Lo Stato Moderno - anno III - n.20 - 20 ottobre 1946

I 468· LO STAT0'MODERN0 presentava quasi l'unico modo di uscire dalle barriere della propria classe, di unJversalizzare la propria azione fra operai e artigiani. In clima di libertà questa universalizzazione avviene sempre, perchè. non v'è gesto politico che non trovi a:meno qualche solidarietà di minoranza nei più-disparati strati sociali. Ma in tempo di polizia po~tica occorre essere introdotti, dare e ricevere garanzie, e riesce quasi impossibile mettere le n1ani su quei consensi di minoranza. I motivi culturali invece hanno agito sempre da freno e sono stati essi a fermare il processo, oggi a quanto pare con- " eluso. E infatti la constatazione che nel comunismo vi sono dei lieviti autoritari si può fare o non fare nell'esperienza quoti– diana, ma non si può assolutamente evitarìa sul piano teorico, davanti alla dottrina marxista e agli scritti degli intellettuali comunisti, dove daippert'Utto si scorgono le fonnule dell'in– tolleranza. Anche l'autore della recensione a cui mi riferisco, il Del Noce, conosce· bene la natura particolare dei successi comunisti in tempo clandestino, e sa che il comunism.o ha sedotto gli intellettuali non per la loro intellettualità, ma al contrario proprio per l'insofferenza che essi si compiacevano di mostnire per la propria intellettualità. Fa meravig:ia perciò che egli accanto a queste acute ed esatte osservazioni possa scrivere che fa filosofia marxista gli sembra una critica decisiva di tutte le altre, per cui « il suo superamento - se è possibile - deve importare una vera rivoluzione filosofica ». Chi scrive questo dovrebbe anche, in buona logica, dichiararsi marxista e spiegare marxisticarnente le cose, il che davvero egli non fa. Altrettanto errate IJli sembrano le conseguenze chè egli deduce da questa pretesa imbattibilità del marxismo. Non è vero che il fascismo sia stato causato da questa imbattibilità, cioè da un fatto di insufficienza culturale; non è vero che un eventuale fallimento delle forze po:itiche che si propongono di superare l'antitesi marxismo-reazione possa "8lere come dimostrazfone del:a vali– dità del marxismo come filosofia. La sfera del pensiero e quella dell'azione. po:itica non si identificano compiutamente. Nella prima il marxismo è in difensiva e stenta mortal– mente a giustificare i suoi due concetti essenziali, l'economi– cismo e la classe socia:e elevata a categoria storica. Nella sfera politica le forze supermarxiste e superclassiste sono for– tissime, e si trovano• anche dove a prima vista non sembre– rebbe, perchè, di fatto, :a più grossa di queste forze è il socia– lismo, che si pone come partito operaio distinto dal' partito comunista e con ciò tien viva la distinzione fra il partito e la classe. Ma se anche queste forze fosse}o debolissime, ciò proverebbe so1o che questa società in cui siamo è classista, non ,la verità teorica del c:assismo. bi fatto il fascismo sorse perchè l'opinione comune non sapeva superare i particolarismi di classe, ma la cultura europea possedeva già molti antidoti t contro Marx. La indicazione da trarre da queste constatazioni mi par– rebbe questa: meglio agire sul piano delle forze politiche esi– stenti, anche se non pienamente consapevoli e limpide, che fare ad ogni costo la poìitica intel:ettualistica della intransi– gente chiarezza. La terza 1:,ia fra comunismo e reazione non è più un obiettivo specu:atìvo da ra,ggiungere, è una forza socia– le da consolidare, consolidando i complessi politici nei quali già confusamente vive. Ma occorre, evidentemente, che quei com– plessi diano. alf!1eno qualche fondata speranza di potersi consolidare nel compito che essi ora hanno davanti, quasi senza sapere di