RIVISTPAOPOLARE DI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI Direttore: Dr NAPOLEONE COLAJANNI DSPUTATO A.L PAllLAMaNTO ITALIA: anno lire li; semestrt lire ls - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. Un numero separato Cent. 20. AnnoIli. --- N. 2. Abbonamento pastaie Roma30 Luglio1897 Sommarlo. LA RIVISTA - Crisi agrarie. (Cause, proposte e provvedimenti). Dr. N. CoLAJANNI- L' incorreggibile. R. MIRABELLI- La libertà di stampa in Italia. Lo Zonco - L'educazione fra gli Anglo-Sassoni. G. V. Russo - Per la insequestrabilità degli stipcudi. Prof. F. MONTALTO- Scienza e Socialismo. Il Senato italiano e le cooperative di lavoro. MAGALHAESLIMA - La fèderazione nazionale e internazionale. Notizie Varie. Recensioni. Nel prossimo numero cominceremo la pubblicazione di una abbondaub e siut~tica RIVISTA DELLE RIVISTE, la quale sarà redatta da speciali collaboboratori. I nostri lettori potranno cosi rapidamente aver notizia di quanto si pubblica di nuovo e di meglio snlle principali riviste del mondo. CRISI AGRARIE Cause, proposte e provvedimenti I. Le sofferenze dell'agricoltura durano da tanto tempo in tutte le parti del mondo che parrebbe assolutamente impropria la parola crisi adoprata per designarle; si conserva però, perchè ha un significato ben noto e determinato. Abbiamo detto che la crisi agraria infierisce dappertutto e basta leggere libri, riviste e giornali dell'America o dell'Australia, dell' A~ia o dell'Europa per convincersi di questa universalità di lamenti, che si ripercuotono in tutti i Parlamenti e costituiscono· la maggiore preoccupazione dei govemi e dei legislatori. La potente Inghilterra, della quale si fa l'apologia smaccata in questi giorni, e la forte Germania non sono le meno travagliate; diremmo quasi che lo sono più degli altri Stati civili (I); La grande pro- (1) Un libro di M. Bloudel (Etudé sur la crise ag1·afre en Allemagne. Paris, Lorose) dà notizie recenti sui progressi spaventevoli del debilo ìpolecJrio nell'Impero Germanico. Più gravate delle altre parti dell'Impero sono la Prussia, la Pomerania e il Granducalo di Posen. Apparisce più esteso il tarlo dell'ipoteca sulla grande anzicbè sulla media proprietà. proprietà non soffre meno della piccola. È nella Norvegia, la terra classica del contadino-proprietario, che la piccola proprietà davvero agonizza, e si e3cogitano rimedi radicalissimi, facilmente adottabili perchè il grande credìtore che dovrebbe espropriare i debitori è la Banca dello Stato. I sintomi caratteristici sono principalmente: lo sviluppo delle ipoteche e correlativamente delle espropriazioni e il rinvilìo del prezzo dei prodotti, che si ripercuoto sul prezzo della terra e più rapidamente sul salario dei suoi lavoratori. Dei due fenomeni: il primo è chiaro che è conseguenza della crisi, mentre l'altro ne sarebbe la causa. ll ribasso dei prezzi - che del resto si constata anche nei prodotti industriali, nello interesse del denaro ed anche nei profitti ; ciò che lascerebbe intendere, che un certo equilibrio tra tante sofferenze tende a stabilirsi - additato come causa immediata e diretta delle crisi agrarie è alla sua volta effetto di un altra serie di fenomeni. Vi contribuisce davvero la prevalenza del monometallismo aureo, e la lamentata contrazione monetaria ? La grande colpernle sarebbe la concorrenza straniera? L' indole della nostra rivista e i limiti imposti agli articoli ch'essa può pubblicare non ci consentono di approfondire que3ti ponderosi problemi. Di volo, perii, constati1mo che la lamentazione contro la concorrenza strdnier,1 è davvero generale e che a sentire certi medici, raramente disinteressati e spassionati, il rimedio logico e vero sarebbti uno solo: chiudere ermeticamente i conflui del proprio Stato di una grande muraglia - visto che i doganieri sono impotenti a frenare e ad impedire il contrabbando non ostante i loro omicidt impuniti, per l' Italia denunziati alla Camera dagli on. Imbr-iani, Farinet e Credaro. l\Ia lo strano, anzi il tragico, sta in questo: non vi sono esclusivisti e protezionisti logici; tutti vogliono impedire l'entrata di certi prodotti esterni, ma domandano ad alta voce l'apertura di mercati stranieri ai propri ! E ai governi si rimprovera ad un tempo di non essere abbastanza protezionisti e di non sapere procurare e assicurare i benefizi del
22 RIVCSTAPOPOJ,AREOCPOLCTICAJ,ETTEREE SCCENZI-:SOCULl liberismo. Sicché l' homo economicus contemporaneo appare un'es,;ere bifronte: protezionista da un lato e liberista dall'altro. Ci6 basta per indir.are che certi rimedì non hanno l'efficacia loro attribuita, e se possono giovare ad una classe di cittadini, nuocciono ad un altra forse producendo agli uni un male più intenso del bene che agli altri arrecano. Questo stato di cose dice altresì, che la costituzione sociale odierna poggia sopra basi non più corrispondenti alla evoluzione ·raggiunta dall' umanità. Scrisse bene il Salvioli : « i disastri e la disperazione nei propretarii e nei « coltivatori, la lunga serie di promesse, di studi, « d' inchieste, di piccoli espedienti - tutto riesce « alla nuova constatazione della impotenza di ogni « forza umana a porre ordine in una economia « nella quale il disordine, la sopraproduzione (noi « diremmo la sottoconsumazione), la concorrenza, « la vicendevole guerra dentro e fuori i confini « delle nazioni, le crisi e la rovina a scadenza più « o meno lunga, ooo vizt costituzionali.» (Riforma Sociale 15 Maggio 1897). * * * La crisi agraria è generale; ma c'è crisi e crisi. Genera sofferenze in un punto, ma non intacca le sorgenti della vita e non pu6 divenir causa imminente di perturbamenti politici e di episodi sanguinosi. :\faggiore è la sua intensità altrove ed esige provvedimenti, anche palliativi - l' iniezione di morfina che non guarisce, ma attutisce il dolore non è forse invocata e benedetta dall'ammalato? - pronti