RIVISTPAOPOLARE DI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI Direttore: Dr. NAPOLEONE COLAJANNI DEPUTATO AL PARLAMENTO Esce in Roma il I 5 e il 3o d'ogni mese ITALIA: anno lire 5; semestre lire 3 - ESTERO: anno lire 7 j semestre lire 4. Un numero separato : Oent. IO. Anno lii. - N. 22 A66onam,nto pona/1 Roma30 Maggio i898 SOMMARIO: A. C.: Gladstone. - Dr. NAPOLEONECoLAJANNI:Le cause delle rivoluzioni. (Politica e finanza). - LA Rrv1sTA: Sciocchezze e provocazioni, menzogne e verità. - L'azione del giornalismo nella Guerra Ispano-Americana. - La lezione di 1111 Borbone. - Dr. NAPOLEONECoLAJANNI:Al prof. Cesare Lombroso. (Una rettifica inopportuna). - UGOToMBESI:Protezionismo e militarismo. - Dr. E. PANTANO:Il caso Prezzi. - EDMONDODEMOLINS:Le varietà del patriottismo. - A. MoRANDOTTI: Su Londra. - C.: Per un libro recente sulla questione bancaria - P. : La Quilldicina. - Varietà. -'1{,ivistadelle'l{.iviste, •'l{.ecemio11i. GUGLIELMO GLADSTONE Il vecchio grand'uomo che si è spento il 19 maggio nel suo « asilo di pace » ad Hawarden, ha ben diritto al compianto mondiale che circonda il suo feretro, perchè tutti gli oppressi - dall'irlandese, ali' italiano, al bulgaro, al greco, al1'armeno - ebbero in lui sempre il difensore illu • minato e l'amico. In mezzo ai mestieranti della politica dell'oggi che si dibattono senza indiriz- · zo tra lo scetticismoe l'impotenza, Guglielmo Gladstone fu davvero l'uomo di Stato che più tenne a far rifulgere in ogni occasione il concetto morale che è la spina dorsale de li.i. missione della vita; • fu l'uomo di Stato che al potere non vide diverso da quando sedttte all'opposizione, anzi più avanti ancora ; che non si fossilizzò per paura di essere in contradizione, e che non guardò né a lotte, nè a potenza di avversari, nè ad. ostacoli da abbattere, nè ad abbandoni di amici, quando la via del Dovere netta e precisa gli si tracciava dinanzi. Nato a Liverpcol il 29 dicembre 1809 da una fa. miglia d'origine scozzese, figlio di un ricchissimo mercante di grano che era riuscito anche a conquistarsi un seggio in Parlamento, egli potè compiere senza privazioni e senza scosse l'educazione intellettuale più completa. I suoi primi studi li fece nel collegio di Eton e li compì nella Università di Oxford insieme al suo intimo amico Manning che doveva poi diventare uno dei più famosi campioni del risorgimento dei cattolici in Inghilterra. " Dissuaso dal padre di t dedicarsi completamente agli studi teologici verso i quali, egli, natura mistica di filosofo protestante, si sentiva specialmente attratto, Guglielmo Gbdstone si dava tutto alla vita pubblica ove in sul principio, nelle fila più retrograde del partito /ory e dei _protestanti più intransigenti, portò tutta la rigidità monosillabica delle sue tendr nze. Il duca di Newcastle che aveva necessità di un rappresentante dell' i:lee più strettam.:nte conservatrici pel collegio elettorale di Newarck, credette di aver trovato in lui il suo uomo, e fu cosi che Gladstone, a 2 3 anni, entrò nella Camera dei Comuni. Sir Roberto Peel notò subito il suo ingegno e l'abilità oratoria, e, quando nel 1834 egli riprese la Presidenza del Consiglio, lo nominò from Iu11ior lord of tbeTreasury e poi sotto segretario di Stato delle Colonie. Ma il ministero durò poco. e nel- !' aprile del 1835 Gladstone tornò semplice deputato a combattere a fianco di Peel contro il ministero whighs di lord Melbourne. Fu in quel tempo, mentre stava nell'opposizione tor;., c.he pubblicò il libro I' Etat dans ses relactionsavec l Eglise,
322 RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI nel quale si pronunziò recisamente per la religione di Stato, egli che, col pensiero aperto a tutti i progressi, doveva poi, trent'anni dopo, combatterla così formidabilmente a favore della povera Irlanda. Ritornato Roberto Peel al potere nel 1841, Gladstone fu nominato vice-presidente dell'ufficio del Commercio, ove, con grande scandalo dei conservatori ,fu uno degli apostoli più convinti ed eloquenti della libertà del commercio: basti dire che il gabinetto debuttò con un'abbassamento dei dazi sull'importazione, e, subito dopo, con una revisione generale delle tariffe. Nel 1841 Gladstone era nominato membro del Consiglio privato, e nel 1843 presidente dell'ufficio del ComJllercio, ma per una dotazione concessa al collegio cattolico di Maynooth, dotazione che egli, protestante esclusivista, non poteva approvare, si dimise nel febbraio del 1845. Fu per pochi mesi però, perche sulla fine dello stesso anno egli accettava il portafoglio delle Colonie. Come vuole la legge inglese fu costretto a ripresentarsi agli elettori, ma abbandonato dal duca di Newcastle che volle vendicarsi dell'uomo che non si era voluto mettere ai suoi ordini, Guglielmo Gladstone non riuscì eletto, e non potè quindi prender parte alle discussioni della Camera dei Comuni. Ma Gladstone si affermava lo stesso, e faceva approvare la riduzione da 8 shillingsa 1 shilling sui dritti di entrata dei cereali esteri. Lo scacco doloroso subito a Newarck veniva· però largamente compensato nelle elezioni del 1847, perchè Oxford, il collegio dell'Università, il collegio più ambito dagli uomini politici inglesi, lo mandava alla Camera dei Comuni a combattere con .Roberto Pell, a distirl0 guersi e ad imporsi nelle lotte contro il Papismo, il Sillabo, il Protezionismo e in particolare in quella per la libertà di stampa, intralciata gesuiticamente da ogni specie di tas~e, più grave di tutte quella sulla carta, tassa che malgrado l'opposizione cocciuta della Camera dei lords finiva coll'essere abolita. Quando nel 185 1 lord Derby, durante una crisi laboriosissima, gli offrì un portafoglio, Gladstone che il potere non amò mai pel potere ma per l' idee alle quali poteva servire, rifiutò, e partì per l'Italia. A quel rifiuto e a quel viaggio noi italiani dobbiamo se egli potè scrivere quelle splendide Lettere a lordAberdeensul goven10 napoletano che egli bollò come il governo