Rivista popolare di politica lettere e scienza sociali - anno IV - n. 18 - 30 marzo 1899

RIVISTPAOPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Direttore: Dr. NAPOLEONE COLAJANNI Doputato al Parlamonto Esce in Roma il I 5 e il 30 d'ogni mese Il ALIA: anno lire 5 ; semestre lire 3 - ESTERO : anno lire 7; semestre lire 4. Un nuniero separato s Oent. ~ AnnoIV. - N. 18 Abbonamento postale Roma30 Marzo1899. SOMMARIO: On. Dr. NAPOLEONECoLAJANNI:Bilancio dello Stato ed Eco• nomia Nazionale. LA RIVISTA: Le ultime elezioni protesta. ANGELOGuGLiuzzo : L'Italia in Cina. (Una conferenza del prof. Richieri a Palermo). Prof. MARIORAPrsARDl: La religione di V. Alfieri. Prof. C. A. CoNIGLIANI: Sul libro del Graziadei. Lo ZoT1co : Jingoismo. Dott. ENRICOMEYNIER:L'avvenire del Cattolicismo. Dr. VITO SrnrLtA: Disboscamento e malaria. GIUSEPPEPARATORE: Tragedie nell'Arte. SperimentalismoSociale. 'R..ivistadelle Riviste. - 'R..ecensio11i. Gli abbonati che ancora non si sono messi in regola coll'Amministrazione sono pregati vivamente di farlo colla massima sollecitudine dirigendo cartoline-vaglia all'On. Dr. NAPOLEONE COLAJANNI - ROMA. Si ricorda, per norma, che gli abbonati annui, hanno diritto, aggiungendo 60 centesinii a ricevere in premio il SOOIALIS MO del Dr. Napoleone Oolajanni (2.• edizione anno 1808) un volume di 328 fittissime pagine posto in vendita al prezzo di Lire 4. Dire, che i premi rendono semi-gratuita la " Rivista ,, - i nostri amici devono riconoscerlo - è dire, dunque, anche meno della verità. L' A)DUNISTRAZIONE. ~~ / BilanncieollSotateooEconoNmaizaionale L'articolo pubblicato dall'on. Sonnino nella Nuova Antologia del 16 Marzo (Appunti di Finanza) ha sollevato una viva ed interessante discussione nella stampa e nei circoli politici italiani, di ordinario apatici e sonnecchianti. Se altro merito non avesst: tale articolo, al suo autore si dovrebbe essere grati per la momentanea attenzione, che ha richiamato su di un argomento tanto importante, qual'è quello della finanza dello Stato, che per correlazione necessaria conduce ad esaminare le condizioni eco nomiche della nazione. Si sa che l' on. Sonnino, quando si occupa del bilancio dello Stato, da anni fa la parte del diavolo nei processi di beatificazione. Egli vede sempre tutto nero, mentre al suo conrradditore attuale p_iù eminente, l'on. Lu;gi Luzzatt;, per opposto vizio visivo, tutto sembra roseo. I giudizi e le previsioni di entrambi certamente sono dipendenti dai rispettivi temperamenti, e si può anche ammettere che l'uno e l'altro siano affetti da daltonismo eco· nomico-finanziario. Giustizia vuole, però, che si riconosu che in questo quarto d'ora, e, in seguito alla lunga e dolorosa esperienza che i contribuenti itaìiani hanno acquistata sulle previsioni dei vari ministri delle Finanze e del Tesoro, il pessimismo dell' on. Sonnino risponde maggiormente alla verità e riesce più ,~tile perchè è un grido Ji allarme, che non può essere soffocato dalla verve spiegata dall' on. Luzzatti nella risposta. che ha visto la luce nella Tribuna (:8 Marzo 1899). Ali' on. Sonnino, i11oltre, bisogna esser grati della rude franchezza - in lui abituale - che spiega nd trattare la vitale quistione tributaria. Egli, pur essendo, forse, alla vigilia di riassumere la croce del potere, non ricorre a volgari infingimenti, ad ipocrite attenuazioni, per mascherare il proprio pensiero, ma si rivela tale quale è, e dice a tutti: eccehomo ! I deputat\ gl'italiani sanno quello che egli vuole, e quanto possono attendere da lui. Sonnino onestamente e coraggiosamente ha detto : contribuentiavvisati mezzo salvati. Questa onestà e questo coraggio sono rari, al giorno d'oggi rarissimi, e vanno lodati. * * * Il rappresentante per San Casciano fa le sue previsioni per l'esercizio in corso e per quello prossimo (1899-1900) ed espone il proprio programma. Prevtde nell'anno che va a cominciare col 1 Luglio 1899 un deficit di circa 33 milioni di lire: e riassume il proprio pensiero sulla condotta da seguire in queste parole: ccnon parmi oggi politi- « camente prudente il far conto su nuove tasse, « come d' altra parte è grave errore il parlare di cc riduzioni o di abolizioni di tributi. L'unico ri- " medio serio, politicamtnte, finanziariamente ed e< economicamente, consiste nel lasciare da un canto « posare l'entrata dandole tempo e modo di svol• e< gersi col naturale incremento della attività e della e< ricchezza nazionale e di frenare dati' altro l' au - <e mento delle spese ». Con una certa apparenza di ragione si è rimproverato a colui che è stato chiamato <e il finanziere della reazione >>, la poca fortuna che egli ha nel mestiere di profeta; poichè da minitsro aveva

RIAVJSTA POPOLARE 'DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI previsto un disavanzo di 18 milioni per l'esercizio 1898-1899 ed ora egli stesso confessa che, non ostante l' aggravio imprevedut0 dei sei milioni di interessi per il prestito africano, il_ deficit risultò di poco maggiore ai sei milioni. ·Ma è innegabile che un deficit ci fo, e sarebbe stato certamente maggiore, e di molto, senza il pessimismo dell' oo. Sonnino che lo indusse alla riduzione della rendita ed alle nuove imposte. ( r) In quantO al programma pel futuro, che si riduce al;Jreno nelle spese ed al mantenimento dello statuquo, nel sistema tributario, esso rassomiglia come una •goccia d'acqua ad un'altra, alla famosa. bandieradel nulla sveotolat;. dall'on. Giustino Fortunato nel discorso di Palazzo Sdn Gervasio, di cui, perciò, ha tutti i difetti e tutti i pericoli. Li aggrava, anzi, per certe contrad_dizioni, che più in là rileverò. ,ii\ ~.Rinunzio ad entrare nel dibattito tra l'on. Sonnino e !'on. Luzzatti