Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno IV - n. 3 - 15 agosto 1898

'R._lVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI decisioni della Casa Bianca, ne ci sarebbe da sorprendersene: negli Stati Uniti, come altrove, viYono, pensano ed agiscono uomini e non angioli. Ma non mi pare che sia esatto il dire che alla guerra la grande repubblica sia stata spinta anche, e sopratutto, dal sentimento della razza e dal contrasto tra due civiltà antagonistiche. Questi mi sembrano motivi troppo idealistici, se non addirittura immaginari. Se fossero reali il conflitto sarebbe scoppiato da tempo col Messico limitrofo. * * * Quali saranno le conseguenze di questa breve guerra per Cuba, che ne fu la causa diretta, e per gli Stati Uniti che ne uscirono facilmente e rapidamente vittoriosi? I pessimisti monarchici, che non poterono vedere uscir bene dalla lotta la Spagna, vedono nero nell'avvenire di Cuba e non risparmiano le sinistre previsioni per gli Stati Uniti. In quanto a Cuba non si ha torto prevedendo, che continuerà ad essere devastata dalla guerra civile; perciò non rimasi sorpreso all'annunzio che i volontari del Generale Bianco. non potendo più reggersi il dominio spagnuolo, preferivano il protettorato americano. A me sembrerebbe preferibile l'annessione pura e semplice alla Unione sul piede dell'eguaglianza cogli altri Stati, Le differenze di razza e di coltura non costituiscono un ostacolo serio: il Texas e la Luigiana le presentavano primitivamente e non dettero luogo a particolari inconvenienti. La libertà e l'elasticità, che offrono il regime federale, sono la più sicura garanzia che gli spagnuoli di Cuba annessi alla grande repubblica troverebbero tutte le condizioni opportune per una sana evoluzione economica, intellettuale e politica. N è devono considerarsi meglio fondate le maligne previsioni dei monarchici europei sulle sorti degli ordinamenti americani. Essi sperano che la guerra faccia nascere tendenze che riescano allo stabilimrnto di quel militarismo, che forma la cancrena devastatrice del vecchio continente, Ma se a questo risultato non si pervenne colla lunga guerra di secessione, non si riesce a comprendere perchè ci si debba arrivare adesso dopo una guerra brevissima, e quando l'esperienza recente ba riconfermato i vantaggi e la superiorità del sistema americano, la inutilità e i danni del militarismo della vecchia Europa. Il ritiro dei battaglioni da Santiago, e la sospensione della partenza di altri battaglioni per Cuba indicano già che non si vuole togliere a pretesto la presente lotta nè la esplosione di entusiasmo che ha susc_itato tra gli Jan/.èes, per avviarsi verso il militarismo. E lecito, perciò, mantenere la speranza manifrstata altra volta in questa stessa rivista (Anno lll 0 N. 19), che gli Stati Uniti continuino a tenersi fedeli allo spirito pacifico di Francklin: il solo adattato ad assicurare la prosperità economica e i benefizi della libertà politica. ~ • * li conflitto ispano-americano intanto è ricco d' insegnamenti per gli Europei e somministra le armi migliori per battere in breccia le loro istituzioni militari, che costituiscono il maggiore pericolo per la libertà dove esi,te - e la causa di un continuo e crescente esaurimento economico, senza che se ne ottengano i buoni risultati messi sempre innanzi per giustificarle. A Cuba, come in ogni tempo e in ogni luogo - <lu- _rante le guerre dell' 89, coi volontari tcJeschi combattenti contro Napoleone 1°, coi garibalèini, coi doro/Jn11si della Rumenia a Plewna ecc. - si è rifatta la prova della inferiorità degli eserciti permanenti. I droghic ri, gli operai, i contadini, le masse raccogliticce degli Stati Uniti, improvvisati soldati, nonostante l'inane tentativo di metterli in ridicolo, hanno battuto solennemente l'esercito permanente della Spagna. Per la vittoria, ora come sempre 1 si è visto çhe non occorn; la lunga pr<:· parazione della caserma e le abitudini pern1c1ose della guerra. I Yolontari tolti ali' improvviso dai campi, dalle officine, dalle scuole si sanno battere più e meglio dei disgraziati condotti per forza al macello. Questa