negazione di Dio. Eran quei giorni in cui Carlo Poerio, una delle illustri vittime, scriveva allo zio Raffaele, Maggior generale del- !' esercito sardo : « Nè la codarda persecuzione, ne la bestiale ferocia « che anela il mio sangue, vale a scrollare le mie vec- « chie convinzioni. Io sono immutabile nella mia tem- « peranza perchè i foi-ti convincimentisono calmi e man- « sueti ; ma nella mia temperanza sfido le ire della for- « tuna e la malvagia rabbia degli uomini con costanza « invincibile. Se per poco mutassi mi" terrei per infelice, « perchè non sarei più padrone di me stesso, ma schia- « vo delle furibonde passioni dei miei nemici ». Spirito elettissimo al quale non solo ripugnava lo spettacolo della tirannide, ma soprattutto offendeva il solo sospetto di rimanervi dinanzi indifferente, Guglielmo Gladstone fece sua la nobilissima causa. Deputati arrestati, perquisizioni domiciliari arbitrarie, arresti senza mandato, detenuti insultati e percossi, cospirazioni fantasticamente architettate dalla Polizia, anni di carcere preventivo, rifiuti di ascoltare i testimoni a difesa, i ladri gli assassini mescolati coi detenuti politici, accusatori spergiuri e contradicentisi ecc. ecc. furono tutto insieme il fondo del quadro di quelle lettere che riuscirono una vera rivelazione per l'Europa, e produssero un' impressione immensa su tutti gli uomini di cuore. Se i conservatori italiani a cui pare poco il terror bianco presente rileggessuo quelle lettere, per certi confronti che saltano gli occhi di tutti, per lo meno dovrebbero vergognarsi dei loro lacrimosi omaggi che fanno, oggi, a Gladstone, al « liberale per eccellenza », che, purtroppo, non può levarsi dal sepolcro per trattarli come si meriterebbero. Ritornato in Inghilterra, Gladstone fu avversario terribile del ministero Derby-Disdraeli, e caduto il medesimo nel dicembre 185 2, entrava come ministro delle colonie, insieme a lord Russell e lord Palmerston, nel ministero presieduto da lord Aberdeen, e faceva approvare le sue riforme finanziarie sull'income tax e sui diritti di successione. In seguito ad un'inchiesta sulla guerra di Crimea, per la quale inchiesta egli si trovava in dissenso coi suoi colleghi, si ritirava dal Gabinetto accettando però di andare a compiere una delle missioni più care a lui, cosi amante della Grtcia, quella cioè di commissario straordinario per la consegna · delle Isole Ioniche alla madre patria. Nel 1859 egli tornava al potere come Cancelliere delle Scac.chiere,nel ministero Palmerston, sanzionando solennemente e praticamente col trattato di commercio con la Francia le teorie libero scambiste per le quali aveva combattute così vivaci battaglie parlamentari. Gli elettori di Oxford, sbigottiti dei veri passi da gigante che Gladstone ogni giorno di più faceva sulla via della libertà, nelle elezioni del 1865 lo abbandonarono, ed egli dovette al collegio di South Lanchashire il suo suo ritorno alla Camera. Cancelliere delle Scacchiere, prima nel gabinetto Russell Palmerston, poi in quello che dopo la morte di Palmerston fu presieduto soltanto da Russe!, caduto quest'ultimo egli tornava all'opposizione contro il gabinetto tory Derby Disdraeli. Dinanzi al movimento irlandese che giganteggiava, Gladstone colpito dall'evidente ingiustizia che v'era nel volere il mantenimento di una aristocrazia clericale protestante in mezzo all'Irlanda cattolica, e dell'odiosità che essa ispirava succhiando le migliore rendite di quell'isola infelice, proponeva senz'altro alla Camera dei Comuni un progttto di legge per abolire la Chiesa ufficiale privilegiata in Irlanda, e la destinazione dei fondi della medesima a vantaggio del popolo. I meelings popolari si pronunziarono rntusiasti della riforma radicalissima, ma se la Camera dei Comuni il 18 luglio 1868 l'approvava dopo tre letture, la Camera dei Lords la respingeva con orrore. Il ministero tory fece appello al paese che mandò una maggioranza favorevolissima, e Gladstone, che vinto a Lancashire era riuscito vittoriosamente eletto nel borgo di Greenwich, fu chiamato a comporre il gabinetto, e il suo progetto, con qualche modificazione d'indole finanziaria, doventò legge. La consacrazione del principio che il fittaiolo irlandese aveva pur diritto alle migliorie introdotte nel fondo da lui coltivato, e l'abolizione delle compere dei gradi nell'armata furono altre vittorie di Gladstone. E altri progetti preparava, ma la sua politica estera durante la guerra franco-germanica e per la soluzione ddla questione dell'Alabama essendo stata giudicata debole, nell'elezioni del 1874 egli restava in minoranza. Ma fuori del potere Gladstone ripigliava ·nuove forze e maggiore ardore, e nei cinqtie anni che seguirono non meno alte furono le battaglie combattute in prò degli irlandesi, dei bulgari - il suo libro Gli orrori"bulgari" e la Questioned'Oriente appartiene a questo periodo - e in difesa della riforma elettorale e della teoria del non intervento all'estero. Richiamato al potere con quel programma, e caduto per la questione irlandese, di questa tenacemente fece la sua bandiera quando tornò poi al ministero nel gennaio 1882 e nel '92. Dove altri, dall'intelligenza angusta, aveva visto soltanto un problema di polizia da riso!versi, magari colla sospensione dell' Habeas Corpus per l'Irlanda, egli vide invece sempre più il problema dover risolversi colla giustizia; e malgrado gli abbandoni, per lui dolorosissimi, di Hartington e di Chamberlain, egli sostenne apertamente il programma dell'iutonomia dell'Irlanda con Parlamento proprio, e l'espro priazione dei latifondi irlandesi a beneficio dei contadini. La lotta era ormai delineata tra la Camera dei Comuni e la Camera dei lords; la ¾onarchia, che vide il
RIVISTAPÙPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALÌ 323 pericolo, ~ece in quel momento sentire tutto il suo peso, e la sua mfluenza; e Gladstooe, ormai ottantacinquenne, doveva tornare ai suoi studi prediletti in mezzo ai quali tra.nquillam~nte, g~ardando senza rimorsi al suo passato, chmdeva gh occhi nel sonno dell'eternità. A. C. LECAUSEDELLERIVOLUZIONI (POLITICA E FINA:\IZA) Passato il primo momento della paura e dello sbigottimento, che avevano indotto molti alle confessioni sincere delle proprie e delle altrui responsabilità, gli uomini politici e i giornalisti d'Italia, in maggioranza tornano alle antiche abitudini e agli antichi criteri di lotta, che lasciano scorgere con evidenza la bassezza dei loro moventi. Negli ultimi avvenim~nti si ~omincia a non vedere più il sintomo saliente d1un profonJo malessere economico politico e morale, ma si ricerca il pretesto e l'ar~ gomento per abbattere l'attuale ministero e prenderne il posto. É uno steeplechase pel potere, che fà nausea e indurrebbe a disperare della salvezza d'Italia, se essa non dovesse venire che da questi predatori ! . I più sfacciati sono certi rettili velenosi, che furono sino all'ultima ora gli staffieri dell'on. Giolitti e di C:i.spi, sui quali appunt~ pes.ano le maggiori responsab1htà della presente s1tuaz10ne. Essi con un' impazienza mai vista, gridano e protestano come ossessi e vogliono la testa degli attuali ministri per sostituirli con quel Sonnino, che. regalò al popolo le maggiori acerbità fiscali; con quel Sonnino che cinicamente ri&utossi a dare un centesimo alla Sicilia, pel dazio di esportazione degli zolfi - che pesava soltanto su tre provincie-, e ciò anche quando Crispi e il Regio Commissario generale Mirri si erano impegnati a venire in aiuto alla miseria indescrivibile dei minatori ; con quel Sonnino, che scorticava a sangue i contribuenti italiani per consacrare un centinaio di milioni a quella impresa africana che egli stesso considerò come una follia ! Ma lasciamo che questi dissennati ambiziosi si facciano reciprocamente la guerra e continuino ad opprimere l' Italia: forse dall'eccesso del male potrà scaturire il rimedio. Volgiamo piuttos o la mente allo studio delle cause, che generarono gli ultimi tumulti, che non solo fecero perdere_ la test i al governo ma mostrarono la fragilità di tutte le istituzioni italiane. Prima di me - lo noti il regio Fisco - un ex ministro della monarchia, l'onorev?le .Maggiorino Ferraris, ha scritto : « pochi « g1orm hanno bastato per presentare ai nostri oc- <c chi increduli uno spettacolo, che ci pareva im- <c pos~ibile : lo sfacelo improvviso, in molta parte « d'Italia, dell'immenso e pesante organismo dello <e Stato moderno». (Nuova .Antologia 1° Maggio p: 346). Questi sfaceli, che presuppongono una estesa cancrena, arrivano improvvisi solamente pei ciechi· ma in questa Rivista e nella Camera furono da anni preannunziati con matematica precisione. Anche, adesso, non tutti però convengono sulla natura e ~nlle cause del m:ilc di cui soffre l'Italia e si fanno i più sciocchi o disonesti ragionamenti sulla insur. rezione di Milano. La si vuole ad ogni costo spiegare coll'azione dei sovversivi - dei repubblicani dei socialisti, degli annchici ed anche dei cleri~ cali - perchè si ripete, balordamente, che a Milano mancavano le cause economiche che agivano altrove. Nulla di pii\ falso; e a ciò bastano poche considerazioni : 1° Non è vero che in Milano la prosperità sia così grande e generale come si vuole far credere : la miseria è soltanto minore e meno estesa che altrove ; 2° A Milano, appunto per la sua minore miseria, per la fame che correva per la Penisola accorrevano a migliaia operai da ogni parte, e vi costituivano l'armata di riserva degli affamati disoccupati ; 3° Data la realtà del benessere in misura maggiore che nelle altre regioni italiane, si comprende che più intensamente e più rapidamente devono risentirsi i perturbamenti economici gravi. È risaputo che l'adattamento all'ambiente sociale è tale tra i popoli caduti nell' abiezione della povertà e dell'ignoranza, che essi divengono insensibili a qualunque male nuovo e a qual~nque pegg!oramento di quelli preesistenti, e che mvece quelli, che hanno raggiunto un discreto tenore di vita, non vogliono affatto perderlo, evogliono anzi migliorarlo di continuo; 4• Milano) infine, è la vera capitalemorale d'Italia, ed è naturale, perciò, che tutte le offese arrecate alla libertà e alla moralità, di cui è tanto ricca la storia d'Italia, dovevano crearvi un ambiente saturo di elettricità, che doveva scoppiare alla prima occasione. L'esattezza di questa genesi degli ultimi moti italiani, che serpeggiavano con insistenza paurosa da vari anni e in varie contrade è stata riconosciuta dalla stampa estera, non escluso il Times, la cui disonestà e partigianeria nel giudicare ddle cose nostre sono pure proverbiali. E il Temps di Parigi, che fu sempre così benevolo verso il ministero Di Rudinì, alla sua volta, si è meravigliato della ferocia della reprt!ssione. Ma su questo argomento dobbiamo scivolare per necessità ... La verità viene ·avvertita e descritta con maggiore efficacia dalle riviste che vivono al difuori della politica, e che hanno carattere scientifico ed obbiettivo. Tra le medesime primeggia sempre l'Economista di Firenze. Il De Viti Dt! Marro, eziandio, alla vigilia dei tumulti scriveva: « La questiocc ne finanziaria ritorna ... ~ cominciato un moto di « reazione generale contro un sistema tributario <e selvaggio. Tutti gl' interessi antagonistici delle « classi dirigenti si rimettono di accordo quando <e si tratta di scaricare sulla massa dei consumatori « una valanga di balzelli incivili e per affidare ai cc pezzenti il patriottico compito di tenere in pa- « raggio il bilancio )). ( Giornale degli Economisti. Maggio). Ben detto. Più esplicito, più ampio, veramente esauriente è stato il Conigliani - un altro scien: ziato che insegna nella Università di Modena. Egli in un grosso e interessantissimo volume ha fatto l'analisi <li quella situazione di cui il Flora ci aveva dato la sintesi (I). (1) La riforma delle leggi sui tributi locali. Modena 1898. Ua volume di p. 75 I. L. 10. La pubblicazione di quest'opera è anteriore ai tumulti.