sulla quistione bancaria e sull'aggio che delizia gl'italiani; i due campioni della finanza nostra si palleggiano le accuse e finiscono col rivelarsi tutti e due colpevoli; sicchè la conclusione più giusta e più pratica dal punto di vista dei contendenti sta in quella reciproca indulgenza invocata dall'on. Luigi Luzzatti, che ricorda l'aurea sentenza di un santo padre: In necessarfo unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas. E la carità è bella e buona nella discussione e nell' assegnare le rispettive responsabilità; ma non sarebbe male se i ministri ne sentissero un poco di più verso il povero Pantalone ! La quistione degli ordinamenti bancari, della condotta degli istituti di emissione e della ripercussione che gli uni e l' altra possono avere ed hanno avuta sinora sul cambio, è troppo speciale e tecnica perchè possa essere trattata in questa modesta rivista. Giova, invece, esaminare con se• renità ciò che vi ha di vero, di esagerato e di erroneo in altre accuse lanciate contro Sonnino o da quest'ultimo_ scaraventate contro gli altri e sui pro• positi manifestati pel futuro. Qualche giornale repubblicano è stato ingiusto nel rimproverare a Sonnico che egli si sia mostrato tenero soltanto pei proprietari e per gl' industriali e speculatori, attribuendo a lui la responsabilita della perdita, cui andrà incontro la finanza dello Stato per i premi alla marina mercantile, per la protezione all'industria dello zucchero e per il minore introito di circa dieci milioni all'anno che quanto prima si verificherà in conseguenza di quella grande bricconata che si chiama acceleramento nella formazione del nuovo catasto, che dovrebbe riuscire alla perequazione dell'imposta fondiaria e che darà luogo ad una più stridente ed odiosa sperequazione, che costerà alla nazione circa 500 milioni. La verità è un pò diversa. L'on Sonnino enumera e constata le cause di diss.:sto per la finanza-; tra le quali stanno le sopracennate : niente altro. A suo onore, anzi, deve ricordarsi che fu proprio lui, in una all'on. Boselli, che ebbe il coraggio di (1) L'on Boselli nella sua relazione sul bilancio di assestamento dell'anno in corso pare che dia ragione agli ottimisti, e prevede che chiuderemo con un piccolo avanzo. Ma anche lui si accorge della instabilità del nostro pareggio e dà moniti severi al governo e agli itali:ini. A lui, e giustamente, la prudenza non sembra mai troppa. presentare un disegno di legge, che mirava a diminuire le disastrose conseguenze della formazione del nuovo catasto; e fu grave errore dell'on. Di Rudinì, - commesso contro le proprie convinzioni e per semplici ragioni parlamentari - quello di essere ritornatO alla applicazione pura e semplice della infausta legge del 1° Marzo 1886. Alla sua volta, però, l'on. Sonnino si chiarisce ingiusto e di corta veduta quando move alcuni rim• proveri ai suoi predecessori. Egli dà buon giuoco all'on. Luzzatti, che gli ricorda: essere stata vera sapienza di uomo di StatO il salvataggio del Banco di Napoli, che poteva provocare col crach del suo credi:o fondiario un disastro peggiore di quello della Banca Romana ; ed avere meritato le benedizioni dei municipi di Sicilia e di Sardegna alleviati seriamente - senza detrimento dell'Erario e del Tesoro - dai provveJimenti, che furono estesi a tutta l'Italia. Ma non comprendo perchè lo stesso on. Luzzatti respinga sic et simplicìter la paternità dell'abolizione del dazio di uscita degli zolfi senza aggiungere che tale misura era doverosa e contribuì alla costituzione di quella Società ~nglo-siciliana, cui si deve Jl risorgimento dell'industria zolfifera, ch'è tanta parte dell'industria nazionale. Chi si preoccupa esclusivamente del pareggio aritmetico nel bilancio dello Stato non può che plaudire all'on. Sonnino che, fiero ed inesorabile, dopo avere esposta la lista paurosa dei nuovi impegni finanziari, stabilisce il suo nec plus ultra in quanto a nuove spese, anche quando colle medesime si deve provvedere a bisogni nuovi ed impellenti, a riparare ingiustizie flagranti e riconosciute. Si potrebbe dire che il finanziere è spietato; ma nessuno gli negherebbe una qualche lode, percbè anche il pareggio aritmetico nel bilancio dello Stato ha il suo grande valore. Ma un senso di sconforto invade l'animo dei meglio disposti verso !'on. Sonnino quando si apprende che egli - tanto rigido nel negare le nuove spese per l'istruzione, per i lavori pubblici, per i pubblici servizi, per le pensioni agli operai ecc. - egli, tanto feroce nel sostenere il suo nichilismo finanziario, si contraddice e rimangia il proprio programma ed ammette le nuove spese soltantO per aumentare i bilanci della Guerra e della Marina..... Chiede cinquantamilioni per la sola trasformazione dell'artiglieria! E quest'uomo dal cuor duro verso i contribuenti, che si ribella contro ogni nuova spesa, non trova una sola parola di biasimo contro la nuova follia chinese, che potrà fare da pendant alla follia africana, che costò ali' Italia mezzo miliardo circa in oro sonante, molte migliaia di suoi figli rimasti laggiù a fecondare le sterili ambe abissine ed una brga ferita al suo onore ! Questo silenzio è tanto più doloroso in quanto che si sa che l'on. Sonnino intimamente è convinto che la nostra politica coloniale è una vera follia, deplorata anche dal suo antico collega, l'on. Boselli, nella accennata relazione con queste precise parole: vi sonopericolinell'impetodi espansionicolonialie commerciali cheinvade tt1ttoil mondoe apretanti orizzonti, tutti seducentiall'immaginazione,nontutti sicura promessa di utile operosilà. Alcune delle nuove spese stigmatizzate acremente dall'on. Sonnino possono essere giustificate dal sen.

