Il Socialismo - Anno II - n. 7 - 25 maggio 1903

100 IL SOCIALISMO Carlo Gicle, esaminando tutta. la complessa materia addensata nei riparti dei varii paesi che concorsero all'Esposizione nel palazzo dell'Economia sociale, si domanda se è possibile dare una classificazione sodi– sfacente di tutte quelle riforme che hanno per iscopo di accrescere il benessere del popolo lavoratore. Tro– vare questa classificazione sodisfa lo spirito di ricerca eia un lato, ed abilita la ;ecnica delle Esposi::ioni a potere esporre in una maniera proficua e completa i risultati delle riforme sociali attuate nei vari i paesi. E gl' istituti sociali possono essere classificati o in base al loro carattere più saliente, o in base al fine, oppure in base alle sorgenti da cui traggono origine: Staio, Associa=ione, Patronato. ~fa il Gide mostra come in pratica ognuno di questi criteri non è sufficiente da solo a poter fornirci una classificazione· approssimativa– mente esatta delle provvidenze sociali, indirizzate al mi– glioramento di vita proletaria e sociale. Cita a tal pro– posito la famosa classificazione che ne aveva data il Leplay. Questi ave,va raggruppato tutte le riforme so– ciali in 6 gruppi principali, e cioè: 1° sforzi sociali per accrescere la parte del lavoro nelle industrie (parteci– pazione ai benefici, sindacati, ecc.); 2° previdenza; 3° di– minuzione del costo della vita e del costo di produ– zione (Coo1)crative di consumo e di credito); 4° focolaio domestico ccl igiene (Case operaie, Società cli tempe– ranza, ecc.); 5° miglioramento del personale; 6° mi– glioramento delle condizioni generali del popolo. In questa classificazione deve necessariamente acca– dere I' inconveniente che istituti sorti per fini diversi e di carattere sostanzialmente varii cadano sotto l'istesso grup1)0 generale. Ad ogni modo, nella Esposizione co– lombiana il Leplay abbandonò egli stesso questa clas– sificazione ed inventò tutta una costruzione di fabbrica, divisa in reparti longitudinali e laterali. Fece costruire tre reparti longitudinali che rappresentavano le tre sor– genti sociali delle riforme: e cioè nel reparto centrale fece esporre i risultati ottenuti eia.li' Associazione ope– raia, a destra le rirormc attuate dagli Stati dei vari paesi, e a sinistra fece porre tutte le riforme attuate dall'ini– ziativa padronale. Ognuno cli questi reparti era poi suddiviso in 4 altre principali classificazioni. Nella 1a classificazione si aggruppavano tutte le riforme attinenti all'aumento del salario ( IVages-living). Nella 2a classificazione si aggrup– parono gl' istituti vòlti al generale miglioramento del popolo operaio (social-lietterment). Nella i• tutte le ri– forme vòlte ad assicurare il domani. Nella 4a le riforme dirette ad assicurare la indipenden'-a dei produttori. Cosi per i fini della Esposizione, si misero in atto criteri logici molto utili per poter dare una rappresen– tazione sistemata di tutto ciò che è stato attuato nel campo pratico di quello che genericamente si chiama movimento sociale. Questo genere di Esposizione non è destinato ad avere mai un gran successo, perchè nei concorrenti manca lo stimolo ad esporre. I i produttore che espone i suoi articoli mira al pre– mio, e alla réclame. Ma il padrone che ha attuato un determinato sistema cl' igiene e di lavoro nella sua fab– brica non guadagna nulla nella superiorità dei prodotti. Purtuttavia l'Esposizione universale cli Parigi ha mo• strato il grande interesse che suscitò nel pubblico la sezione dedicata all'economia sociale, lvi, entrando, il popolo trovava la storia dei suoi dolori, delle sue vit• toric, delle sue sconfitte. Onde il presi<lente della Repubblica non esitò a dire che il pii.1 vivo interesse era stato suscitato dal palazzo dell'economia sociale. Ci dù degli utili ammaestramenti questa Esposizione? Essa può servirci come campo cli larga esperienza in materia di legislazione riformistica e di atti\"ità sociale. Una