324 RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIBNZESOCIALI Il Conigliani, con copia di dati e di cifre, dimostra il parallelismo nel male tra bilanci comunali e bilancio dello Stata, che insieme hanno superata di molto la potenzialità economica della nazione ; che schiacciano tutto: proprietari e proletari. La condizione dei lavoratori andò gran<lemente pt:ggiorando da alcuni anni in quà, non solo per la gravezza delle imposte, ma pel modo come fu impiegato il prodotto delle medesime; poichè ci fu notevole contrazione delle spese per lavori pubblici dal 1889 in poi. D'onde la grave e crescente disoccupazione. La disonestà, pari soltanto ali' impreveggenza, delle classi dirigenti rese addirittura intollerabile la condizione delle classi lavoratrici. « Nei Comuni si « può, scrive il Conigliani, sotto l'egida delle leggi, « col beneplacito dell' autorità tutoria, dare ascolto « alle clientele locali, alle coalizionidi vergognosiin- « teressiaggravando la mano sui piu deboli contri- « buenti ». (p. 7). « Le classi dirigenti mancarono « di capacita e d' iniziativa, e perciò o entrando « nella vita politica 11011 seppero temperare l'egoi- « stica manifestazione dei loro interessi privati con « una larga e savia visione degli interessi collet- « tivi della nazione, oppure delegarono il potere « ad altre clas~i che l'esercitarono se'nza coscienza, « senza freni, talvolta senza onesta». (p. 72). li nostro autore dove magistralmente descrive le relazioni tra la politica e la finanza, che hanno generato la presente situazione, è nella conclusione, nell'esaminare il significato politico della riforma tributaria. Di questa importante conclusione mi pare assai utile riprodurre un lungo ma importantissimo brano. · « Ed ora - a mò di conclusione finale - ci permetta il lettore di rispondere in anticipo ad una obiezione che forse, ove ci abbia seguiti fin qui, gli sarà sorta nella mente per riguardo allo spirito e alla sostanza delle nostre proposte. « Avete convenuto, egli penserà, che il peso attuale della tassazione italiana è ,rossimo ormai anche sulle classi proprietarie al limite estremo della capacità contributiva: ed ecco che, per sollevare le classi povere dal peso del dazio interno e di ~!tre imposte locali, voi aggravate ancora le classi ricche, sia con un sistema più rigido di imposte reali, sia colla progressività de!rimposta sulle successioni, sia collo sviluppo obbligatorio della tassazione personale sul reddito nei centri urbani maggiori. Siete dur.que in fallo di contraddizione: e per di più, se oggi le classi diseredate piangono mentre le classi proprietarie non ridono, dopo tali riforme il pianto delle classi proprietarie sarà cagione di estremo lutto per le classi diseredate. " « Ma fatto sta che il dolore - se non giunga a tale da destare una cieca mania di ribellione devastatrice - è e sarà sempre il migliore maestro della vita: e, a giudicare dalla triste condizione della vita politica odierna in Italia - mentre per le classipiù povere va diventando già insufficientesfogo alle loro sofferenze quel suicidiopolitico ed economicoche è l' emitrazione nelle barbareforme d'oggidì - la classe invece che nell'ambiente economico attuale dovrebbe tener le redini della cosa pubblica, la classe proprietaria, sembra non abbia ancora sofferto abbastanza per avere acquistato la chiara coscienza dei suoi doveri e dei suoi veri interessi politici. Essa ha lasciato il potere ad altra classe che compiuta la rivoluzione politica, ha sfruttato parassitariamente il nuovo organismo economico della nazione: si è illusa innanzi all'apparente soddisfazione accordata ai suoi egoismi più gretti e malsani, ed ha. permesso che si spezzasse il vin.colo di solidarietà che doveva congiungere, pel vantaggio della prosperità nazionale, tutte le classi produttive, quelle che hanno la terra e il capitale e quelle che li fecondano col lavoro. Ed oggi quella classe che non è ancora, ma deve pel bene d'Italia diventare la classe dirigente - . mentre merita l'espiazione dei proprii errori sotto la naturale forma di un carico opprimente di tassazione - ha diritto soltanto che questa sia tale da farla migliore pel futuro, e tale che, liquidando l'eredità del passato, le apra la via ad un saggio compimento dei suoi doveri. » « Ora la riforma tributaria - se deve salvare dalla d,sperazione le classi diseredate, e se per la classe _proprietaria dev'essere espiaz:one, che, senza portarle lo sfacelo, la conduca alla rigenerazione - non può non essere per quelle classi un sollievo, per questa un nuovo dolore. Alla vita economica italiana - se riescirebbe certo funesta una riforma come quella che sognano gli utopisti, pretendendo dall'ofgi al domani l'abolizione di ogni imposta indiretta e 1 unicità dell'imposta personale e progressiva - sarebbepure funesto, e letaleforse, il por ritardo nell'adoperaremeglio la sferza del tributosulle spalle di quella classe,che ammaestramentiedesperienzenonmeno dolorosi non hanno fatto ancora rinsavire. Fra la rovina politica che attende certo quella classe, se viene a mancare nelle masse diseredate la sublime virtù di rimaner contente det cibo quotidiano di promessenon soddisfatte - e la rovina economica che vogliono portarle quei medici sociali spacciatori di ricette sempliciste a base di utopia - fra l'una e l'altra rovina, quella classe si trova innanzi a un'unica via di salvezza: quella di adattarsi ancora ad un grado ulteriore di pena che certo con uno sforzo supremo porrà sopportare : e cosi, da un lato dare una buona volta il cor.Jortodell'esempioalle masseda cui pretende tanta rassegnazione,e dall'altro agli impazienti ricordare, applicandolo a sè stessa, il classico dettato: medio tutimmus ibis. ,, « Ma occorre convincersi anche che, appunto per essere espiazione che rigeneri e non flagello che avvilisca, la riforma tributaria deve esser così fatta, da costituire, un primo passo sulla via di quell'evoluzione che nei sisttmi tributarii porta con sè l'evoluzione dell'ambiente economico e degli organismi politici. » « Poichè ambedue quegli istituti tributari personali e pro~ressivi - l'imposta progressiva sul reddito e sullernccessio11i, - non solo faranno meglio conseguire i fini della giustizia distributiva, ma sopratutto varranno ad educare le masse alla « selj taxation », afar sentirepiù sensibilmente le couseguenzefi11a11ziarideella loro attività od inazione politica, a renderle conscie della loro responsabilità nella direzione della cosa pubblica, talchè esse saranno eccitate a un intervento più vivo, a un controllo più efficace sulle pubbliche aziende » « E qui sta appunto la virtù educativa di queste riforme tributarie in riguardo alle classi economicamente più forti: Finchè esse vedranno coterle le Jpese pubbliche con tributi assegnati e dis!1·ib11isteinza alcun riguardo alle utilitd arrecate a questo o a quel cittadino, esse saranno