che il nostro attuale maggiore problema po– litico è quello di darci una solida e stabile politiec estera che prenda atto del crollo di ogni solidarismo internazionale come pratica piattaforma di azione concreta, che sia riguardosa delle nostre necessità di prestiti e di sdmbi, che sia spoglia di ogni velleità revanscista, che faccia dell'Italia un elemento sempre più apprezzato di ordine e di equilibrio, ma che si affissi alle grandi ore della storia, alle grandi ore delle crisi supreme. La politica estera raccoglie sem– pre i suoi frutti a stagioni lontane, ma li matura e li determina in ogni atto di sua manifestazione. Il terzo punto esige un chiaro apprendimento della drammatica natura di questo momento della nostra vita nazionale. Noi stiamo ancora una volta giocando tutto. Non è più l'ora dei bamboleggiamenti demagogici, se pur mai quest'ora suona nelle vicende politiche. E' necessario dare al paese un senso di gravità. Stare all'opposizione, bene; ma non per sfrut– tare le difficoltà della situazione, ma per dire su ogni questione, su ogni situazione una parola medi– tata, per indicare di ogni nodo il suo scioglimento, senza vincoli di compromesso, ma anche senza ca– pricci di irresponsabilità. A questo patto la novità parlamentare sarà frut– .tuosa; altrimenti si tratterà di una semplice curiosità di cronaca, e di una non allarmante diminuzione del margine aritmetico di sicurezza governativa. Ora l'Assemblea Costituente dovrà iniziare il la– voro per il quale venne propriamente eletta: la di– scussione del progetto di Costituzione. Anche qui sonò necessarie idee chiare. Il pro– getto deve essere radicalmente trasformato, se non si vuole che si sfreni nel paese una violenta campa– gna per il referendum sul progetto. I punti sui quali il ries~me dovrà essere più accurato e più spietato sono: togliere tutte quelle affermazioni che sono in– suscettibili di essere trasformate in leggi vere e pro– proprie; i rapporti tra lo Stato e la Chiesa, con gli annessi codicilli della scuola e della famiglia; una maggior chiarezza per quanto attiene ai rapporti eco– nomici perchè, almeno, non si costituzionalizzi il dis– sidio tra economia libera e economia pianificata; raf· forzare il -potere esecutivo, rendendo più solide e meno appariscenti le garanzie della continuità mini– steriale; dare una configurazione giuridica assai •più vasta ai partiti, che non possono più, nello stesso tem– po, essere dichiarati i costruttori della politica nazio• nale e lasciati alla deficente struttura privatistica delle associazioni di fatto; rendere meno verbalistica l'autonomia della Magistratura; e infine, « l'ast not least », mozzare le ali al pericolo, che nel progetto è incombente, di ridurre l'Italia a una. rissa parla– mentaristico-regionalistica. Noi vogliamo ancora confidare nel senno, se non più nella· grandezzà, di questa assemblea. MARIO PAGGI

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