'RJP'ISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 343 timento di giustizia; altre possono essere additate come riproduttive, ptrchè aiutando lo sviluppo dell'economia nazionale farebbero riprendere dallo Stato colla sinistra mano ciò che esso dà colla destra. Ma come si possono giustificare le ingenti e nuove spese militari? come non accorgersi che il disavanzo previsto diverrebbe spaventevole .::olla balorda intrapresa Chinese ? I s1cerdoti del vampiro contemporaneo rispondono ordinariamente che le spese militari rappresentano il migliore e piu indispensabile fattore della prosperità perchè sono il premio di assicurazione per la vita della nazione. Questo certamente potrebbe rispondere l'on. Sonnino; ed egli dimentichertbbe con ciò che non si rende più sicura la difesa dello Stato quando gli armamenti sono sproporzionati alle condizioni economiche della nazione, e che la ridda infernale delle nuove scoperte scientifiche e delle applicazioni tecniche nel campo belligero costringe ad incessanti trasfqrmazioni e fa trovare sempre impreparate le nazioni, che sono economicamente esaurite nel momento dello scoppio di una guerra. Nulla, davvero nulla, ha insegnato agli italiani, la sconfitta tragica della Spagna militarhta? * * * Non si limitano a quelli suesposti gli errori dell'on. Sonnino. Egli respinge l'idea di una riforma tributaria e si aftìda all'adagio: queta non movere. Ma di questa riforma è tanto eviden:e la necessità che s'impone a lui stesso, che l'accetta sebbene in forma remissiva ed a denti stretti, come ha osservato l'Economista di Firenze. E non può non imporsi in nome della giustizia quando si sa che i minori introiti e le spese pre • viste dallo stesso Sonnino per la perequazionefondiaiia, per la protezione accordata agli zuccheri ecc. equivalgono ad un benefizio dei proprietari, degli industriali, degli speculatori. E i proletari, e i lavoratori magg· ormente oppressi dal peso schiacciante delle imposte indirette non hanno diritto ad un sollievo, anche piccolo e temroraneo? Queta non movere !... E se rispettando uno statu quo iniquo si pote se essere sicuri che la tranquillità verrebbe mantenuta e sarebbe duratura :;i potrebbe passar sopra alla iniquità stridente. Ma i tumulti e le repressioni sanguinose della primavera del 1898 tolgono la sicurezza anche ai più crudeli politici, che per mantenere la tranquillità si affidano al cannone, ai tribunali strnord:nari, e alla galera! D'onda l'assoluta necessità di una riforma tribu• tarìa, di cui sarebbe un primo acconto l'abolizione del 'dazio sulle fitine. M1 questa misura intaccherebbe la solidità del bilancio dello statO ed arrecherebbe un colpo irrepirabile nel bilancio di moltissimi comuni - specialmente del mezzogiorno - eh'! nel dazio sulle farine trovino il loro principale cespite di entrata. Non si p1,ò, dunque, abolirlo senza trovare adeguati compensi; e nella impossibilità di sostituirlo con altre imposte, ne soa• turisce evidente la indicazione - esposta dagli amici G1ravetti e Pantano in seno alla Commissione dei Quindici - di addossare tutta al'o Stato la conseguenza finanziaria di tale abolizione e di riparare la larga falla che si aprirtbbe ntl suo bilancio con altre c-conon,ie pos,ib;li solr~nt0 nei dne mini~t •ri milit1ri a vantaggio dei q t1ali l'on. Sonnino consiglia uuove sp( se! Del resto è bene ripetere che certi sgravi non intaccano che in apparenza e momentaneamente il bilancio dello Stato : essi sanano le ferita, che fanno perchè ravvivano la economia nazionale e rendono più produttive le imposte, che rimangono: cogli sgravi la materia imponibile, cioè la ricchezza vera, si accresce ed armonizza, in ultimo, il pareggio aritmetico nel bilancio dello stato coll'assetto economico della nazione. ~ * * Senza accorgemene sono andato troppo oltre; ma la importanza della quistione, che è di attualità in vista delle imminenti discussioni parlamentari, è tale -che i lettori della Rivista vorranno perdonarmi la lunghezza di questo articolo, a cui non posso mettere termine senza insistere su questo rapporto, tanto spesso dimenticato, tra il bilancio dello Stato e l'economia nazionale. L'on. Sonnino si difende fieramente dall'accusa di miopia lanciatagli da chi lo crede preoccupato solo dt I mantenimento del bilancio aritmetico dello Stdto in contrasto col bilancio economico del paese; « quasichè, egli dice, il deficit aritmetico dell'og - « gi non fos~e la causa determinante e il prean- « nunzio fatale di un aumento di fì5calismo pel « domani. Il p1reggio aritmetico non è con- « dizione sufficiente, ma è condizione necessa• « ria di qualsiasi ripresa normale e durevole del- « l'economia nazionale». E in ultimo soggiunge: (( non si tratta qui, secondo la distinzione molto (< comoda con cui pretenderebbero di chiuderci la « bocca i partigiani della fiaanza leggera a base « di riduzione di tasse e di scialo nella spesa, di « scegliere tra due scuole diverse, di cui l'una « voglia l'equilibrio del bilancio come scopo a sè « stesso facendo completa astrazione dell'economia « nazionale, e l'altra c0nsideri invece come indis- (< solubilment<! associati questi due grandi interessi. (< Si tratta bensì dello asservire o meno la buona « finanza a scopi di op;,ortunismo parlamentare, « tutto sacrificando, anche i maggiori interessi na- (( zionali del domani, alle preoccup1zioni della fa- « cile popolarità del momento ». Indubpiamente e' è del vero in questa ritorsione di accusa, che tenta abilmente !'on. Sonnino; ma egli appassionat0, accecato anzi dal miraggio della solidità del bilancio dello Stato non si accorge, che nel npporto dell'ultimo colla economia della nazione si deve guardare soprattutto alla mimra senza potere stabilire criteri assoluti. Ora, tenendo conto della misura del rap;,orto egli dovrebbe avvedersi che il deficit economico della naziore è male presente gravissimo, che, trascurato, renderebbe inguaribile il deficit aritmetico dello Stato. Che sia questa la verità dolorosa è stato ripetutamente dimostrato da me e d2. altri in questa Rivista, e tornerò a dimostrarlo un altra volta colle parole e colle cifre raccolte dall'egregio amico personale Giulio Fioretti, che fece opera veramente lJuona pubblicando il suo libro : Pane, governo e tasse. Per ora mi limito a conchiudere rivolgendomi agli amici ed avversari dell'on. Sonnino per dire loro che sino a questo istante tutti hanno fatto a gara nel dare addosso al bilanc:o dello Stato senza migliorare le condizioni del bilancio della nazione. Il giudizio mio severo potrà sembrare suggerito