prima e assai caratteristica lezione possiamo ri– cavare dall'Esposizione di Parigi. Essa ha provato che eia.Ile Esposizioni precedenti a quest'ultima l'ingegno e l'attività umana non sono riusciti ad ottenere 11ess1111a nuQVa specie di riforme. Resta quindi confortata l'opi• nionc cli Leplay che in fatto di 1'1/onne sociali non v'è pili nulla da inventare! Cosi l'attività riformatrice che possono spiegare i poteri sociali è limitata in forme i-tereotipate e note. I progressi della meccanica all'Esposizione di Pa– rigi sono apparsi come un magico prodigio dell'uma– nità. E il secolo xix presentava tutta la lunga serie cli vittorie strappate alla natura matrigna. I.a macchina a vapore ad alta pressione esordisce nel 1 $QJ ; la locomotiva getta il suo sibilo vittorioso nel 18q; il telegrafo elettrico mette in comunicazione gli uomini degli antipodi con la rapidità del fulmine nel 1837; la fotografia viene a conciliare l'arte con la natura nel 1839; l'Oceano vede sole-are le sue onde dalle prime lince di battelli transatlantici nel 18-10; il telefono abolisce le distanze e rende prei-enti gli uomini pili lontani nel 1877; i raggi Ròntgen vengono a pe– netrare i corpi solidi nel 1895. Ogni anno una nuo,·a conquista della scienza, un perfezionamemo, un passo avanti nella via del dominio dell'uomo sulla natura. Ma che cosa l'uomo ha fatto, in questo secolo, a suo vantaggio? Come ha distribuito i nuovi tesori, strappati dal se·no della natura? Il museo di economia sociale è lì a mostrare che le riforme im.•entatc per lenire il dolore umano hanno già toccato il limite estremo, e non e' è più niente eia tro- \"are per sollevare i destini umani. • L'altruismo umano, l'interessamento per la prospe– rità pubblica, la pace sociale e il senso della solida– rietà, tutto ciò insomma che per il Leplay e il Gidc forma il fondo della economia sociale non sa, nè può manifestarsi altrimenti che nello stretto paradigma di riforme, di cui l'interessante volume ufficiale che ab- biamo dinanzi ci dà una esatta enumerazione. . Allora vuol dire che le forze segrete ed 01>erosc per il conseguimento dei più larghi orizzonti di prosperità e di giustizia sono riposte altrove che non in questo sche– mario cli riforme sociali. E la forza sta precisamente in quel movimento cli classe proletaria, da cui si viene formando, come natu– rale germoglio, l'organizzazione sindacale e cooperati- vistica. . Il Gicle pone il sindacato tra gl' istituti sociali che CO• stituiscono le sopra indicate classificazioni delle riforme. Invece il sindacato è un'arma assai sostanzialmente di– versa dalle riforme sociali. Esso è il principio stesso delle lotta cli classe concretate, in atto. Ed è eia esso che piglia nascimento ogni effettivo movimento verso I' a– scensione proletaria. Vedremo subito come sia l'istesso Gidc a confortare queste nostre vedute. Frattanto egli pur cade nell'errore cli mettere il sindacato tra gl' isti– tuti dovuti ali' associazione, dimenticando eh' esso è il principio stesso della associazione operaia, e che per– ciò è la fonte di tutti gli altri istituti di riforma. Lo schema fornito eia\ -Gide, così, è sommamente empirico cd impreciso. Il movimento sindacale con i suoi effetti non può essere confuso in una sola Esposizione con gli altri risultati di riforme sociali, siano padronali, siano di Stato. Ha dimostrato l'ultima Esposizione come le provvidenze spiegate dai padroni \'Crso gli operai siano i11forlf: dimi11u:io11e. Per riguardo <lelle 1~ro~vidcnzc sociali che discendono dallo Stato è anche chiaro che in tanto esse ne emanano, in quanto pili forte e più energica diviene la pressione delle classi lavoratrici. Il Gicle ha ;I coragg-io scientifico e spregiudicato di rintuzzare la vecchia scuola ortodossa che asseverava che il movimento sindacale era un'arma cli danno per le istessc classi lavoratrici. 11Giclc dù la parola alle

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