e di rapida azione. I rappoeti e le propor zioni in cui la produzione agricola si trova con la produzione indu triale, col commercio, coi trasporti; i prelevamenti tributarì in varia misura, che la pl'ima subisce, contribuiscono a determinare la sua va1·ia inteusità, a farne apparire maggiori o mino1·ile conseguenze dolorose. Io Inghilterra dove la terra appart!ene a pochi laridl01·ds; dove un ventesimo appena della popolazione ò addetta alla agricoltura e di questa vive, mentre l'l grande maggioranza ritrae la sussistenza dall' indust1'ia e dal commercio, si comprende che le sofferenze dell'agricoltura preoccupano sino ad un certo punto i governanti e vi si stabiliscono facili compensi nella compagine della nazione. In Italia il caso è inverso: poche sono le iadu t1'ie e prevale l'agricoltura. la cui cr:si si fa sentire più intensamente e più doloro ament.e nel mezzogiorno e nelle isole, perchè in qucst.e ragioni le industr-ic non premisero mai. e quelle poche che vi pro~pernvano furono ammazzate o r:dott.e all'agonia non dalla concorrenza francese o tedes ·a, ma da quella, per quanto fr-ateru \ altrettanto infsorabile, esel'Citata dal!' alta Italia. Ri~sctt iasoppodabile la crisi iu Italia e particolarmente nel Sud e nelle Isole perchè enorme vi è la pressione tributaria, e vi assume forme e proporzioni spoliatrici; perchè stridente vi è la sperequazione. Perciò il malessere non è circoscritto ad una classe, ma tutte lo sentono e non riescono a scaricarlo sulle altre; e tutti soffrono : proprietari. contadini, bottegai, artigiani. D'onde, ad esempio, le esplosioni in Sicilia del 1893-94, previste, preannunziate quasi a giorno fisso; quelle di Ruvo e di altre Città di Pugli..1 - a prevenire le quali nulla si fece, nulla si tentò, all'infuori delle provocazioni poliziesche seguite da sanguinose repressioni ; gli scioperi agrari nel settentrione. Questo stato eccezionale di cose nel nostro pae se mal può definirsi con la parola c1·isi la quale indica uno stato transitorio, laddove il male è cronico e venne diagnosticato da tempo. La diagnosi fu consacrata da Stefano Iacini in quel volumett.o riassuntivo, che insieme all'altro ponderoso del Morpurgo 1·appresenta la parte migliore della famosa Inchiesta agi·aria tanto al disotto della aspettativa e della fama creata intorno a sè. Dal giorno di quella pnbblicazione molti anni sono p~ssati ed ogni anno ha segnato un peggioramento ed una forma o esplicazione nuova della crisi ; peggioramento dovuto spesso agli errori dei governanti, che, ad esemp'o, tutta la politica doganale subordinarono agli interessi di pochi grandi industriali del settentrione attivi e perseveranti, ed imposero, per fini inconfessabili, spese militari sproporzionate alla potenzialità economica della nazione. Le speciali l'agioni che 1·endono le sofferenze più intense nel mezzogiorno e nelle isole vennero indicate; e quelle sofferenze tipicamente studiate nella Si.:ilia e nella Sar·degna vennero illustrate con inchie;te pubbliche e privale. con libri e con discu;,sioni parlamentari appassionate, ma non inutili. Il dibattito fu più frequente e più integrante sulla Sicilia, perchè questa mostrò di possedere la energia convincente della ribellione, e solo di riflesso, per una ·pecie di pudore serotino dei nostri uomini politici, sulla Sardegna, più povera, più sofferimte, ma non abbastanza popolata e vigorosa per farsi temere. Non ripeteremo ciò eh' è abbastanza noto sulle condizioni della Sicilia, ma senti11mo il dovere di i11trattenerci sulla Sardegna, sebbene altra volta di essa ci si,11110occupati spontaneament.e per mostrare quanto ci sia a cuore la sorte dell' isola infelice. i cui fìgli a noi legati da relazioni politiche e personali, più volte ci promisero un rnntributo di studi 01·iginali ~ competenti e mai ce lo dettero. Quanto disgraziate siano le condizioni della Sardegna si comprenderà ponendo mente a questi dati: ivi comincia già l'emigrazione sebbene la densità. d81la popolazione ia minorn che in ogni altro paeI l
YlIVISTAPOPOLARE nT POUTlCA LETTERE E SCIENZE SOCIALI se di Europa - non arriva a 30 abitanti per chilometro quadrato nella provimia di Sassari! - ivi è altissima la delinquenza contro le persone e contro la proprietà ; ivi le espropriazioni raggiungono cifre veramente spaventevoli e superano di gran lunga quelle della Sicilia, che dal nostro Guarnieri-Ventimiglia sappiamo già che sono più alte di quelle di tutto il continente italiano; ivi infine, la mortalità per malaria raggiunge cifre, che disonorano il governo italiano e che non si riscontrano in verun altro paese d' Europa. La Sardegna è ridotta a tale, che Eliseo Reclus - come ricordò !'on. Pantano - a~sestando uno schiaffo sonoro all'Italia Ufficiale potè scrivere: « È un fenomeno storico veramente straordinario e davvero fatto per umiliare l'Europa civile, l'abbandono relativo nel quale è restata finoai giorni nostri questa grande e bella isola di Sardegna così fertile così ricca dl metalli, così ammirabilmente situata nel centro del l\lar Tirreno "· E se così scrisse il grande geografo francese nel 1878 s'immagini quale giudizio avrebbe portato venti anni dopo ! Quello che potrebbe essere la Sardegna, ~e essa non fosse abbandonata o spogliata dai governanti - dai dinastici puro sangue che trovarono comodo, nell'ora del dovere, di non ricordarsi che la dinastia prese primitivamente il nome del proprio regno dall' isola sventurata, - ce lo disse Felice Cavallotti in una serie di discordi smaglianti pronunziati percorrendola - e raccolti per via doverosamente in volume dai suoi amici - e sintetizzati in un quadro, che potrebbe essere giudicato una esplosione d'immaginoso lirismo da chi non conosce l' isola, ma che corrisponde rigorosamente alla ri'ale potenzialità delle sue condizioni. Ciò che potrebbe e dovrebbe essere la Sardegna per ora importa meno il discutere, p?rcbè la cura sarà difficile e non darà i suoi risultati che tra molti anni. Intanto per procedere a questa cu1'a con s·curezza di riuscire occorre conoscere le cause, che hanno generato il malessere, e queste cause l'on. Pantano nella sua relazione sui provvedimenti per la Sardegna così le, ba raggruppate : « deficienza di popolazione ; deficienza di capitale mobile dovuta al succes,ivo infiacchirsi delle naturali energie prrduttive e dei commerci isolani colpiti crudelmente dalle barriere doganali, che loro preclusero il mer·cato francese(]) al conseguente rinvilio delle sue principali der·rate - l'olio, il vino, il bestiame - all'io,ìustrie minerarie e mnriiiims (1) Rileva·.nmo altr•a volla che l'on. Pais nella s11a pr!'