344 RIVISTA POPOLARE Dl POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI da partigianeria politica, che vuole coinvol~ere tutti i partiti monarchici in unico biasimo ed in unica responsabilità. Mi sia lecito perciò di appelbrmene a quello di un giornale insospettabile nella sua devozione alle vigenti istituzioni, che volto all'on. Sonnino e all'on. Luzzatti chiede: « È o non è vero che il fisco ha cresciuto sotto il vostro « regno, e dopo, le sue acerbità, e che esso esercitl una pres• « sione tributaria soffocante, sia per la prolungata sperequa- « zione, sia per la rnaocanza di ogni criterio economico ac- « canto al fiscale, e ciò senza che si esca dal marasma in cui « viviamo ? È o non è vero che dall'uno all'altro un pro- « grarnma finanziario completo, propriamente detto, non è v uscito, come lo dimostrano del resto le accuse stes~e reci- « procarnente lanciate e che provano largamente come si sia « vissuto di anno in anno, giorno per giorno. coll'acqua alla « gola, con più o meno vastità d( belle frasi, atte a strappare « l'appi.uso della Camera, ma senza quella vastità di concetti, « quella complessità di analisi e di effetti, cause e concause, « senza quel processo completo evolutivo e sistematico, che « appunto deve rappresent:ire un programma di Governo a « larga base, di fronte al contribuente e all'org~nismo politico, « dotato di vitalità diuturna e conseguente? E o non è vero « che non ci lVete risollevati dagli errori precedenti e che « neppur oggi vi presentate con un progetto organico e com- « pkto 1 » Questo scrive l'ultra monarchico Fanfulla (18 Marzo) e lo sottoscrive il repubblicano Dr. NAPOLEONE COLAJANNI. Nel prossimo numero cominceremo la pubblicazione di un importantissimo scritto d'el deputato socialista belga E. WANDERVELDE sulle • CITT A "PIOYRE,, e uno studio della massima attualità di AGOSTINO SAVELLI sui CONFLITTI NAZIONALI NELLA 11/ONARCHIA AUSTRO-UNGARICA. LE TRE ELEZIONI PROTESTA Ottomilasettecentocinquantadue voti raccolti complessivamentr a Forlì, a Milano, a Ravenna sui nomi di Gustavo Chiesi, di Filippo Turati, di Luigi De Andreis sono stati una degna risposta agli sparafucili della Reazione che credevano coi provvedimenti politici eccezionali, ormai passati in seconda lettura, di aver sbaragliato il Libero Pensiero. I nomi dei tre reclusi politici sono usciti trion - fanti dall'urna, e il movimento in loro favore è stato così irresistibile, ha talmente rispecchiata la coscienza del Paese, che i partiti dell'ordine - che, a sentirli, pochi mesi or sono ormai eran padroni del campo - non hanno avuto nemmeuo il coraggio civile di fare una platonica protesta. :I! inutile, ormai è cosa vecchia : le idee non sono mai state soffocate, nè coi patiboli, nè colle baionette, figurarsi poi se colle leggi sulle associazioni, sulle riunioni e sulla stampa! Anzi, nella compressione, dopo un breve periodo di sosta, che forse non è altro che un periodo di raccoglimento e di adattamento a nuove forme, si sviluppano anche maggiormente le loro forze, e vanno avanti più presto: gli esempi si contano a mille. Se effettivamente la storia fosse maestra dellavita, e in pratica ciò non si risolvesse in una menzogna convenzionale come tante altre, anche i sacerdoti di Torquemada, che aizzano alla Reazione più sfrenata, dovrebbero finire col convincersi, coi fatti alla mano - di tutti i tempi e io tutte le n.tzioni - di battere una falsissima strada che conduce anche più rapidamente al punto opposto preciso ch'essi vorrebbero raggiungere. Ma come sperare che costoro, ragionando un quarto d'ora colla testa, si ricredano, quando si vedono dei giornalisti come quei della Gazzetta di Parma rimpiangere che a Milano « qualcunodotato di maggior iniziativa» di quell'aPima candida del generale Bava Beccaris, non abbia preso, senza tanti complimenti Chiesi, Rcmussi, Turati, De Andreis e Ii abbia «fatti incol1are al muro con · « quattro fudate nella schiena,salvo a discuterese la « proceduraera corretta ? >> Per certa gente - e sono moderati ! ! - che sta molti gradini più in giù del boia che almeno eseguiva la condanna dopo un più o meno regolare giudizio -, per certa gente che è un di più il qualificar.:, veramente non ci sarebbe di consigliabile che il manicomio criminale o un pò d'applicazioni delle disposizioni del Codice Comune per gli eccitatori all'assassinio politico. Incollare al muro e incollare là sul tamburo, senza nemmeno il disturbo di un qualunque giudizio ! Altro che il famoso « assetati di sangue » che è costato a Gustavo Chiesi r.2 anni di condanna! Ma, anche in questo caso, noi preferiamo sempre la libertà di stampa perchè nelle parole dei gazzettieri moderati parmensi, in quelle parole che nauseano e rivoltano, e non possano a meno che nauseare e rivoltare ogni onesta coscitnza, noi vediamo la piu terribile delle condanne per chi le ha scritte. Sl, sì, del resto, gridino pure quei forsennati, si sbizzariscono un pò quanto vogliano; invochino magari una notte di S. Bartolomeo di repubblicani, di socialisti, di radicali : 87 52 elettori, e gli altri che si aggiung,;ranno quanto prima nel Collegio di Cavallotti, non s'incollano così facilmente con quattro fucilate per ciascuno nel muro. LA RIVISTA. L'ITALIA IN CINA (Una conferenza del prof. Richieri a Palermo) Il prof. Giuseppe Richieri, insegnante di geografia nell'Università di Palermo, nel suo corso libero di storia delle colonie ha tenuto una conferenza sull'Italia in Cina, che richiamò un uditorio numerosissimo e assai scelto. Il problema affrontato dall'illustre professore ha tale importanza per l'avvenire d'Italia, che sono certo di fare cosa gradita alla direzione della Rivista mandandole un sunto della dotta conferenza. Il fatto che l'opinione pubblica, appena cessate le ansie più vive, e non ancora ristorati i danni morali e materiali cagionatici dall'impresa africana, non si è saputa pronunziare sulla impreveduta quistione della nuova avventura coloniale; il fatto che i giornali più autorevoli si mostrano ondeggianti nel giudicarla, denotano una impreparazione che fa obbligo a chi è studioso di queste materie di parlare e parlare liberamente. Senza reticenza alcuna il prof. Richieri nella sua conferenza si è pronunziato contrario alla nuova impresa, perchè non può recare all'Italia nessun vantaggio nè ora, nè appre!so, e del suo asserto nella sua conferenza ha data una dimostrazione esauriente. L'Italia andando a San Mun si potrebbe proporre di fondarvi una colonia o un possedimento; colonia, se intendesse dirigere là la propria emigrazione tenendola avvinta alla madre patria coi legami d'una protezione

'R..IVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 345 sempre efficace e d'una tutela previdente e benevola, in guisa che le generazioni avvenire sentissero sempre i legami del sangue e della razza; possedimento, se con le navi e i soldati volesse garantire la sovranità sul territorio e sulla p:,polazione che lo occ11pa, senza curarsi che gente italica vi prenda stanza. lo quest'ultimo caso resterebbe da esaminare qu1le dovesse essere il carattere del possedimento, se per difesa o per sfruttamento o per vanagloria. Si può pensare davvero di fondare delle colonie in Cina, di dirigere cioè colà delle correnti di immigrazione? Chiunque, appena conosca gli elemeati della geografia, sa che è ridic-Jlo peniarlo. L'Impero Chinese con una superficie di I I milioni di Km. quadrati ha una popolazion~ di 357 milioni, quasi tutta riconcentrata nella Cina propriamente detta, la quale ne contiene 346 milioni su 5,396,000 chilometri quadrati. Se confrontiamo queste cifre con quelle rispettive dell'Europa, possiamo dire che su per giù mentre la superficie della Cina è poco più della metà dell'Europa le popolazioni sono quasi eguali, e