spinte a sfruttare l'azione degli enti collettivi ai fini loro e~oistici e ad allontanare quelli da una giusta considerazione della utilità nazionale: finchè la maggior parte del costo delle pubbliche aziende sarà sopportato da classi che hanno nessuna o almeno la minore influeaza politica, le classi dirigenti non si faranno riguardo alcuno di spingere all'eccesso le spese pubbliche e di portare nella vita politica il malefico influsso delle ambizioni individuali e delle lotte economiche. Si faccia invece, che ad ogni dose commensurabile di utilità individuale ricavata dallt: funzioni degli enti politki, corrisponda una tassa, un contributo o un'imposta speciale. e che il rimanente costo di quelle funzioni cada sulle classi che hanno oggi insieme alla maggiore potenzialità economica la maggiore influenza e potestà politica - e si vedrà tosto sorgere nelle classi abbienti la coscienza chiara e netta degli interessi collettivi, e con quella il sentimento della responsabilità politica: esse, fatte esperte del danno diretto ed
RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIBNZESOCIALI 325 indirttto che su loro si riversa, quando all'eccesso o all'improduttività siano portate le spese pubbliche, sapranno guarentirsi contro l'una e l'altra di quelle perniciose mafattie della vita politica odierna. » « Non è solo dunque la pietà verso le classi diseredate, ma anche il più evidente interesse della nazione tutta - oggi tanto bisognosa di un risanamento politico, rr.orale ed economico - ciò che deve convincere le classi più forti a sottoporsi di buona voglia a quei rimedi, dolorosi per esse, ma non meno benefici che per l'infermo l'amputazione di un arto affetto di cancrena. Anzi l'efficacia di quei rimedi risiede - più assai che nella loro bontà morale, come espressione della solidarietà sociale fra le classi tutte della nazione - nella loro conformità a quelle forze obiettive, ben più potenti delle morali, che muovono secondo leggi ineluttabili l'evoluzione economica e sociale: poichè la malattia politica che in Italia deriva dall'incoscienza o dal gretto egoismo delle classi dirigenti, agisce come ostacolo fortissimo che trattiene la vita economica, privata e pubblica - e quindi anche i sistemi tributari - dall'assumere i caratteri e le forme che deriverebbero dall'azione spontanea di quelle forze e di quelle leggi. » Come avranno visto i lettori della Rivista, il linguaggio del Conigliani è quello di un vero conservatore : conservatore, però, che non ha perduto il lume dell'intelletto come quelli dell'Associazione costituzionale di Milano, e di altre parti d'Italia. Il colore politico dello scrittore dà maggiore importanza alle sue constatazioni e alle sue conclusioni. ( r) Nessuno potrà scorgere nel Conigliani un utopista, un sovvertitore! È assolutamente indispensabile insi~tere su questi rapporti tra politica e finanza, perchè I· una e l'altra sono le cause precipue, se non esclusive della presente miseria italiana. Si ricordi altresl che le cause della grande rivoluzione del 1789 in Francia fu rono finanziarie, come ha dimostrato il Gomcl. Ed ora continuino pure i conservatori e i reazionari stolti - i veri parricidi - a scherzare col fuoco ed a ritenere che sopprimendo qualunque libertà riusciranno a sopprimere qualunque protesta, che può, a data ora, trasformarsi in rivoluzione. A me piace, però, nel deplorare la loro condotta ·insana, rilev:ire una nobile eccezione. Nell'ultima riunione dell'Associazionecostituzionale di Milano nella quale si votarono proposte ultra reazionarie ci fu chi disse : · « Noi qui non facciamo che della reazione per reagire, mentre è necessario badare alla cura ... Il culto delle leggi si potrà esigere solo a condizione, che ci si preoccupi delle tristi condizioni cui il paese fu condotto. Questo è un problema grave che non soltanto non si é risolto, ma che non si é neppure studiato, lasciando cosi che le condizioni del paese avessero a peggiorare .... Adottando la sola repressione senza cercare i radicali rimedi atti a sollevare il paese, non avremo altro risultato al1' infuori di quello di rendere odiose le leggi repressive invocate, giacchè é doveroso ricordarlo: a ston1aco vuoto non si ragiona». (1) Ricordiamo con piacere che la Rivista altravolta occupandosi della imposta sulla ricd1ez.zamobile insistette sulla necessità di far sentire le conse~uenze finanziarie delle sue follie politiche alle classi dirigenti. Il Conigliani è nello stesso ordine d'idee nostre. (N. d. R.). Queste sono parole d'oro perchè vengono da un vero ed ,tutorevole conservatore. All'on. Colombo che le ha pronunziate sento il dovere di rinnovare quelle lodi, Lhe più volte ho avuto occasione di tributargli. D .r NAPOLEONE COLAI ANNI. A Genova le autorità politiche impedirono la vendita dell'ultimo numero della RivistaPopolare, che, vict!versa poi, - tanto noi siamo stati guardinghi! - ha circolato liberamente persino nei tre quarti d'Italia dove e' è lo stato d'assedio. Notiamo il fatto, ma non protestiamo per<;}ièormai l'arbitrio impera nel modo più sfacciato, arro• gante e ridicolo che si potesse mai immaginare. SCIOCCHEZZE E PROVOCAZIONI MENZOGNE E VERIT A Quando una voce solitaria si levò in Parlamento a protestare contro le feste per il cinquantesimo anniversario della proclamazione della Carta Albertina i muletti ragliarono sentendo proclamare dall'eretico oratore che allo Statuto oramai nessur.o credeva più. I nostri lettori sanno che anche l'on. Ili Rudinl, per semplice dovere di ufficio, dovette affermare che gli uomini potevano errare, ma che le istituzioni rimanevano intangibili, e incrollabile la fede nelle medesime. Dall'errore storico contenuto nella platonica risposta del Presidente_ del Consiglio ci siamo già occupati; e quali fatti seguirono, a breve distanza, alle chiacchiere ministeriali, tutti sanno; ma che la fede nelle istituzioni, poi, fosse venuta meno negli italiani ora lo riconosce lo stes~o giornale che, a Roma, si è assunto il compito difficilissimo di difendere con tutte le sue forze il presente ministero. È il Don Chisciotte (N. 135), che commentando un articolo dell'on. Panzacchi, nel quale si raccomanda - un po' tardi in verità! - di governare con sapienza, con giustizia e con forza, dichiara che tutto questo non basta - tanto più, poteva aggiungere, che questa volta il generale Bava si è trovato di fronte a degli inermi - e che c' è una propaganda urgente ed essenziale : quella di restaurare la fede nelle istituz.ioniI Aspettando che il futuro ci dica se qu.:sta restaurazione, di una fede che non c'è più, troverà apo;roli, e se questi saranno numerosi e fortunati, domandiamo intanto : ma per quale rr,otivo gli italiani hanno perduto la fede nelle istituzioni ? Non riesce a comprenderlo un altro ufficioso il quale, a questi chiari di luna, osa affermare che le istituzioni no11solo hanno dato il benessere alla popolazioni, 111,1 che preparavano il risorgimentodella nazioue.... Si potrebbero dirle più grosse! ma perdoniamogliele se non altro in grazia dell'impenitenza mostrata nell'affermare il moto di l\lilano, impulsivo, impreparatoe senza capi ; come perdoniamogli pure la imprudenza commessa stampando tante sciocchezze sotto il titolo: Repubblicafederale! Se l'uf-