avePlb. GIOVANNI VACCARI In tema di riparazioni tedesche Un tema da suggerire a un giovane psicologo di belle speranze sarebbe senz'altro que:Jo di una classificazione e di una misuyazionè delle inimicizie personali. n èampo di os– servazione è assai vasto, 1~ possibilità di risultati inediti ec– cellenti. Nella nostra pochezza immaginiamo, tuttavia, che quando, giunto verso la fine delle indagini, il nostro psicologo si troverà a dover riassumere e a sintetizzare il frutto delle sue osservazioni, elaborando a tal fine una certa scala di in– tensità, uno dei posti più alti dovrà riservarlo alle inimicizie e alle gelosie degli specialisti, particolarmente dei dotti e dei letterati. Eravamo ammaestrati da codesta esperienza quando ci è accaduto di leggere su un giornale svizzero l'attacco a fondo, la stroncatura si direbbe da noi, che il professor Ropke ha indirizzato alla memoria dell'economista inglese John Maynard Keynes e abbiamo finito per convincerci che se la misericordia divina non ha confini sono pure senza confini la gelosia e l'invidia dei granQ¼uomini o di coloro che si ritengono tali. 1 Wilheìm Ropke è un pezzo che si agita per fare· da maestro a questa povera umanità de; secolo ventesimo, ma le sue prediche sulla « terza via » e altre scoperte del genere non sembrano riscuotere troppo credito. Assai più fortunato• di lui è Jo Hayek che ha commosso i cuori e le menti dei businessmen americani per la sua esaltazione del liberismo econom,ico; più fortunato ancora lo Schumpeter, anche se d'altra scuola e d'altra tempra, che trova gran pubb:ico nei paesi anglosassoni e provoca discussioni e dibattiti accesi. In– vece il Ropke deve accontentarsi di mettere in vetrina le sue abilità nel modesto e circoscritto ambiente svizzero, senza amplificazioni pubbliçitarie e COJl scarsi risultati pratici. Que- e sto perchè, a parte i motivi contingenti della fama degli Hayek, nel moderno pensiero economico una figura gigan– teggia, imponendo l'ossequio a discepoli e ad avversari, quella dell'economista inglese Keynes, morto alla fine dello scorso maggio, dopo aver portato a termine la missione che i: Governo del suo Paese gli aveva affidata per la conclu– sione degli accordi finanziari con gli Stati Uniti e per la realizzazione delle istituzioni decise a Bretton Woods. Eb– bene, Ropke vuol convincere i suoi lettori svizzeri che Keynes è morto contrito dei suoi trascorsi dottrinali contro la pedis– sequa rimasticazione dei élassici; che egli non aveva più fede nelìe sue teorie che avevano traviato tanti giovani, ,ecc.; che, insomma, se fosse vivo, andrebbe a scuola da lui, Ropke. Noi ohe scriviamo non tenfamo cattedra di keynesismo per essere autorizzati ad una difesa d'ufficio dell'economista in– g,le<ie; se anbiarro ;pr-esoa padare <lellla stronca!IU'radel Riipke è stato perchè ne:!'introduzione e nella chiusa lo stesso Rop· ke prende a partito l'opera che diede per prima grande rino– manza a Keyn~s, quella sulle Conseguenze economiche del.la pace, ossia '1a critica alle clausole economiche del trattato di Versailles. Si tratta di una polemica in un certo senso di attua– iità, ed è peccato ~ia.stata condotta nel modo che è stata ~on– dotta e che il risentimento del Ropke per l'uomo famoso faccia ad ogni istante velo àlla sua doverosa serenità di studioso. Meraviglia assai poi che ad adoperare in modo tantb grossolano le proprie capacità critiche sia un uomo come il Ropke, cioè un tedesco di Weimar, .anche se ora fa il quieto cittadino svizzero. Bisogna dire che il Ropke ha apparentemente buon giuoco, perchè egli non fa che avallare la tesi che un giovane francese di ingegno, Etienne M11ntoux, espose in un pam•

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