infatti mentre la popolazione relativa è in Cina di 64 abitanti per Km. quadrato, in Europa è di 38 appena. Che se poi passiamo ad esaminare le condizioni della provincia in cui dovrebbe svolgersi la nostra sfera d'influenza, noi troviamo che il Ce-Kiang ha con una superficie di 95,000 Km. (uguale perciò, all'incirca, a quella dell'Italia settentrionale, tolta la Liguria) una popolazione di 12 milioni di abitanti, cioè ha una popolazione relativa di 124 abitanti per chilometro quadrato, quasi uguale a quella dell'Italia settentrionale che è di 125. Si può pensare sul serio di dirigere al CeKiang la nostra emigrazione? E si badi che le provincie limitrofe sono anche più abitate; il Fu Kian a Sud ha 170 abitanti per Km.; il Nyan-Uei a N. E. ne ha 148, il Kiang-su a N. ne ha 210. Un' altra considerazione ba fatto il prof. Ricbieri per chiarire sempre più l'assurdità del pensiero d'una colonia, e cioè che la popolazione della Cina è cosi densa che in essa si sono manifestate delle vaste correnti di emigrazione, a frenare le quali, a respingere cioè il così detto pericolo giallo di cui tanto si parlava alcuni anni fa, l'America e l'Australia hanno dovuto fare delle leggi proibitive, quelle leggi che ora gli Stati Uniti minacciano di rinnovare contro l'emigrazione italiana. Colonia, dunque, niente. E, allora, un possedimento che si vuol fondare ? Lasciamo da parte le considerazioni d'ordine morale che ci potrebbero essere suggerite dal fatto d'una violenta occupazione; è certo che per fondare un possedimento bisognerà impadronirsene e poi bisognerà conservarlo. Ora non è a credere che tutto ciò sia assolutamente facile per il Ce-Kiang, data la· sua estensione e la sua popolazione. L'idea che si ha della debolezza della Cina è erronea, in quanto che si confonde la debolezza - reale - del governo cinese con quella - affatto immaginaria - della nazione, e la debolezza del governo prova appunto la difficoltà di mantenere soggetto quel popolo. Non si riflette che è il governo dei dominatori Manciù, (ossia la dinastia Tsing che venendo dalla Manciuria cacciò nel 1644 dal potere la dinastia dei Ming) quello che rovina, sotto l'azione di numerosissime società segrete, dai nomi piu strani, che lavorano tutte a liberare il paese dal giogo straniero. Non si riflette che il Cinese, quando si batte per una causa che sente, è tanto valoroso e sprezzatore della vita, quanto è laborioso e frugale nelle contingenze abituali. Basta a provarlo il ricord0 della ribellione dei Tai-ping, anche a voler tacere della sanguinosa sconfitta che le Bandiere Nere inflissero ai Francesi a Langsow; quella ribellione avvenuta appunto nel Ce-Kiang durò nientemeno che 15 anni dal 1848 al 1863, costando la vita a 2 milioni di persone senza contare gli enormi danni arrecati dalle devastazioni, anzi dalle distruzioni di intere città. Si aggiunga che in Cina vi ha un estesissimo numero di letterati, spesso famelici e turbolenti, d'un fanatismo incredibile, e si veda se si P?Ò affro_ntare a cuor leggero la prospettiva d'una guerra dr. c~nqm~ta. E un altro d~to citò anche il prof. Rich1en a dimostrare la quasi certezza di dovere affrontare una insurrezione se volessimo stabilire colla forza la nostra dominazione in Cina. Le tasse in quell'impero sono affatto minime; ascendono tutte insieme, giusta la valutazione del console inglese a Shang-hai, a 218 milioni e mezzo di franchi, cioè appena 62 centesimi per anno a testa. L'Italia che in fatto di metter tasse è maestra, non potrebbe fare a meno di imporne - e gravosissime - anche colà, tanto piu che il solo invio di una nave da guerra per la enorme distanza e per le tasse di passaggio del canale di Suez verrebbe a costare intorno a mezzo milione di lire. Si dirà, e lo ha detto il ministro Canevaro, che le aspirazioni del Governo si restringono soltanto alla baia di San-Mun per farne un deposito di carbone. Intanto in quella regione non vi sono giacimenti carboniferi, e le navi mercantili se ne provvedono facilmente da per tutto. Sarà dunque per le navi militari e solamente per il caso di una guerra; ora quali ragioni di guerra può avere l'Italia nel Pacifico? Se poi si vuole ammettere che l'occupazione potesse avere per iscopo di proteggere il commercio, c'è da oss~rvare in contrario non solo eh~ questa ragione manc:i, s100 a tanto che prevarrà la pohtica della porta aperta sostenuta dall'Inghilterra, e per la quale le nostre merci penetrerebbero in Cina con le stesse facilitazioni di quelle delle altre nazioni, ma anche - e questa considerazione è gravissima - che la baia di San Mun non potrà mai essere ua porto commerciale perchè, come dice il viaggiatore tedesco Richthofen tutto il comm~rcio del CeKiang ha il suo sbocco naturale verso Ning-po. L'Italia dunque si è cacciata in questa bega senza nemmeno conoscere sommariamente le condizioni di fatto del luogo prescelto, esempio solenne della nostra deficienza, quando tutte le altre nazioni prima di muoversi mandarono delle missioni sui luoghi a studiare quello che avrebbero potuto fare: basterà ricordare la missione della Camera di c?mmercio ~i L~one, di cui già si è pubblicata la relazione, compmtas1 dal 95 al 97; quella giapponese inc?ntrat~si con la prima, che visitò il Yang-tze; la miss10ne inglese della camera di commercio di Krefeld, Brema, ecc., oltre non pochi viaggiatori di questa nazione. Il prof. Richieri passò quindi ad esporre i dati del nostro commercio con la China nel quinqu~nnio 1892-96. 1 generi che noi più importiamo in Cina sono il corallo greggio e lavorato e i cappelli di feltro, due generi che si capisce facilmente non essere suscettibili di grandi aumenti ; la cifra che esprime la media del quinquennio è veramrnte meschina ; su per giù sono entrati in China ogni anno 800 mila lire di merci italiane. Anche l'esportazione dall'impero non può dirsi cospicua non raggiungendo in media che i 14 o 15 milioni all'anno, di cui una metà all'incirca rappresentati dalla seta, greggia e filata, cioè da un articolo che fa la concorrenza alla nostra produzione. Questi dati, me,chini in sè stessi Io diventano di piu se si confrontano con quelli di tutt~ le ii_nporta~ioni e le esportazioni della Cina nello stesso periodo d1 tempo; non tenendo conto delle merci trasportate con battelli cinesi, le importazioni furono in media di 550 milioni all'anno, le esportazioni per 800 milioni circa. Il conferenziere notò anzi a questo proposito che delle nazioni che hanno più traffici con la China, quali !a G_ranBrettagna, gli Stati Uniti, la Germania, la Russia, 11Giappone, la Francia, quella in cui lo sbilancio tra l'importazione dalla China e l'esportazione in China è veramente considerevole è la nostra sorella latina come si può vedere da questi dati: pel 1895, importazio~e 137 mil_ioni, espo_r~azi_on3e; pel 1896, importazione 79, esportazione 5 m1hom. Parallelo allo sviluppo del commercio è quello della navigazione: su 50 linee regolari di battelli a vapore che arrivano a Hong-Kong, appena una è italiana, sovven-