326 RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI ficioso conoscesse la storia e la geografia avrebbe rammentato che le istituzioni, le quali hanno assicurato davvero il benessere delle popolazioni sono per lo appunto quelle repubblicanefederali della Svizzera, dove vanno a cercare pane e libertà parecchie decine di migliaia d' italiani affamati.... Se questo stesso ufficioso - e in ciò seguito da tutta la stampa monarchica - conoscesse la storia, non avrebbe designati gli italiani che voleYano valicare il confine della Svizzera per venire in aiuto degli insorti Ji Milano, non li avrebbe designati sprezzantemente quali fuorusciti ed avventurieri. I giornali dell'Austria, ed anche quelli del regno di ·Sardegna, chiamarono peggio che fuoruscito Giuseppe Mazzini, che preparò l'unità d' Italia; e i giornali borbonici chiamaronp Garibaldi addirittura filibu• stiere e brigante. Un altro filibustiere, Carlo Pisacane, lasciò la vita sui campi di Sapri ; e il brigante Garibaldi, più fortunato, sbarcò a Marsala.... • * * Dalle sciocchezze passiamo alle provocazioni. Vere provocazioni sono le critiche che i giornali ufficiosi rivolgono ai manifesti dell' Esirema Sinistra. Si afferma che nessuno si è accorto dei medesimi. Meno male: qui c'è solo l'ostentazione dell' indifferenza. Ma di grazia : di che cosa si è è mai accorto il paese? Non del disastro che gli si preparava in Africa ; non dello svaligiamento delle Banche ; non della rovina economica della nazione; non della miseria spaventevolmente crescente ; non della manomissione delle franchigie CO· stituzionali; non della corruzione della magistratura e delle infamie della polizia etc. .... E si che di tutto questo il paese venne av• vertito ripetutamente e clamorosamente sempre dalla Estrema Sinistra, da nessuno ascoltata, e molto meno da coloro che avrebbero c!ovuto prevenire gli ultimi dolorosi avvenimenti ! Del resto, perchè i manifesti lanciati al paese in questi giorni avessero avuto una eco maggiore sarebbe stato necessario che essi avessero ottenuto una larga pubblicità : e il mezzo migliòre per procurargliela sarebbe stato quello dell'affissione per le mura, proprio quello che il governo non permise. La sostanza degli appelli dell'Estrema meritava attenzione? Manco per sogno! rispondono gli ufficiosi. Tutte e tre vennero giudicati piani, dimessi, imprecisie vuoti. Se fossero stati diversi si sarebbe scritto ch'erano ampollosi,retorici, troppo minuziosi, non pratici. Nè si calunniano i governanti affermando che, se quei manifesti fossero stati più calorosi e più espliciti nel denunziare i veri autori diretti e indiretti della dolorosa presente situazione, sarebbero stati giudicati criminosi, e tanto, che gli onesti deputati che fecero sempre il loro dovere sarebbero stati condotti a Regina Coeli, in cambio dei grandi delinquenti che oggi passeggiano liberamente l'Italia. Ma tutte le ire degli ufficiosi e del governo si sarebbero sicuramente scatenate contro i repubblicani, se essi, in questi momenti, nel loro manifesto avessero parlato... di repubblica. Non c'è dubbio alcuno: sarebbero stati deferiti al potere giudiziario dopo essere stati arrestati - in omaggio all'art. 45 dello Statuto - e tranquillamente condannati per un qualsiasi reato, che la magistratura servizievole non avrebbe mancato di trovarvi. Che colpa ci hanno i repubblicani se in It.alia l'ipocrisia e la violenza in,quinano tutta la vita politica nostra ed a loro non è consentito di dire francamente quello che sentono? Che colpa hanno mai, se neppure in Parlamento possono dire quello che sono? se vengono costretti a ricorrere ad eufenismi più o meno indovinati? Si assicuri a loro un zinzino di quella libertà di cui godono i r, pubblicani in Inghilterra e se ne sentiranno delle belle; e si vedrà allora se il paese rimarrà indifferente ai loro ·appelli. Per ora, come stanno le cose, l'eccitamento rivolto ai repubblicani di parlare di repubblica e di mettere nella dovuta relazione cause ed effetti, rasrnmiglia ad una provocazione bella e buona : provocazione lanciata colla buona intenzione di vederla raccolta per poter mandare in gattabuia un altro nucleo di deputati .... di quelli, che voteranno contro il ministero. Ed ora veniamo alle menzogne sfacciate ed alle verità messe in luce meridiana in questa quindicina a proposito dei tumulti e delle sommosse. Già presentivamo che tutto ciò che si narrava sulle cause e sui promotori degli ultimi avvenimenti avrebbe avuto la stessa sorte ignominiosa del trattato di 'Bisacquino, del firmatissimo, dell'orofrancese intascato Ja De Felice nel 1893. L'abbiamo detto nel numero precedente della Rivista ma non speravano affatto, che il nostro presentimento si sarebbe tratnutato in certezza inoppugnabile proprio in questi quindici giorni. Perchè ciò avvenisse non occorse la pubblica discussione innanzi ai Tribunali militari; oh! no. Gli stessi organi del governo, per un avanzo di pudore, molte cose hanno smentito ed hanno sgonfiato, e molte altre venner.o smentite o rettificate dai liberati dal carcere come il Valentini - un conservatore puro - e dai rifugiati in !svizzera come l'on. Rondani, Gastone Chiesi ecc. Rimane, dunque, assodato che fu menzogna la dichiarazione messa in bocca a Rondani sulla repubblica federale da proclamare; menzogna il complotto negli uffici dell' Italia del Popolo e il famoso piano trovato addosso a De Andreis ; menzogna il saccheggio eseguito del palazzo Saporiti e quello tentato della Cassa di Risparmio ; menzogna il rinvenimento di carte compromettenti presso la Koulichoff, che fu rimessa in libertà: menzogna la difrsa degli insorti nel convento dei Cappuccini, nel quale si aprì una breccia a cannonate; menzogna la designazione con segnali rossi dei palazzi di Milano.... menzogna la dimostrazione separatista di Napoli al grido : vulimrne b Re nuosto ! E la lista potrebbe essere continuata! C'è la contropartita delle verità, che bilancia la partita delle menzogne ; e tutte verità scottanti, che nessuno può mettere in dubbio. Le proposte reazionarie del Popolo Romano e della Perseveranza contro la stampa e p~r la restrizione dell'elettorato - guardate con simpatia dal Governo - ; i poliziotti mandati a Lugano per funzionarvi da ribelli; i deputati illegalmente arrestati - vergognosissimo il caso Nofri - ; la soppressione dei giornali invisi, e che potevano fare la luce; la fame crescente; le
RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIENZESOCIALI 327 migliaia di arrestati e di feriti ; le centinaia di tumultuanti uccisi - contro due paia di soldati che nei tumulti lasciarono la vita - sono delle verità sacrosante che nessuno oserà smentire. Menzogne e verità in questo cupo quarto d'ora servono a caratterizzaré le classi dirigenti e il governo d'Italia: le une e l'altro incamminati nella via della perdizione. LA RIVISTA. L'AZIONE DEL GIORNALISMO NELLA GUERRA ISPANO-AMERICANA La Revue des Revues ( I 5 maggio) pubblica un interessante articolo di Gribayedoff sul Giornalismo aiallo in America e sull'azione preponderante ch'esso h; esercitato per far scoppiare la guerra tra la Spagna e gli Stati Uniti. Questa denominazione di giornalismo giallo non data che da due anni, ed ha origine dalla pubblicazione nel New-York Herald e nel Journal di una serie di caricature a colori, che narravano le prodezze del Yollw ](id (il ragazzaccio giallo) ( r), un tipo divenuto rapidamente popolare e che incarna l'ardire a tutte le cattive tendenze degli abitanti della grande repubblica. Il giornalismogiallo viene rappresentato principalmente dal New-Yorli World e del New-Yor/1Journal i quali adoperano mezzi disonesti e violenti per raggiuacrere i loro intenti. Del giornalismo giallo scrive il Gribayedofl: « Un Europeo, fra le mani del quale cade un simile « giornale si domanda se c'è veramente negli Stati Uniti « un pubblico tanto ingenuo e tanto privo di senso mo- « raie per farsi complice dell'opera di corruzione intra- « presa da siffatta stampa ... A New York nessuno si com- « move più delle manovre stravaganti, della disonestà, « della pornografia appena velata di questi luridi gior- « nali. Il senso morale si è pervertito ad un tale punto, « che ciò che avrebbe sollevato l'indignazione generale « dieci anni or sono, oggi passa inosservato ». Senza dilungarci sulla potenza finanziaria e sulle vicende dei direttori del World e del Journal - Pulitzer e Hearst - ci limiteremo qui a notare, che si deve sopratutto a questi due giornali la sovraeccitazione dello spirito pubblico, l'esplosione irrefrenabile di jingoismo, che condusse alla presente guerra ispano-americana. La réclame più colossale, più sbalorditoia, più immaginosa venne adoperata per magnificare la potenza degli Stati Uniti e per ingigantire le infamie della Spagna. La descrizione della miseria e delle sofferenze - indubbiamente inaudite - dei reconcentrados di Cuba, di cui fece anche cenno la Rivista, si è prestata meravigliosamente ai fini del giornalismo giallo, che mise in ridicolo le esitazioni di Mack Kinley e dei fautori della pace. L'intimidazione venne largamente adoperata. Il giornalismo giallo anche in questa occasione ricorse ai suoi metodi disonesti e violenti; ed è tipico il caso Roosevelt. . « Il New-York Journal ebbe la disgraziata idea d'invitare Roosevelt a fare una dichiarazione bellicosa e provocante verso la Spagna, ma da uomo di stato, corretto, il segretario per la marina vi si rifiutò formalmente malgrado le insistenze del repoder. Intanto con sua grande meraviglia alcuni giorni dopo lesse nel New-York Journal la dichiarazione che gli era stata chiesta. Lo stesso giorno riceveva dal direttore del Journal una lettera intimantegli di non smentire le parole a lui attribuite, sotto pena di cadere in disgrazia. A questa minaccia Roosevelt dette la seguente risposta: (I) Non ci pare che [{id possa tradursi con biric/Jillo. Il Kid è qnalche cosa di peggio. « Caro signore, ~ Io n?n ve~g? _a smentire_ la ~toria ;_l'ho già smen- « tlta nei termm1 1meno equivoci. La dichiarazione con- « tenuta nel Journal di oggi. è una menzogna assoluta. « Ho detto parecchie volte al vostro reporter che non « volevo accordargli intervista di sorta alcuna. La sua « condotta è stata infame e voi stesso dovevate sapere che «· tale intervista non poteva emanare da me. Voi dite « nel vostro paragrafo finale, che voi sperate di non do- ,, ver cambiare di opinione sul mio conto. Di nessuna « cosa al mondo mi caro tanto poco quanto di questa, « vostro TeodoroRoosevelt. Questo nobile tratto di coraggio non è il solo che si debba registrare negli Stati Uniti di fronte a questa specie vergognosa di mafia giornalistica. Cleveland, ad esempio, alla richiesta di Hearst di lasciarsi annoverare tra i membri del Comitato nazionale. che doveva manifestare la _indignaz!one per la catast;ofe del 9,(aiue, rispose asciutto ascmtto: « Rifiuto di permettere che il mio compianto per quelli « che sono morti sul Maine sia abbassato al livello di « un articolo di rèclame per il New-York Journal. Cleveland ». Questa risposta dell' ex Presidente della Repubblica è stata da tutti applaudita e si scorgono i segni della reazione contro il giornalismo giallo e contro le manovre di una rèclame che si copre col mantello della carità e del patriottismo. « Qualunque sia il risultato della guerra colla Spagna - conchiude il Gribayedoff- gli Stati Uniti dovranno combattere il fl~gello del giornalismo aia/lo, il cui pericolo no~ cessa d'mgrandire ..La tiratur~ fayolosa di questi giornali spande nel pubblico torrenti d1 veleno, perverte il senso morale e degrada la coscienza nazionale. Gli spiriti one.,sti e perspicaci se ne rendono conto e la fine della guerra sarà probabilmente il principio di una reazione salutare in favore di una stampa degna di un grande paese, come l'America del Nord ». La Rivista che sin da principio non ha esitato un istante a prendere partito in favore di Cuba più che in favore degli Stati Uniti, ha creduto suo dovere di tenere al corrente i lettori sui metodi vergognosi della stampa oialla coi quali è riuscita a fare scoppiare il conflitto ispanoamericano. I mezzi sono stati disonesti; ma il fine ri- ~ane _se1:11prneobile. Siamo lie~issi!lli, su questo proposito d1 nprodurre la nota che 11Fmot· ha posto all'articolo del Gribayedoff. Questa nota collima completamente con ciò che noi abbiamo scritto nel numero del 15 aprile nell'articolo: Per la pace o per la guerra? « La nostra diplomazia, scrive il direttore della Revuedes revues, eh' è stata indifferente verso le crudeltà e le infamie commesse a Cuba ed apertamente ostile alle sue vittime rifugiate tra noi, non oserà, nonostante le esortazioni di certa stampa, levare la voce per impedire la liberazione definitiva dell'Isola delle laarime. Essa non lo farà· tanto più che la sua voce non s';irebbe ascoltata. lnterv~nendo a tempo, per via di richiami amichevoli, la Francia avrebbe forse risparmiato alla dignità umana diversi motivi di vergogna: agli Stati Uniti l'occasione di vendicare l'Europa; alla civiltà le sventure di una guerra e alla Spagna cavalleresca, alla generosa sorellalatina come dicono i giornali boulevardiers, delle ferite dolorose e di amor proprio e delle perdite irreparabili. « ... Pur troppo una parte dell'opinione traviata ha il grande torto di seguire gl' impulsi emananti dai nostri governanti. La scomparsa dei principi, che furono sempre sì cari al nostro paese ci obbliga ad aggiungere delle spiegazioni all'articolo sul giornalismo giallo.... « Certe anime dalle sensibilità spostate o sviate hanno creduto farci una colpa delle nostre simpatie per i Cu-