- gevote relazione dette grande importanza a'la chiu~ura del mercato franrcsA - t, nto esiziale pure alle Pu11lie e a!la 8iC)iJia - e crediamo utile ripetere che i t Pars, sardo, s1 può credere perché fu ~empre sostenitore di quella po· litica, cbe condus,e alla chiusura di detto mercat ', sfruttate nella loro quasi totalità da elementi non indigeni, che ne fanno migrare altrove i lucri ora magri, un tempo cospicui; - ai disastri bancarii che fecero sparire rapidamente dalla circolazione 9 milioni di buoni agrari, e rallentarono le correnti del credito; gran massa di beni rurali incolti ; mancanza di case coloniche e di sicurezza pubblica nelle campagne; disordine delle acque lasciate senza governo alcuno, in piena balia di sè stesse con danno incalcolabile dell'agricoltura; malaria che infesta quasi tutta la parte abitata ed abitabile del!' isola, e che, sotto lo stimolo delle acque stagnanti che ne favoriscono lo sviluppo, infierisce specialmente, con forme letali, là dove la coltura è più sviluppata, la terra più produttiva ». « Accanto a queste, altre cause concomitanti: la gravità della imposta fondiaria, impari, non commisurata alle magre risorse a cui gli usi promiscui, i sistemi culturali primitivi, il difetto di concimazione, l' isolamento e la mancanza di case coloni• che condannano la proprietil terriera della Sardegna; l'enorme onere ipotecario ; la deficienza di credito fondiario ed agricolo determinata da catastrofi che sono segnate fra le pagine nere della storia del credito italiano; gli alti noli marittimi e le alte tariffe ferroviarie ; il tasso elevato del danaro che si traduce in usura mordente per le classi più bisognose; il difetto di cultura tecnica: tutto un complesso di condizioni rolitiche e legislative dello Stato, che aggravano il problema delle sue condizioni agrarie, e condannando alla stessa catena di anemie e di stenti p1'oletari e proprietad, città e villaggi, ritardano la rigenerazione economica della Sardegna, sogno e voto dell'anima popolare italiana». Infine « due fenomeni, apparentemente opposti, ma intimamente legati tra loro dalla stessa inscindibile catena di cause ed effetti, che chiude come in un immenso ci1·colovizioso tutti i fattori economici dell'isola, riassumono e rispecchiano in modo speciale il problema agricolo della Sardegna: il latifondo e lo estremo frazionamento· della proprietà nei terreni prossimi agli abitati ». Questo è il quadro che si dovrebbe considerare come calunnioso per una nobile regione d'Italia, se non si trovasse in un documento ufficiale conosciuto e discusso, di cui nessuno ardì attenuare le tinte. Ora la gravità della condizione che emerge dal medesimo è grande pel fatto che gli elementi che h compongono dal più al meno si riscontrano in tutte le parti d'Italia e specialmente nel mezzogiorno. Ecco percbè lo studio della crisi agraria s'impone; ecco l'urgenza di pr'O ,vedi menti per attenuarla se non per eliminarla. Est pei·iculum in mora.
lUYCSTA. POPOlAllE DC POUTICA.LETTERÈ E SClENZE SOCIA.U L' INCORREGIBILE Il giorno 20 Dicembre 1892 quando iniziai la campagna bancaria, tra i più fieri ad insorgere contro di me, per trattarmi da pazzo e peggio, fu Francesco Crispi. Si sa come la sua gentile signora pochi giorni dopo, il 26 Dicembre se non erro, della sfuriata dell" illustre marito si sia servita presso l'onesto e indimenticabile signor Tanlongo •per chiedere uno sconto di una cambiale, che portava la firma per lo appunto di Francesco Crispi. Mio marito ha difeso la Banca Romana ! ella scriveva. L'atteggiamento provocante e ciuico dell'ex Presidente del Consiglio in quel giorno avrebbe dovuto rendermi con lui irreconciliabile; ma più tardi Crispi cominciò a mutare ed a guardare quasi con simpatia l'opera mia; divenne quasi un mio alleato - ei allora ne a,evo pochi,simi, anche tra gli amici politici. Questo mutamento veniva sottolineato dalla insistenza colla quale· un amico personale mio ripetevami con profonda convinzione c)le Crispi era trasformato e che se fosse tornato al potere -- cosa che allora sembrava impo!>sibile-- avrebbe governato con criteri sinceramente e formamente democratici. Chi ripetevami tali cose era intimissimo di Crispi e veniva considerato come il più sicuro e fedele interprete del suo pensiero. Tali assicurazioni, del resto, venivano ribadite dai discorsi fieri e dai telegrammi semi rivoluzionari del rappresentante per Palermo. Così avvenne che nella mia inguaribile ingenuità strinsi con lui oitimi rappor-ti personali. La crisi del Dicembre 1893 mi trovò suo amico e non ne feci un mistero con nessuno, come non ne faccio mai per tutto ciò che rigurJa la mia vita politica e privata. A ciò si deve se durante le trattative per la formazione del ministero, Crispi come imitò Cavallotti invitò anche me, per mezzo di Abele Damiani in ,ia Grego1·iana. Coloro che conoscevano gli attacchi che per ci1·- ca venti anni indefessamente gli avevo rivolti attendevano con impaziente curiosità i risultati del colloquio col futuro ministro dell'interno, durato circa due ore. Agli intimi, che mi chiesero della impressione ricevutane risposi asciutto e addolorato: