mn n POPOLAllE DI POUTlCA LETTERE E SCIE~ZF, SOCTAU 21> ra sola delle molte pagine bruttissime, che per sua e per disgrazia d' Italia, in trentasette anni di vita pubblica e privata ha continuato a scrivere. Dala l'occasione, dato l'uomo, data la condizione in cui esso si trova il discorso di Milazzonon poteva essere se non quello che fu: ci doveva essere l'orgoglio, la fierezza, la megalomania, l'amarezza ; e non poteva mancare la punta della minaccia verso gl' imbecilli potenti, che se ne sono lasciati imp1urire in ogni tempo e che lo hanno ritenuto un salvatore. L'uomo è malvagio è fu nefasto al paese; ma il paese, almeno in certe regioni, pare che non meriti di meglio; è un dovere, perciò, l'esaminare ciò che egli ha detto e trarne insegnamenti, che non sarà colpa di coloro che li additano se non verranno tenuti nella dovuta considerazione. Francesco Crispi a Milazzo ha ripetuto il suo vecchio apoftegma : la repubblica ci dividerebbe la monarchia ci unisce; ma questa rolta l'ha infiorato con certi ragionamenti, che è utile rilevare con quella discrezione imposta dal Fisco bestiale di Roma. Alberto Mario sostenne brillanti polemiche, quali ~apeva condurle lui, per dimostrare che Vittorio Emmanuele non voleva saperne della spedizione dei Mille e che per lo meno voleva arrestarla al Faro. Gli sciocchi apologisti di Casa Savoja sostenevano il contrario conti-o ogni evidenza torica; Francesco Crispi, che non può e;sere sospettato di poca de,·ozione alici.dinastia regnante, ha dato ragione al cavaliere della democrazia, di cui vado glorioso di ripetermi amico e discepolo. La confessione di Milazzo non ha un valore re trospettivo, di cui potranno tranquillamente servirsi gli storici; ma serve, contro le intenzioni del suo autore, ad abbattere il ragionamento con cui cerca sorreggere il suo prediletto apoftegma. Vero, verissimo che nel 1 60 per raggiungere l'unità bisogn6 accettare la monarchia di Savoja, perchè questa era stata accettata già ed era forte, come ogni beato possidente, nell'Italia superiore; tanto vero che Mazzini e Garibaldi, e dietro a loro i migliori e più valorosi italiani, pur serbandosi repubblicani cooperarono a 1·iunire l'Italia sotto la monarchia. Risulta, però, da quanto si sapeva e da quanto Crispi ha riconfermato, che la Dinastia abauda non fu e non potrà mai essere il simbolo dell'unità; essa la avrersò p1·ima, indi la subì per sfruttarla in ultimo. L'apofLegma reggerebbe ·e l'unità fosse il /actum della monarchia; ma l'uni là esiste non pe.rchè la mona1·chia la volle e la impose, ma perchè la volle il popolo e la impose alla monarchia. Fu il patto, di cui parlò Crispi. Dunque la monarchia non può essere la conclitio sine qua non dell'unità, che non aveva voluto, che aveva sinanco avversato, ch'è il merito degli alti-i. In quanto ad una repubblica, che potesse distrurre la compagine nazionale, nessuno l' ha mai vagheggiala; siffatta repubblica non esiste che nella mente dei suoi calunniatori e persecutori. Se la repubblica quandocchessia, dovrà venire, non potrà essere che italiana; e tarderà più di quanto si può credere e desiderare, come altravolta scrissi in Die Zeit di Vienna, perchè non in tutte le regioni d' Italia l'idea repubblicana ha fatto la stessa strada; per• chè i più avanzati del settentrione poco hanno fatto per modificare la pubblica opinione del mezzogiorno e delle isole. Che la monarchia sia necessaria ali' Italia Crispi ha potuto affermarlo ed un coro d'ignoranti o d' interessati può ripeterlo in musica e in prosa ; ed essi avranno ragione sempre sino a tanto che a a coloro che pensano diversamente viene negata la libertà di dimostrare il contral'Ìo. E dice il vero Crispi quando soggiunge : non essere sparite in Italia dopo 27 anni le cuciture dei Sette Stati. Bisogna, però, integrare la verità aggiungendo: che i margini delle piaghe antiche non sono vivi e atti alla 1·iunione, diremmo così per prima intenzione, ma sono torpidi, se non incancreniti. E non sarebhe questo fatto la prova migliore per dimostrare I' impotenza delle vigenti istituzioni, a base di mastodontico ed iniquo accentramento, a 1·aggiungere il supremo risultato da tutLi vagheggiato, cioè : l'unitd morale vera tra le singole parti nelle quali prima ora di ,·isa l' Italia? Glis:;ons, n'appuyons pas ! * * * ~on spetta a me lumeggiare il senso riposto dello avvertimento dato al He sul rnlore della Sicilia. Pare che egli abbia voluto dire: guardate che qui sono ancora onnipotente e guai a coloro che non sanno tenermi nel dovuto conto! Lascio ai monarchici il compito, se ne sen1ono il dovere, di richiamarlo alla convenienza delle forme ed anche alla prudenza: il linguaggio che Giove Crispi adopera quando è detronizzato pare il più adatto a confermare ch'egli abbia avuto mano nella preparazione dei moti di Sicilia del 1893 per servirsene poi nel modo che tutti sanno. Nè sarò io, repubblicano, a protestare, contro l'ammonimento dato alla monarchia; aggiungo che questi avvertimenti dati ai Re 1·iuscirono sempre inutili. Rimasero celebri quelli. che Turgot non lesinò al sire di F1'ancia alla vigilia della grande rivolu,,ione. L'argo del Palazzo dei r•'ilippini non mi con• sente, altresì, d" intrattenermi come vorrei su questo giu,tissimo pensiero, che non perde nulla, nemmeno venendo da un France,,co Crispi: « nel- « l'ordinamento degli Stati la /orma di govei·no
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