RIVISTA POPOLARE 'DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOC\ALl zionata per giunta dal governo per fare un viaggio al mese! Il prof. Richieri notò in seguito che nemmeno per l'avvenire è da sperare un notevole incremento di relazioni tra i due paesi, almeno fino a tanto che a noi mancheranno i capitali che sovrabbondano invece in altre nazioni, fino a che persisteranno l'alto interesse della re_ndita e le tasse schiaccianti. Se inglesi, tedeschi, ecc. vogliono allargarvi la loro influenza è perche altrimenti subirebbero i danni rilevantissimi di dover troncare gli affari avviati (ciò che noi non possiamo temere), e perchè aspirano a impiegare i loro capitali nel!t: costruzioni ferroviarie e nella esploitation delle miniere. Ha capitali l'Italia per questo? Pensiamo alle miniere di Sardegna, ai pozzi petroliferi del Piacentino, che sono in mano a~li stranieri, e la risposta è subito data. Quanto alle ferrovie, è meglio non parlarne per noi che ci troviamo in Sicilia. Il prof. Richieri a questo punto accennò anche alla possibilita non molto remota dello sviluppo industriale della China, che potrebbe costituire un grave pericolo per l'Europa, dicendo come l'aggio fortissimo del taels, la moneta chinese d'argento, costituisce per quell'impero una barriera protettiva più valida di qualsiasi legge, e come la resistenza al lavoro dei chinesi. i loro meschinissimi salarii adeguati ai loro pochi e rudimentali bisogni, indurranno i capitalisti d'Europa a fondare in Cina degli opifici, cosi come gl'Inglesi hanno fatto in India con grave danno delle industrie della madre patria. Perchè dunque siamo andati in China, quando al governo cinese non possiamo domandare lavori per un commercio che non esiste? quando non abbiamo. capita_li da impiegare in imprese ferroviarie e in coltivazioni di miniere, come le altre nazioni ? Ecco una domanda che non ha risposta. San Mun non può colonizzarsi; non potra essere un possedimento per difesa; un possedimento per trarne profitto, neppure. E allora la conchiusione è che noi vogliamo stabilirci cola per un falso amor proprio nazionale, per vanagloria soltanto. In questa impresa il nostro governo è stato spinto, bisogna confessarlo, da contagio psichico. E cosi facendo ha dimenticato i veri interessi, le reali condizioni della nazione per correre dietro a vane illusioni, a fallaci sogni di grandezza, mentre l'Italia avrebbe da seguire una sua politica coloniale; una vera e propria politica coloniale, guidando, dirigendo, proteggendo gli emigranti Italiani nel Brasile, dove spesso sono tratti a sostituire gli schiavi negri, e nel resto dell'America del Sud, dove pur troppo, dopo la prima generazione, il sentimento nazionale si perde. Grandi applausi e strette di mano al dotto profe~sore, al quale io debbo chieder venia di questo pallido sunto del suo magnifico discorso. ANGELO GUGLIUZZO. ~ LareligiodnieV.Alfieri Le opere del!' Alfieri, scrisse il Foscolo, non ci lasciano certi su la qualità delle sue opinioni religiose : le tragedie contengono, è vero, quà e là dei sarcasmi contro i papi, come pure nelle sue Opere minori si trova qualche epigramma contro i cardinali e gli ordini monastici, ma in nessuno di tali componimenti s'incontra, nep• pure alla sfuggita, una sola parola contraria alla cristiana dottrina. Quest'asserzione del Foscolo, fondatore della critica storica italiana, a chi ha letto le opere minori dell'Astigiano parrà veramente sbalorditoja. Una esplicita professione di fede non la troviamo, egli è vero, in quegli scritti, ma vi troviamo pur tanto da potere stabilire quali furono i sentimenti e le opinioni dell'Alfieri in materia di religione. Nel cap. 8 della Tirannide, libro disteso nella gioventù, come scrive l'Autore nella dedica alla Liberd, ma che non dubita punto di pubblicarenella matura età, come l'ultimo, egli stabilisce i due principj seguenti : <l La religione cristiana non è per sè stessa favorevole al viver libero; ma la cattolica religione riesce incompatibile quasi col viver libero. A voler prm·are la prima di queste proposizioni, basterà, credo, il dimostrare, che essa non induce, nè persuade, nè esorta gli uomini al viver libero. Ed il primo e principale incitamrnto ad un effetto co5Ì importante dovrebbero pur gli uomini riceverlo dalla loro religione .... « La religione cnsuana, nata in un popolo non libero, non guerriero, non illuminato e già interamente soggiogato dai sacerdoti, non comanda se non la cieca obbedienza; non nomina neppur mai la libertà; ed il tiranno (sacerdote o laico sia egli) interamente assimila a Dio ... << Se si ernmina in qual modo ella si propagasse, si vedrà che sempre si procacciò più facilmente l' ingresso nelle tirannidi che nelle repubbliche. Le poche nazioni che fuori d' Europa la ricevettero vi furono per lo più indotte dal timore e dalla forza ... << I troppi abusi di essa sforzarono col tempo alcuni popoli as~ai più savi che immaginosi a raffre• narla, spogliandola di molte dannose superstizioni. E costoro, distinti poi col nome di eretici, si riaprirono con tal mezzo una strada alla libertà ... > E questo, quanto ali.i sostanza della cristiana dottrina. Quanto al cattolicismo, basta richiamare ciò eh~ nel medesimo capitolo della stessa opera ne scnve: « Il papa, la Inquisizione, il Purgatorio, la Confessione, il Matrimonio indissolubile per sacramento e il Celibato dei Preti, sono queste le sei anella della sacra catena. Un popolo che crede potervi essere· un uomo che rappresl!nti Dio, un uomo che non possa errare mai, egli è certamente un popolo stupido. Ma se, non lo credendo, egli viene perciò tormentato da una forza superiore, accadrà che quella prima generazione crederà nel papa per timore, i figli per abitudine, i nepoti per istupidità. Ed ecco in qual guisa un popolo che rimane cattolico dee necessariamente, per via del papa e della Inquisizione, divenire ignorantissimo, servissimo e stupidissimo ». Dopo queste chiare e precise parole, l'asserzione del Foscolo mi pare inqualificabile a dirittura. Ci sono però dei fatti nella vita del!' Alfieri e delle parole nei suoi scritti, che ci potrebbero far dubitare, che le opinioni religiose del Poeta fossero tutte e pienamente espresse nel capitolo sopra citato della Tirannide. Noi sappiamo infatti, che la pubblicazione di questa Tirannide e delle altre opere minori, fattJ a sua insaputa a Parigi, dove l'Autore le avea lasciate beli' e stampate, e chiuse nelle casse insieme con tutti gli altri suoi libri, quando a stento potè fuggire dalla Babilonia francese, gli fu cagione di profonda ~marezza. E intorno a ciò egli scrive al1'Ab. di Caluso una lettera molto caratteristica, eh' e necessario di riferire in pane per intendere le ca-