Francesco Crispi non è mutato di una linea! Si era ingannato chi diver-,amente aveva pensato ed aveni creato anche delle illusioni in me, che non aspeL1arono gli eventi tragici e immorali, che si svolsero poco dopo. per dileguarsi completamente. Dopo Abba Carima. dopo la cat-islrofe morale nella quale Franesco Crispi rappresenta la parte principale e più losca, si avrebbe potuto immaginare che tanti luttuosi avvenimenti l'orgoglio suo smisurato avrebbero fiaccato e che le lezioni ricevute in Africa e in Italia in qualche modo gli avrebbero dovuto servire di ammaestramento. È venuto il discorso di Milazzo ed ha provato ch'egli e lo tesso uomo di prima : non migliore, nè peggiore. Alcuni giornali, c!ie hanno sempre combattuto Crispi ministro onnipotente e che ora posson continuare a combatterlo, percio, senza che possano essere accusati d'ingenerosità, gli hanno rimpro - verato di avere accettato di andare a commemorare l'epopea garibaldina del 1860 mentre pesa su di lui l'accusa di un ,olgare reato comune. T,di critici non conoscono l'uomo e non comprendono del resto, che a chiunque avrebbe sorriso l' occasione di poter mostra1·e al mondo che egli si sente securo in coscienza e che della sua onestà si rende mallevad,·ice una città, anzi tutta una provincia. La sua accettazione la chiamano imprndenza o impudenza; ma non è che audacia grande, che mai gli mancò e che sinora gli portò sempre fortuna (1). Se mai maggiormente sarebbe da biasimare il ministero che si è fatto suo complice lasciandolo in condizione di spiegare la ben nota audacia sua ; e sarebbe forse maggiore la sconvenienza in quel Comitato di Milazzo, che lo invitò a parlare. i\Ia siamo giusti : in favore di questo Comiiato stanno le circostanze attenuanti : « se la quistione morale, esso avrà pensato, dal « Padameoto venne considerata come una quan- « tilè negUgeable, perchè dovremo essere noi più « scrupolosi astenendoci dall'incaricare della com- « memor·azione di un episodio glorioso, il solo su- « perstite tra i principali promotori della leggen. « daria spedizione dei mille ? » Espongo il ragionamento che avrà potuto fare il Comitato di ì.\Iilazzo e non lo approvo; soggiungo, a costo di proi;:urarmi acerbi rimproveri da amici cari, che il nome di Francesco Crispi è e rimane legato alla spedizione dei mille ed ebbe torto il carissimo Cavallotti - egli sa che non gli nascosi il mio pensiero a tempo debito - a voler negare o attenuare ciò che era la pagina più bella di Cri~pi, che del 1·esto non cancellava una lette1) 03 tempo ho cre<lnto clte il proéesso r-avilla, in quan~o rigu1rda la responsabililà di C· ispi si risolverà in una bolla di sapone una vo ta cbe sc0mparvero i documenl i Fa, illa-Contadino. ln que~to giudizio mi conferma questo hrano di uoa co, risponden1a romana al Pungolo di N~poli: « , i sono, poi, altre considerazioni, considerazioni lii falli, no11creali, ma crcclitati, ma legati, senza colpa elci p1·csenti,a gra ri momenti politici. a istituzioni alte dello Stato, a tutto un complesso di cose irresponsabili e di cui non sarebbe facile trovare i responsabili ».
mn n POPOLAllE DI POUTlCA LETTERE E SCIE~ZF, SOCTAU 21> ra sola delle molte pagine bruttissime, che per sua e per disgrazia d' Italia, in trentasette anni di vita pubblica e privata ha continuato a scrivere. Dala l'occasione, dato l'uomo, data la condizione in cui esso si trova il discorso di Milazzonon poteva essere se non quello che fu: ci doveva essere l'orgoglio, la fierezza, la megalomania, l'amarezza ; e non poteva mancare la punta della minaccia verso gl' imbecilli potenti, che se ne sono lasciati imp1urire in ogni tempo e che lo hanno ritenuto un salvatore. L'uomo è malvagio è fu nefasto al paese; ma il paese, almeno in certe regioni, pare che non meriti di meglio; è un dovere, perciò, l'esaminare ciò che egli ha detto e trarne insegnamenti, che non sarà colpa di coloro che li additano se non verranno tenuti nella dovuta considerazione. Francesco Crispi a Milazzo ha ripetuto il suo vecchio apoftegma : la repubblica ci dividerebbe la monarchia ci unisce; ma questa rolta l'ha infiorato con certi ragionamenti, che è utile rilevare con quella discrezione imposta dal Fisco bestiale di Roma. Alberto Mario sostenne brillanti polemiche, quali ~apeva condurle lui, per dimostrare che Vittorio Emmanuele non voleva saperne della spedizione dei Mille e che per lo meno voleva arrestarla al Faro. Gli sciocchi apologisti di Casa Savoja sostenevano il contrario conti-o ogni evidenza torica; Francesco Crispi, che non può e;sere sospettato di poca de,·ozione alici.dinastia regnante, ha dato ragione al cavaliere della democrazia, di cui vado glorioso di ripetermi amico e discepolo. La confessione di Milazzo non ha un valore re trospettivo, di cui potranno tranquillamente servirsi gli storici; ma serve, contro le intenzioni del suo autore, ad abbattere il ragionamento con cui cerca sorreggere il suo prediletto apoftegma. Vero, verissimo che nel 1 60 per raggiungere l'unità bisogn6 accettare la monarchia di Savoja, perchè questa era stata accettata già ed era forte, come ogni beato possidente, nell'Italia superiore; tanto vero che Mazzini e Garibaldi, e dietro a loro i migliori e più valorosi italiani, pur serbandosi repubblicani cooperarono a 1·iunire l'Italia sotto la monarchia. Risulta, però, da quanto si sapeva e da quanto Crispi ha riconfermato, che la Dinastia abauda non fu e non potrà mai essere il simbolo dell'unità; essa la avrersò p1·ima, indi la subì per sfruttarla in ultimo. L'apofLegma reggerebbe ·e l'unità fosse il /actum della monarchia; ma l'uni là esiste non pe.rchè la mona1·chia la volle e la impose, ma perchè la volle il popolo e la impose alla monarchia. Fu il patto, di cui parlò Crispi. Dunque la monarchia non può essere la conclitio sine qua non dell'unità, che non aveva voluto, che aveva sinanco avversato, ch'è