RIVISTAPOPOLAREDI POLITICALETTEREE SCIBNZESOCIALI bani contro gli sfortunati Spagnuoli. L'ingiustizia essendo qnasi sempre dal lato dei forti, la Revue si gloria di essere coi deboli, e se la buona fortuna ha voluto che gli Stati Uniti per una volta rompano la regola, facendo deIla difesa degli infelici la causa del più forte, benediciamo l'America, senza dir male della rivoluzione cubana che ci fu sempre si cara. Ciò vuol dire che nella guerra ispano americana le nostre simpatie sono tutte per i cnbani ». · * * * Abbiamo riprodotte queste dichiarazioni perchè ven- . gono dalla Francia dove un altro giornalismogiallo - quello che difende gl'interessi dei banchieri creditori della <ipagna - vorrebbe dare ad intendere di essere commosso per la sventure della sorella latina, e ci piace che · una nota discordante e pienamente unisona colla nostra venga dalla diffusissima Revue des Revues. Questa dichiarazione la dedichiamo a quei giornali di Italia, che ali' improvviso si son mostrati teneri dei legami di razza e che riconoscono nella Spagna una sorella, a cui augurano la vittoria. Se questo sentimento li insrirasse davvero, pur dissentendo, le loro proteste ci riuscirebbero simpatiche. Ma il sentimento della razza non è che una menzogna; tanto vero che esso scomparisce · appena si parla della Francia, che non è una sorella oggi e lo era quando il Napoleonide imperava. La verita è diversa: una parte della nostra stampa si sdilinquisce per la Spagna, non perchè essa appartenga alla rana latina, ma perchè è retta a monarchia e si trova in lotta contro la grande repubblica americana, la cui intraprendenza li spaventa; come li spaventa la prospettiva di una sconfitta degli hidalgos, che farebbe prendere la via dell'esilio a Don Alfonso XII I ed alla recrina reggente. Noi invero non ci lasciamo guidare in questa occasione da alcuna predilezione per questa anz1chè per una altra forma di governo, ma facciamo voti per la causa della giustizia, per la liberazione dei cubani da un giogo iniquo. Il sentimento della razza non ci trova, però, indifferenti, e facciamo voti ardenti, quindi, che la Sr,agna liberata da Cuba è retta civilmente possa unirsi ali Italia e alla Francia per far sì che i latini prendano il posto che loro spetta nella storia del Mediterraneo, in attesa del giorno in cui esso sia veramente libero ed aperto a tutti, e cessi di essere un mare inglese, qual' è ora, per colpa delle divisioni tra le sorelle latine, che nella politica e nella economia fanno gl'interessi degli altri .. LA RIVISTA. LA LEZIONE DI UN BORBONE Ferdinando II Re delle Due Sicilie acquistassi fama tristissima per la repressione dei moti politici che furono frequenti durante il suo lungo regno, e passò alla storia col nomignolo di Re Bom11a perchè fece bombardare Palermo, Messina e Catania, che non volevano saperne di lui. Giustizia vuole, però, che accanto al molto male da lui fatto si ricordino gli atti, che gli fanno or ore. Uno di questi lo troviamo citato opportunamente dall' Avant-i I e sentiamo il dovere di riprodurlo. È il Regio Decreto delli r r Gennaio 18 31: FERDINANDO II per la grazia di Dio Re del regno delle due Sicilie di Gerusalemme etc. Duca di Parma, Piacenza, Castro etc. Gran principe ereditario di Toscana etc. etc. Noi abbiamo voluto conoscere lo stato della situazione della Tesoreria generale di Napoli. Per quanto triste essa sia non ne facciamo un mistero. Questa leale franchezza sarà. degna del popolo generoso di cui la Provvidenza ci ha affidato il governo. Posta dunque a nudo la cosa, il deficit effettivo che esiste pel 1831 è di ducati 1,128,167. Noi ne fummo profondamente rattristati, ma non disarmati. Fedeli alla nostra promessa di fare ogni personale sacrificio, noi abbiamo già conceduto un rilascio dalla no- . stra borsa di ducati 180,000; altro ne facciamo dall'assestamento della nostra Casa per ducati 190,000. Abbiamo ottenuto dai diversi rami della marina e della guerra un'eccedenza di ducati 350,000. La severa riforma dei diversi ministeri ha prodotto un'altra economia di ducati 351,677. Pare~giati in tale modo gl' introiti con le spese per l'esercizio 1831, rimane disponibile la somma di ducati 110,050. Noi abbiamo proposto impegnarli a sollievo del nostro popolo con la riduzione del dazio sul macinato: I commenti e i confronti non ci sono consentiti ; nè sono necessarii. Il documento è chiarissimo. Al Prof. Cesare Lombroso UNA RETTIFICAINOPPORTUNA L'illustre Prof. Cesare Lombroso, pel quale nonostante il profondo dissenso scientifico, nutro viva ammirazione, appena letto il brano del mio articolo : Settentrionalie meridionali (N. 20 della Rivista Popolare) (1) che lo riguarda ha mandato al Germinal di Torino que5ta rettifica, che riproduco integralmente : « Accusandomi, con troppa inesattezza nella sua rivista, l'egregio deputato Colajanni, di essermi accorto solo ora, e con poco mio pericolo, della criminalità di Crispi, lo invito a compulsare la seconda edizione del mio Uomo delinquente, scritta nel 1875-76, stampata nel 1878 a Torino, pag. 258, d<.,vetroverà citati i nomi di Nicotera e Crispi \Ìcino a quelli di Luciani e Paggi, per mostrare quanto sia breve il passo dalle imprese più crenerose alla violenza più immorale, e fino forse al delitto ; e nel!' Incrementoal delitto in Ilalia ( 1879) ho precisato fino a che punto l'influenza politica nell'amministrazione sia stata causa del!' incremento del delitto, che fin d'allora cominciava a notarsi in Italia. Oh! non ho dunque, ora, calpestato un caduto; ho solo rinnovato l'accusa formulata quando il farlo era un pericolo. D'altronde da noi i disonesti cadono in piedi e son più potenti di prima ; e quindi non fa opera codarda chi tenta denunciarli ». CESARE LOMBROSO. Se l'illustre psichiatra di Torino avesse riprodotto integralmente le frasi, che lo riguardavano, forse riflettendovi sopra mentre le copiava, avrebbe rinunziato alla rettifica, nonostante la quale il mio giudizio rimane sostanzialmente esatto. Di esso non deploro che la vivacita della frase sfuggitami mentre scrivevo. Il Prof. Lombroso sa che io conosco le due opere alle quali mi ha rinviato per farmi sapere come egli la pensi sul conto di Francesco Crispi; ( 1) Colgo questa occasione per avvertire i lettori, che sospesi la pubblicazione della 2" parte del mio articolo per raaioni di delicatezza e di opportunità politica ch'essi sapranno ~pprezzare. Sullo stesso anic.mento ~lla 'J:._i'l:ista. perve~ae _un magnifico studio del Prof. Ettore C1ccott1, 1 cm punti pnocipali fecero parte di una coalereaza tenuta in Milano nello scorso aprile. Sarà pubblicata a suo tempo.
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