RIVISTA POPOLARE D1 POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 347 gioni intime del suo dolore e dei suoi disinganni. La lettera è del Gennaio 92; e dice nella conclusione cosi: « Il motore di codesti libri fu l'impeto di gioventù, l'odio dell'oppressione, l'amore del vero o di quello che io credeva tale. Lo scopo fu la gloria di dire il vero, dì dirlo credendo giovare, di dirlo con forza e novità. Il raziocinio di codesti libri mi pare incatenato e dedotto, e quanto più v' ho pensato dopo, tanto più sempre mi è sembrato verace e fondato ; e interrogato su tali punti tornerei sempre a dire lo stesso, ovvero tacerei n. E poco dopo soggiunge : « In due parole, io approvo solennemente tutto quanto quasi è in quei libri; ma condanno senza misericordia chi li ha fatti ed i libri medesimi, perchè non c'era bisogno che ci fossero, e il danno può essere maggiore assai dell'utile ». Lasciando stare le sottigliezze e le distinzioni un pò sofistiche di questo ragionamento, e lodando fin a un certo punto lo scrupolo dello scrittore, egli, in conclusione, disapprova che quei libri siano stati divulgati, non per la sostanza di essi, ma per la opportunità. Egli temeva d'esser messo in fascio co' demagoghi francesi, e di essere perciò disistimato e odiato e disprezzato dagli uomini onesti. Tralasciando lo studio di questo sentimento di nobile e generoso timore, e restringendoci al nostro assunto, noi non possiamo in nessun modo dedurre dalla lettera citata, che i sentimenti del!' Alfieri, circa alla religione si fossero cogli anni mutati da quelli eh' egli nutriva quando scriveva il cap : 8 della Tirannide. Fino a pochi mesi prima della sua morte egli credeva non solo il cattolicismo, ma il cristianesimo in generale, sostanzialmente nemico del viver libero. Nè il cattolicismo, nè il cristianesimo era dunque la religione dell'Alfieri. Qui sento dal lettore richiamarmi alla memoria il sonetto famoso sul culto cattolico. « Alto, devoto, m;stico, ingegnoso, Grato alla vista all'ascoltar soave "· Verissimo : il culto, o più propriamente il rito cattolico è qui solennemente lodato. Ma chi ben consideri, questo sonetto non è ispirato ali' Alfieri da un altu sentimento religioso, ma più tosto da quell'artistico compiacimento che viene alla mente del poeta da quella solennità di pompe, onde il culto cattolico s'impone al cuore e alla fantasia di un popolo altamente artistico e immaginoso com'è il nostro. Una delle ragioni secondarie, infatti, per cui la Riforma ebbe poca o nessuna presa in Italia fu la somma semplicità e austerità del rito protestante. E a questo mirava l'Alfieri nella chiusa dì questo sonetto : « Guai, se per gli occhi e per gli orecchi al core, Vaga e tremenda in un, di Dio non scende L'immago in noi I Tosto il ben far si muore. « Dell'uom gli arcani appien sol Roma intende. Utile a' più, chi può chiamarla Errore? Con leggi accori~ alcun suo mal si ammende» La chiave del sonetto è in quest'ultima t<?rzina. L'Alfieri, come i vecchi Romani, stimava la re!igione una misura di prudenza, un mezzo potente di ubbedienza, d'ordine, di civiltà. Uno dei mo• tivi, infatti, per cui sì scagliava contro la rivo• luzionc francese, contro gli enciclopedisti che l'avevano preparata e particolarmente contro il Voltèro e i voltereschi fu appunto codesta. È il concetto del Macchiavelli. Il sonetto, per altro, fu scritto parecchi anni prima della lettera al Caluso e prima ancora dei famosi epigrammi contro papi e cardinali ; esso perciò, non può darci l'ultima parola del poeta sul suo sentimento religioso. Un fatto clie parrebbe contraddire recisamente alle opinioni espresse nella Tirannide è quello che ci viene affermato dall'Abate di Caluso, cioè, che l'Alfieri tollerò agli ultimi istanti, un padre Confessore, e non furono trascurati (si noti la frase) i conforti della religione ; se non che, il prete non giunse in tempo. Ma nei ragguagli che la Contessa d' Albany dava al Foscolo su gli ultimi momenti del suo grande amico, il fatto affermato a denti stretti dall'Abate di Caluso non è neppure accennato; e nella lettera da costui appiccicata alla vita dell'amico, le parole sopra riferite sono cosi poste e di tal tenore, che abbiamo ben ragione di credere trattarsi di una di quelle solite affermazioni dì troppo zelanti amici : qualcosa di simile a ciò che del Leopardi scriveva il famoso padre Scarpa. La prudente bugia dell'Abate potrebbe parer confermata dall'aneddoto narratoci da M. D'Azeglio nei suoi " Ricordi ,,. Che l'Alfieri andasse qualche volta in chiesa e proprio nella Chiesa di Santa Croce, ci viene anche affermato nei celebri versi dei " Sepolcri ,, e non c' è ragione di dubitarne; che l'Alfieri fosse tal uomo da sfidare i sarcasmi dei giacobini, se la coscienza gli avesse consigliato dì ricredersi e di andare a comunicarsi, è fuori di dubbio; ma che egli entrasse in chiesa proprio per recitarvi le orazioni quando ancora teneva per vero ciò che aveva scritto nella Tirannide, non mi par credibile. L' Alfieri ebbe probabilmente, anzi certameme, un sentimento religioso ; ma ciò non vuol dire che fu cristiano, cattolico o protestante. Egli fu religioso al modo di tutti gli animi eccelsi : credette ad un Ideale di libertà, di giustizia, di carità. E se negli ultimi anni, profondamente rattristata dagli avvenimenti d'Italia, sfinito dalle ostinate fatiche, disdegnoso della gloria e della vita, raccoglievasi per lunghe ore nelle chiese di Firenze, ogni anima non volgare comprende ch'egli non vi dimorava per assistere al sacrificio del pane e del vino, ma per quella nostalgia dell'Infinito ch'è la febbre tormentosa ed esauriente di tutti i cuori sublimi. M. RAPISARDI ILSOCIALISMO diNapoleone Col~anni (GIUDIZI) « Per la causa di giustizia scientifica ed obbiettiva checché piaccia ad Enrico Ferri di negare od inferire, debbo riconoscere in Napoleone Colajanni un diritto sovrano di priorità nella coltura nazionale. La sua prima edizione del Socialismo, fu il primo atro dichiarato ed esplicito di dottrina socialista autentica, che l'Italia vide, anche se non comprese. Atto tanto più meritevole di storico rilievo poichè appunto veniva, contro il Ferri, ignoro affatto di marxismo o de' suoi derivati leggittimi, ad opporre a quel facile sociodarvinismo criminale la poderosa energia unitaria della genesi collettivista .... « E da ritenere indubitato che il Colajanni, con quel libro si metteva, di pieno diritto, alla testa della propaganda dottrinaria socialista in Italia, e sui competitori ed emuli, nel senno del poi, acquistava il titolo più lampante ad essere ritenuto e salutato maestro. « Dopo la prima edizione i progressi da lui fatti, come so-

RIVISTA POPOLARE DI POLl11CA LETTERE E SCIENZE SOClALl ciologo, emergono evidenti, prima forse che da altre e più voluminose e celebrate opere posteriori, da questa second. edizione del Socialismo, ove rifulgono qualità di scienziato, di critico, di storico, vetamente insigni. La vastissima bibliografia della materia è da lui conosciuta a fondo e sistemata con acume, sicurezza, onestà quasi meticolosa ; tutte le ipotesi, le obiezioni, i riferimenti della controcritica socialista, sono dal- )'Autore affrontati con perizia e disinvoltura, mostrando egli di possedere fio nel midollo la folta ed irta materia. I capitoli : La legge mperiore dell'orga11ismso ciale (solidarietà,altruismo); Attenuazione della causa della lotta (progresso morale colla diminuzione delJa fecondazione); Selezione e privilegio (la prevalente selezione naturale di Darwin), e La conservazione dei deboli e il miglioramento della razza (assistendo i deboli non si viola la giustizia sociale); sono pagine magistrali, esaurienti, eloquenti di discussione alta ed imparziale. cc Il Colajanni, a modo suo, è un socialista fervente ; del