il merito degli alti-i. In quanto ad una repubblica, che potesse distrurre la compagine nazionale, nessuno l' ha mai vagheggiala; siffatta repubblica non esiste che nella mente dei suoi calunniatori e persecutori. Se la repubblica quandocchessia, dovrà venire, non potrà essere che italiana; e tarderà più di quanto si può credere e desiderare, come altravolta scrissi in Die Zeit di Vienna, perchè non in tutte le regioni d' Italia l'idea repubblicana ha fatto la stessa strada; per• chè i più avanzati del settentrione poco hanno fatto per modificare la pubblica opinione del mezzogiorno e delle isole. Che la monarchia sia necessaria ali' Italia Crispi ha potuto affermarlo ed un coro d'ignoranti o d' interessati può ripeterlo in musica e in prosa ; ed essi avranno ragione sempre sino a tanto che a a coloro che pensano diversamente viene negata la libertà di dimostrare il contral'Ìo. E dice il vero Crispi quando soggiunge : non essere sparite in Italia dopo 27 anni le cuciture dei Sette Stati. Bisogna, però, integrare la verità aggiungendo: che i margini delle piaghe antiche non sono vivi e atti alla 1·iunione, diremmo così per prima intenzione, ma sono torpidi, se non incancreniti. E non sarebhe questo fatto la prova migliore per dimostrare I' impotenza delle vigenti istituzioni, a base di mastodontico ed iniquo accentramento, a 1·aggiungere il supremo risultato da tutLi vagheggiato, cioè : l'unitd morale vera tra le singole parti nelle quali prima ora di ,·isa l' Italia? Glis:;ons, n'appuyons pas ! * * * ~on spetta a me lumeggiare il senso riposto dello avvertimento dato al He sul rnlore della Sicilia. Pare che egli abbia voluto dire: guardate che qui sono ancora onnipotente e guai a coloro che non sanno tenermi nel dovuto conto! Lascio ai monarchici il compito, se ne sen1ono il dovere, di richiamarlo alla convenienza delle forme ed anche alla prudenza: il linguaggio che Giove Crispi adopera quando è detronizzato pare il più adatto a confermare ch'egli abbia avuto mano nella preparazione dei moti di Sicilia del 1893 per servirsene poi nel modo che tutti sanno. Nè sarò io, repubblicano, a protestare, contro l'ammonimento dato alla monarchia; aggiungo che questi avvertimenti dati ai Re 1·iuscirono sempre inutili. Rimasero celebri quelli. che Turgot non lesinò al sire di F1'ancia alla vigilia della grande rivolu,,ione. L'argo del Palazzo dei r•'ilippini non mi con• sente, altresì, d" intrattenermi come vorrei su questo giu,tissimo pensiero, che non perde nulla, nemmeno venendo da un France,,co Crispi: « nel- « l'ordinamento degli Stati la /orma di govei·no
RIVISTA POPOLARE DI POLITICALETTEHEE SCl.El\ZE SOCIALI « è mezzo, non fine. Il fine é il benPssere, é la « sicurezza personale, la potenza dello Stato e « il suo prestigio all'estero.» In quale modo e in quale misura gl' Italiani colla monarchia di Savoia abbiano raggiunto questo fine lo dica la storia contemporanea, lo dicano gli insequestrati quadri statistici del Comm. Bodio, non essendo permesso a me di esporlo. Mi è lecito però ripetere le parole, non inerì- . minate, dello stesso Crispi : che ricordando i dolori e i disinganni presenti, i momenti umili e tristi', che attraversiamo e domandandosi se valeva la pena di fare l'Italia per vederla qual'è, non fu cel'tamente mosso da crited esclu~ivameote subbiettivi; al più le amarezze proprie gli acuirono il senso della realtà e·gli fecero avvertire quelle del paese in giusta proporzione. Mi fermo invece, nel conchiudere, su i rimedi, ch'egli lascia intravvedei·e che adopererebbe se tornasse al potere e che gli vengono indicati dalla sbagliata percezione delle condizioni d' Italia. Sarebbe crudeltà insistere sulla esplosione di offembachiana superbia, quando si degna di affermare che l' Italia può essere grande anche ~enza di lui (!!). Per combatterla questa schietta manifestazione di megalomania, di paranoia, bisognerebbe riprodurre il celebre discorso del Conte d'Arco, nel quale a lui rivolto diceva: Siete troppo grande per l' Itali a ! Ma si può non sentire pietà, - non essendo più possibile l' ira contro un caduto, che non può più risorgere, - verso un incosciente, che non si rende ragione della propria incommensurabile responsabilità nel disastro d1 Abba Carima? È immensa la sua responsabilità perchè a me, come a taot'altri prima e dopo, nel citato colloquio ciel Dicembre 93 battendo sulla mia spalla agitato diceva: Non abbiamo esercito! Non abbiamo esercito! Non gli si potrà mai pe1·donare il disasti·o di Abba Carima perchè egli conosceva i numerosi rapporti del fido Conte Antonelli che desc1·ivevano al giusto le forze dell'Abissinia e che enumerava sin dal 1885 - se non erro - quei 200,000 nemici che Re Menelich spiegò contro di noi. ln quanto ai nostri quarantamila uomini pronti a prendere la rivincita contro il vincitore di Adua lasciamo che ne discorra un paranoico e commiseriamo quella gente che lo ascoltò senza costringerlo a scendere dalla tribuna improvvisata. In Africa quei 40,000 italiani erano raccolti non per vincere ma per divorarsi tra loro quando avrebbero esaurite le provviste. A parlare come parlò Crispi della revanche immediata contro Meuelicb, oramai in Italia non restano che lui, i giuocatori di borsa che speculano sulle nostre disfatte, i negozianti di muletti e gl' imbecilli, che hanno occhi per non vedere e cen·ello per non pensare. In It.alia tutto è possibile, specialmente in quanto al peggio; se non ostasse l'avanzata età e l'acca sciamento prodottogli dalla preoccupazione di poter sedere sullo sgabello dei rei tra Luraghi e Favilla, perciò, sarebbe anche possibile che Francesco Crispi, che del resto rimane cugino del Re (1), tornasse al governo, E in que5to caso l'Italia dovrebbe prepararsi a sventure maggiori morali e materiali, perchè l'arbitro dei suoi destini non sarebbe mutato. Egli rimane il grande incorreggibile! Di