esperienza insegna altresì q'Jaato poco siano nel vero i nostri pseudo-darviniani che nella lunga pace e nella mancanza di alfenamento fisico, che viene dalla vita militare, scorgono una causa potente d'infiacchimento materiale e morale. No I o illustri apologisti della Caserma, che \li ammantate colla clamide di una scienza falsata : i fatti vi smentiscono brutalmente ! I fatti insegnano che la Francia che ha esercitato per un secolo il brutto mestiere della guerra, nel momento supremo si è mostrata fiacca ed è stata preda facile della landwehr germanica ; viceversa vi dimostrano che gli Stati Uniti dopo cinquant'anni di pace e di nessuna educazione da caserma spiegarcno una insuperabile energia fisica e morale durante i cinque anni della grandiosa guerra di secessione; e ritrovarono questa stessa indomita energia dopo altri trent'anni di pace nella breve guerra contro la Spagna. Se l'esperienza vale qualche cosa, essa, a quanti sono in buona fede, dice: che la pace e le abitudini del lavoro offrono le migliori condizioni per lo sviluppo pieno e completo della pianta 'Jomo. Quest'ultimo esperimento riconferma inoltre I' insegnamento che dovrebbe essere del maggior valore per i politici che non rifuggono dalla guerra quando questa di viene una necessità, cui devono sottostare anche gli amici più sinceri della pace e della libertà. Eccolo l'insegnamento supremo: il militarismo, l'esercito permanente numeroso, toglie ad un popolo la condizione principale per la lotta e la vittoria : lo esaurisce economicamente, lo disarma, lo consegna vinto al nemico quasi senza combattere. Questo insegnamento, ad onore del vero, venne formulato in Italia, sull'esempio della guerra di secessione, da un militare: dal generale Marselli, nella sua Storia della Guerrn, ed aveva in suo favore l'altissima autor•tà del Von der Goltz. Sull'importanza capitale della condizione economica come fattore della vittoria insistetti nello scritto: La difesa na:zionnle e le economiemilitari; ma con poca fortuna, perchè gl'Italiani si lasciano facilmente illudere dai guerrafondai e dai militari per mestiere. Qualche frutto buono, però, ha dato la guerra ispanoamericana se ha indotto Folchello, il notissimo corrispondente parigino. a scrivere nella Trib1111a (N. 191 del 1898) queste eloquenti considerazioni: « Sono profondamente umiliato come latino in particolare e come europeo in generale. Da ventotto anni tutti i paesi civilizzati, in una corsa funesta e pazza, profondono miliardi a chi più può, per organizzare i loro eserciti e le loro armate; milioni di uomini sono strappati al lavoro per apprendere a uccidersi scambievolmente in una guerra che nessuno vuole e nessuno spera. Fanno come colui che si rovina per accumulare materiale per fabbricare una casa che, terminata, gli cadrà addosso e lo s:hiaccerà. Ed ecco un paese di settantacinque milioni d'anime, che non ha in tempo normale nè esercito, nè armata, improvvisare l'uno e l' altra in tre mesi, e ottenerne miracoli. E notate che a guerra finita, soldati e marinai saranno licenziati, e che non resteranno di tanto sforzo, che i titoli di capitano, di commodoro o di generale nelle carte di visita, e anche un esercitino di pensionati. « Oh I so bene che in questa guerra crudele e micidiale, in principio gli americani sprecarono vite e denaro, per mancanza di esperienza balbettando quasi quell'arte della guerra, nella quale noi di qu:\ dell'Atlantico crediamo di esser maestri. Ogni tre o quattro anni, noi cangiamo gli armamenti, i fucili, la polvere, il tipo ddll! navi - e gli americani ci stanno a guard,tre. Noi:,ltri sprechiamo sistematicamente il nervo della nostra fortuna - cd essi venuto il momento, spendono di botto, la ventesima pane di ciò che noi spendiamo da venti anni - e riescono. E che vale l'eroismo degli spagnuoli, vecchia nazior.e che almeno ha serbato il culto dell'onore, contro questa « improvvisazione »? Nulla; perchè gli americani improvvivisano anche generali e ammiragli, e giuocano la loro vita in 11naguerra come questa, assolutamente come giuocando, gua•

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