socialismo accetta la tendenza evolutiva, lo spirito umano, la finalità ideale ; è rimasto fuori dalle scuole o dalle chiese del socialismo politico-elettorale, per quel suo fiero temperamento individualistico, cioè ribelle, incompatibile con la disciplina meccanica e ferrea della setta, e per una dissensione proprio fondamentale con i marxisti, di cui non accetta, così universalizzato e inflessibile, il dogma del materialismo storico. cc Il Colajanoi non ha figura immediatamente socialista; è più uno studioso, uno storico e un critico benevolo della dottrina che un epigone confesslonale. Io lui repubblicano e individualista istintivo il marxismo sembra una necessità della ragione accolta con beneficio dell'inventario e a scadenza assai lunga, quasi a calmare gli scrupoli ; onde un innesto psicologico, robusto fio che è fuori dell'anima e della mente del sociologo siciliano ed egli lo esamina e lo squadra a lume freddo di raziocinio, assai confuso ed ondeggiante quando egli stesso si fa a vivere nell'innesto ed a rappresentarlo con caratteri personali. GiovanniBorelli (Nell'Idea Liberale, 28 febb. 1899). ,. ~ SUL LIBRO DEL GRAZIADEI * ~ Il socialismo marxista attraversa oggi una crisi profonda : nuove investigazioni scientifiche, nuove constatazioni di fatti economici e sociali hanno rese cosi evidenti le fallacie di parecchi princi pii che esso vantava come sua base positiva, come difesa e distinzione dalle utopie dei tempi passati, che molti dei suoi seguaci hanno ormai compresa la necessità di un rinnovamento che salvi l'idea socialista dal dogmatismo delle chiese politiche: o sottoporsi a una sincera auto-critica, od esser morti innanzi alla nuova e vera scienza. E di questo sano ed onesto spirito di indipendenza, ci dà appunto il Graziadei, un notevole esempio : giovane nacora ma da parecchi anni valoroso combattente nelle lotte socialiste, egli muove ora alla correzione dei prin • cipii economici del marxismo con quell'ardore istesso con cui alla correzione delle sue basi filosofiche e sociologiche operano e il Sorel e il Merlino e il Bernstein e il Van Kol e parecchi altri. Con sicurezZ1 logica,con acume di vero scienzato, con analisi severa e profonda, il Graziadei ci offre in questo primo libro una correzione della teoria del plus-valore : la sua dimostrazione è convincente; e, diciamolo subito, facendo astrazione dalle ultime conseguenze e fermandosi al risultato teorico immediato, il Graziadei ci offre una teoria del plus-valore risanata e corretta per davvero. - Ma la posizione del Graziadei di fronte alla propria fede socialista, quella sua veste di socialistaautocritico, se gli apporta un titolo incontestabile di merito e di simpatia, non è stata però priva di poco liete conseguenze scientifiche: chi sotto l'aspetto esclusivamente scientifico giudica il suo libro, è condotto a rilevare che egli non seppe liberarsi da tutti i preconcetti della sua scuola, ed insieme fu troppo corrivo nel rinnegarne alcuni sani priocipii: che egli insomma ha peccato ora per eccesso, ora per insufficienza di critica. (1) Antonio Graziadei - La produzione capitalista - Torino, Bocca 18~9, pp. 24}· La sua tesi è questa : « due parti della dottrina economica marxista sono io istato di fallimento : la teoria del valore-lavoro, che si è dimostrata inetta a risolvere il famoso problema del profitto del capitale tecnico, e la teoria del profitto che non si concilia col fenomeno ormai constatato degli alti salarii moderni. La teoria del profitto può e deve studiarsi prima e indipendentemente da quella del valore : Marx, appunto perchè invece dei prodotti parla dei loro valori e li riduce al solo esponente lavoro, non tien calcolo sufficiente della produttività del lavoro, e non vede che l'aumento di quella produttività conseguente all'aumento dei salarii, concilia questi coll'aumento o lo statu-quo dei profitti, e quindi rende gli alti salarii compatibili coli' interesse della classe capitalista e spiegabili in una societàcapitalistaove quella classe e padrona ». A noi - sinceri ammiratori del!' ingegno e della dot• trina del Graziadei, pronti a riconoscere i molti pregi del suo lavoro - sia lecito lasciar nell'ombra questi pregi e rilevarne i difetti : è opinione nostra che il pregio essenziale stia nel metodo, nel carattere intimo della trattazione, invece le premesse e le conclusioni non ci sembrano del tutto accetta bili: di quelli basta aver enunciato l'elogio, di queste è doveroso svolgere la confutazione. * * * È certo che pei marxisti, più forse che per Marx, l'aumento odierno dei salarii è un fatto irreducibile nell'ambito delle loro teorie: ma il Graziadei lo ritiene tale anche per gli economisti classici, e parla a qu.:sto pro• posito sempre di scuola classico-socialista. È un primo errore questo che vale a portarlo fuori di strada, a fargli rinunciare ad una critica delle teorie marxiste col mezzo delle teorie classiche, a limitare lo strumento della sua critica a quella teoria che sta al polo opposto della teoria marxista, cioè alla teoria ottimista che prende il nome appunto dagli alti salari. Ora, per quanto sia innegabile la derivazione classica delle teorie di Marx, questa derivazione si somiglia a quella per cui Marx si ricollega ad Hegel: è un salto, una reazione, in cui all'affinita logica si congiunge la contraddizione profonda del risultato teorico. Per Ricardo salario e profitto son due fenomeni legati da un rapporto necessario per cui l'aumento dell'uno implica diminuzione dell'altro: egli concepisce quindi un aumento di salarii, e anzi (leggasi la sua lettera XXXVII a Malthus) secondo lui quell'aumento può avvenire provvisoriamente per una situazione favorevole di questa o quella parte del mercato del lavoro, per uno sviluppo relativamente maggiore dell'accumulazione di fronte alla popolazione : quest'aumento provvisorio diventa definitivo ove si accompagni a un arresto della legge dei compensi decrescenti cioè ad un miglioramento tecnico nella produzione delle merci-salario, ed ove non si avveri la reazione di un maggior coefficiente di natalità nella popolazione operaia : ma io ogni caso l'aumento dei salarii si accompagna a una discesa de profitti: e cosi la teoria di Ricardo, nel riguardo esclusivo a1 profitto, è una teoria senza contenutoetico, nè ottimista, nè pessimista, veramente scientifica. Invece per Marx il rapporto fra salario e profitto si muuve pure nel senso di un contrasto, ma non in due direzioni, in una sola : la egemonia economicadrl capitale permette aumenti di profitti che significano diminuzioni o statu-quo di salarii, ma esclude ogni movimento contrario : e questa teoria acquista così, dal presupposto del!' onnipotenza capitalistica, un contenuto di pessimismo critico delle attuali supposte condizioni economiche. Dunque, non già per la teoria classica, ma soltanto per la teoria marxista il fenomeno degli alti salarii significa un fallimento: anzi la teoria classica offre una pombile spiegazione degli alti salarii e il Graziadei nella sua battaglia colla teoria marxista avrebbe dovuto esaminare ed escludere quella spiegazione, prima di ab,

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