una cosa sola gli si <leve gratitudine: parlando a Milazzo non ha insozzato, come altre volte fece, il nome santo di Giuseppe Mazzini; e l'occasione non gli sarebbe mancata nel parlare della missione che avrebbe dovuto avere l' Italia tra le nazioni civili. Forse questa volta fu trattenut'l da un ultimo avanzo di pudore: egli avrà ricordato che non poteva nominarsi il grande di Staglieno senza fare ricorrere alla mente la quistione morale, che dal suo ricordo è insepal'abilc. E il pensiero della quistione morale impose a Francesco C1·ispi un freno che non conobbe mai pet· lo pas5ato. DR. NAPOLEONE COLAJANNI. ,,,,,,...._,_~ "-"- ,,,,......._~~ ~ LA LIBETÀ DI STAMPA IN ITALIA La gn1Ye c<I improvvisa SH'11t11raelle rnlpi il mi 11istl'Oguanlasigilli ci free sospencle1·enel 1111me1J·l0l'eccde11te la lettera aperta al medesimo 1·oleva indirizzai·c· il ycrc11lcrcspo11sabilc, clH' ora come pel passalo, invo<'a il processo. H.ipa,•iamo nlla ma11ca11zadi quella leltera ripubl>lican(lo clal Secolo ([uesto articolo clell'amico nostro Depulato Hobcrlo iUirabelli: scritto anche qua11cloil ìllirabelli ignorarn la sve11turn cielCosl3. Questo solo ci permettiamo di aggiungere alla climostrazione eflicacissima, politica e giuriclica, ciel rappresentante di Paola : coloro, che asse1·isco110esservi i11llalia tanta libcrtù, quwla, se non più, cc 11' è presso gli altri popoli civili, dico110 cosn fi1lsao pcrchè sono dei bricconi malricolat i o perchè sono asini dalle orecchie più lunghe cli quelli cli Pantelleria. I 11oslri lettori conf'ronti110 ciò elle ha scritto il Yalera sulla li])ertii cli stampa in logllilte1Ta e ciò elle scrive il i'1irnbeLI.i e ci claranno rng·ione. Al Mirabelli 11eUostesso Secolo poco dopo ha ratto eco l'altro amico nostro 011.Diligenti, clic ha ricordato casi speciali sulla illimitata liJ)crtà di stampa in Fra11cia. Un 1·ammarico dol)])iamo manif('Sta-rc c ce lo suggerisce il conteg110 di. certi g·io1'11aliseri, che . (1; Ad un_t_elegramma di con!l'ratula•ioni e di auguri per 1t suo natalrzro la regina d' ltal!a. sempre cortese, rispose sottoscrivennosi, come di prammllica: vostra cugina !lfargherita.
IIIYIST-\ l>OPOl,-\HE 1)( POLITICA J,ETTEHE E scmNZE SOCIALI '21 per misera paura di farr cosa sgl'adita ai s11periori non hanno voluto 111a11il"t• tal'C la lol'o l'iprovazio11l' eonlro gli al'bil1·i ciel Fisco, a ocianclosi al Secolo nlr /!olia del l'opolo. nl /l()1110. al 1'1111go/lJ e ;1i tauli altri dial'Ì, anchr mona1·chici - clic 1·i11gl'aziamo<li gran CllOl'C- i quali hanno l)l'Otc lilto COlltl'Oi frc- ((llCllli scqucstl'i, cli cui r vittima la llivisla . . \tanca n IOl'Oil senso della libcl'tà e 11011 i mostrano degni di esercitare l'alto mandato, che è confidato alla stampa in un paese libero, o che i crede tale. i"oi non esiteremmo mai a protestare contro le violenze che si potessero commettere cla repubblicani contro i clericali, come cl associamo con tutti coloro, che hanno levato un grido di sdegno per la _inaudita violazione epistolare perpetrata contro l'anarchica Agita~ione cli Ancona. Nella constatata mancanza di libertà tra poi troveranno risposta quanti ci hanno scritto per conoscere le ragioni che cl pennellerebbero cli rimanere monarchici in Inghiltel'l'a e che c'impongono cli essere repubblicani in Italia. Sono 1·agioni chiare come la luce del sole; ma il Fisco non ci consente di esporle. Ecl ora lasciamo la parola all'on. ;\lirabclli : Ho letto ier l'altro nel Pungolo Pa1'lamentare di Napoli una lettera Yivace, ma giusta. dell'amico Colajanni, che denuncia un quarto equesto toccato alla sua importanle Rivista Popola1·e di politica, lettere e scienze sociali : oggi ricern da Pel'llgia la risposta fatta ad un diario locale e sequestrata soltanto perche sottoscritta: I repubblirani di Pe1·ugia! Naturalmente non i farà il processo e l'ordinanza di sequestro è stata, di certo, emessa dal magistl'ato 1·equil'ente. Bel sugo - ho esclamata - a chiacchiei-are nel Parlamento italiano! E il ministro Costa ha dichiarato il 30 giugno che il Pubblico Ministero avrebbe preso in considerazione ciò che in quella tornata fu detto: « argomento - secondo le testuali parole sue - di serio studio per tutti, e più apcora per il governo !» Ma vedremo se seguiranno almeno i processi e se il ministro accetterà il responso del Supremo Collegio intorno al problema fondamentale da me sollevato in base alla legislazione nostra positiva ed all'autorità di giureconsulti e scienzati eminenti : se, cioè, la facoltà di emettere l'ordinanza di sequestro spetti al magistrato requirente, come usa in Italia, e non al giudice istruttore, come pl'escrive l'art. 58 dell'editto 1848, non abrogato dalle leggi su la stampa del 1852 e 1858. . ' . 11 mio rnto - non pii, seg,,esti·i - ha turbato gli ortodossi delle libertà pubbliche: mentre non contraddice nè punto, nè poco alla legge. li sequestro è una facoltà, non è un dovere : e l'ostracismo. che io invoco, segnerebbe un progre so nella storia ciYile e legislativa del no ti-o paese. li sequesto manca in Inghilterra, negli Stali Uniti: ed in Francia vive sotto una forma, che nou nega, non oblitera la libera manifestazione del pensiero. lvi non è l'apriorismo incivile del di1·itto punitivo, non è l'arma de' Yecchi tempi dispotici, condannata come una most1·uosità giu1·idica da Gneist, Mohl, Wahlberg, Marquardsen e altri : è più una maine mise, anzichil un sequestro. La risposta del ministro è stata: « Mi dia le leggi della F1·ancia sulla responsabiliù ed io accetterò la soppressione dei sequestri » - e, secondo lui, in nessun paese, come in Italia, la stampa ha maggiore liberta, anzi quasi maggiore licenza. Le solite bubbole ! E giustamente l'amico lmbriani lo ha rimbeccato : « In Francia e in Inghilterra l'ha dieci volte maggiore» - ed io: « In Inghilterra non si fanno sequestri. » E va d'incanto per la responsabilità che è un principio cardinale degli Stati democratici; - ma nessun privilegio: la responsabilità dev'essere comune a tutti! Nè il ministro ha potuto contraddire. . .. Ho ricordato la parola alta e sdegnosa, con cui pit1 e più volte l'on. Colajanni ha chiesto il processo, in seguito a' sequestri della sua Rivista - che spesso, mirabilmente e coraggiosamente, nella sfera superiore della scienza e dell'arte, tratta i problemi più ardui della politica, della letteratura e della sociologia contemporanea. E di qui la persecuzione. Alla Rivista sua, come ad altri importanti diari italiani. La stampa illuminata, condizione essen- :::ialedi -i;ita de' liberi 1·eggimenti, è con ogni studio - diceva il Mancini, nel '76 - dai gove·rni fiacchi pe1· diffiden:::a e paura. E il equeslro - non seguilo da processo - è una confisca, un furto: per la legge su la stampa il sequestro è necessariamente coordina1o all'azione penale. 11 Mancini ravvisaYa in ciò uno tra' più cospicui dove1·i de' reggitori della cosa pubblica: e, dopo il '76 anche i ministri Confo1·ti e Zanardelli testimoniHono, con circolai-i speciali, il 101'0 al1o rispeW> alla libera stampa, come forma necessaria del pensiero autonomo e solenne eforato mo!'ale. Jla il nucleus o cytoblastus della disputa era ed è: che il magist1·ato requi1·ente non ha - per l'art. 58 dell"ediitto alcertino - la potestà di or-dina re i sequestri. Quistione fondamentale di libertà: in quanto che l'istituto ciel mmistero pubblico in Italia è rappreientante del potere politico presso l'autorità giudicatrice, e t'icorda, contro la tradizione classica paesana, gli avrncati delle Camere di Francia e d'Inghilterra - non la potestà, sognata da Pietro Ellero, come a Sparta, Roma e Venezia, di efori, tribuni e aVYogaclori. Invano ho cennato nel Pal'lamento la dottrina del Mangia, del Le t:ìellyer e più specialmente la dotla interpi-etazione del Chassan su gli articoli 6 e 7 della lerge f,.ancese 2(5 maggio 1819. da cui furono letteralmente copiati gli articoli 57 e 58 dell'ediUo albertino: inYano ho raffrontato l'al't.. 58 con l'art. 52, che - implicitamente - corrobora, senza alcun dubbio, la dottriaa nostra, e l'art. 52 con l'art. 51, da cui si evince che - esplicitamente - il sequestro dello sc1·itto è escluso: invano bo dimostrato la palmare confusione del miuist1·0 Yilla nella circolare del :23 luglio 1880 di due disposizioni legislative e di due capi dell'edit-
28 RIYISTA POPOL,Um DI POLITICALETTF.RE F: SCIENZESOCJAJ,I to distintissimi, e l'errore suo evidente nella citazione del Chassau. Il Chassan confutò un'opinione del Parant, sostenendo eh' è devoluto al procuratore del re il diritto di emettere l'ordinanza di sequestro, quando si tratta di contravvenzioni; ma nel caso di sequestro, dipendente dall'art. 7 della legge francese 1819 - che corrisponde al nostro art. 68 - il Chassan nettamente sostenne che il di1·itto è devoluto al giudice istruttore: e anzi l'emerito criminalista francese si fece forte dell'autorità rli De Berny, per concludere che esclusivamente a lui - e non ad altri - appartiene questo diritto eminente in un regime di libertà. Ed una sciocca circolare - che in siffatta guisa confonde e sproposita - è stata invocata dal Costa, come espressione de' p1·incipii veri cli ermeneutica legale e della civiltà politica iotorno alla libertà della stampa! Senza aggiungere, come io gli feci notare, che anche in quella circolare la fucoltù del magistrato requirente fu giudicata per sua natura eccezionale. « Di conseguenza - disse il ministro Villa - nell'esercizio della medesima i rappresentanti il Pubblico Ministero devono attenersi rigorosamente alle disposizioni degli articoli 46 e 55 del codice di procedura penale, e limitar~i ad ordinare essi stessi il sequestro degli stampati soltanto in quei casi di urgenza, in cui non sia possibile un sollecito provvedimento del giudice istruttore ». Oggi invece - per pratica costante - il giudice istruttore scompare : e scorazza allegrameute la scena il magistrato requirente ! Ma il Costa ha detto di più : ha detto che « quando si pubblicò la legge del 1848 il Pubblico Ministero, per l'indole della sua costituzione fino al 1854, non aveva la facoltà di procedere ad alcun atto d'istruzione, neppure in caso di flagrante reato; quindi l'articolo 58 della legge sulla stampa era un portato necessario della istituzione del Pubblico Ministero, quale allora vigeva. Ma, trasformato il Pubblico Ministero; data a lui la fa. coltà di procedere nei casi di flagrante reato ; pubblicata prima la legge del 1854, e poi l'articolo 46 del codice di procedura penale, si è ritenuto che questa legge, come legge d'indole generale, avesse la sua applicazione anche alle attribuzioni del Pubblico Ministero, dipendenti da leggi speciali~. Quanti abili errori - e mi duole usare questo linguaggio verso chi per me è stato di una deferenza davvero cortese - in poche parole ! Avrei risposto subito al ministro - se non mi fosse stato interdetto dal regolamento e dalla impazienze di una Camera più disposta a votare che a disputare - avrei risposto che l'editto del 1848 contempla e disciplina i doreei e i diritti del magistrato requirente n<'ll'esercizio dell'azione pubblica, e che, in forza di una testuale disposiziooe, fu data a lui facoltà di sequestrare sì,- ma i disegni, le incisioni, le litografie ed altri emblemi: nè più, nè meno. Ora, se gli fu vietato il sequestro delli scritti stampati, la ragione non può di pendere dalla cos1ituzione del Ministero Pubblico nel 1848, fino al 1854; - ma è quella significata dal Chassan, che il legislatore non ha voluto mettere nelle stesse mani l'azione e l' istruzione : tanto più se si consideri che, dopo il 1854, fu promulgata una nuova legge rea· zionar a su la stampa, e l'articolo 58 dell'editto a1bertino non venne mica abrogato. L' alti-a obiezione, che è desunta dalt' art.. 46 del codice di rito penale può parer meno futile: ed io, senza più inte, l,,quire direttamentf', cedo qui la parola ad un giurecon•ulto preclliro, che fu presidente delJa Camera dei Deputati e<l appartenne alJa vecchia Destra del Parlamento i1ali>1no. Adriano Mari scris~e- nel 1876, così: « L'art. 58 della legge sulla stamra stabilisce nel mr.do 1I più chiaro, che la facoltà di ordinare il sequestro delli ~cri1ti stampati, che abbiano dato luogo alr istanza del Pubblico Ministero, che esercita razione penale. ed alla quelera della parte offesa, spetta esclusivamente al Giudice istruttore. Nè va1·rebbe obiettare che a forma delra1·t. 46 del Codice di procedura penale il Pubblico Ministero nei casi di flagrante reato ha facoltà di procedere a tutti gli atti ed alle operazioni occorrenti, onde assicurare il corpo del de'itto, ed usa a tal fine delle facoltà attribuite dal Codice stesso al Giudice istruttore. In una materia tutta speciale, com'è quella dei reati di stampa, regolata da apposita legge, e in quan10 questa abbia provveduto. non si può ricorrere alle disposiziuni del Codice di procedura penale. Alla legge generale deroga la legge speciale ; r, dove questa ha stabilito certe forme, non è lecito di ometterne la osservanza, invocando regole generali che soltanto nei casi ordinari possono avere la loro applicazione. « Ognuno del resto comprende come nei delitti di stampa sia necessario più che in altro caso procedere con ritegno e con cautela p, ima di prnndere misure che possono considerarsi o che effet1ivamente sono altrettante restrizioni di quella libertà, che la legge intese di gar·antii-e: e come sia provvido e ragionevole il precetto della legge che l'ordine del ~equestro parta dal Giudice ist, ut1ore e non dal Pubblico Ministero. Questi, sotto certi rapporti. è come una emanazione ed uu rappresentante del Potere esecutivo; e qualora si trattasse di 01"dinare il sequestro di scritti che conten0ono attacchi contro il governo, pot, ebbe parere, e qualche volta essere anche voro, che il Governo la facesse da giudice e parte e volesse impedire che la pubblica opinione si pronunziasse, mf'ntre importa sommamente che le misure reclamate nell'interesse della giu,tizia vadano esenti da qualunque sospetto d'ingerenza e di pressione governativa. « Quando si tr;,tta di offese commesse contro privati col mezzo della stampa, non neghiamo che possa ordinarsi il sequestro degli scritti incriminati; ma anche in questi casi l'ordine deve emanare dal Giudice istruttore, pe, chè la legge 11011 distingue e non conferisce mai tale facoltà al rubblico J\linistero '>. Quest'interpretazione dell'art. 46 del codice di rito penale, in rapporto all'art. 58 dell'editto albertino, è dawero consona a' principii sani dell'ermeneutica legale e della civiltà politica intorno alla libertà della stampa.
RIVISTA PQPOLAREDI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI Io ho tentato di dimostrare che i processi di carattere politico sono vani e pericolosi: esaminando scientificamente la natura di queste infrazioni intellettuali, che si addimandano i delitti di stampa: ricordando i pentimenti del Guizot, che co' suoi processi nocque alla dinastia degli Orlèans, e la confessione preziosa di Thiers al Corpo legislativo di Francia nel 1868, entrambi magna pars di quel movimento politico reazioIJario francese, da cui uscirono le leggi di settembre, alle quali attinse il legislatore sardo per l'editto del 1848: ed osservando che il celebre decreto del 27 nevoso anno VIII non giovò al Consolato, nè le Ordinanze di luglio e il decreto di :\'apoleone III su la stampa salvarono Carlo X e l' Impero. I processi di stampa sono vani e pericolosi, anche quando - secondo l'autorità inconcussa di Camillo Benso di Cavour - la stampa ecceda. Ma che! Molti son di credere che bisogna reprimere gli abusi della stampa - rispettando la libertà. Ed è qui che casca l'asino! Costoro stimano possibile ciò che parve impossibile al conte di Cavour - il quale, non nel 1858, come ha detto il ministro Costa, ma nel 1852, senza peritanza affermò che « il mettere d'accordo l'esercizio della libertà della stampa colla repressione dei suoi abusi è impresa, non che difficile, impossibile». E - se è impossibile - la conclusione democratica è che non si deve attentare all'esercizio della li· bertà della stampa - eh' è uno de' cardini, su cui poggia il regime rappresentativo, uno de' principii fondamentali della civiltà politica contemporanea. Termino con una considerazione malinconica! In Francia, quando furono emesse le Ordinanze di luglio, Thiers, De Rémusat e altri 42 giornalisti decisero di resistere, anche colla forza, alle Ordinante. Ma in Italia la stampa mostra di non accorgersi nemmeno della discussione, che si fa intorno alla libertà sua, nell'assemblea legislativa del paese! · R. ~[IRABELLI. L'educazione tragliAnglo-Sassoni Ellmoml De111oli11slo, scrillorc che nella Science sociale coni inua, ampimitlola e 1·imoclcmanclola, la scuola (li l,c Play, ha pubblicalo un l.ibro, elle ha acquislalo molla rinomanza in Francia e f'uori in l)rcvc volg·crc tli tempo. Egli ha riccl'calo e sludialo, le cause, che atlualrncnLe p1·otlucono la supc1·ioritù clcgli Ang'lo-Sassoni (1). In questo momenLo in cui il momlo civile s' inte1·es a LanLoclella grnnclezza cl' Inghillcrn1, eh' è stata illuSLl'ala in Lutti i modi e in Lulli i sensi eiai g'iornali, dagli opuscoli, clalle riviste, dai libri in occasione delle 1w.::;.::;c di diamante clella regina Vittoria, il lil)rn ciel Demol.ins non poteva capila1·c più opportunamente. Non importa inlrauc11c1·si su lllllo ciò elle il nostro sr1·i!Lo1·c r1·oncamenlc affcl'ma sulla stessa Inghilterra (1) Edmond DemoliQs, ,l quoi tient la superic,rité des Anglo-Saxons. Paris. Maison Didot- - ntl esempio sulla niuna ingerenza clello Stato sullecose economiche e nella esplicazione della vita sociale - ; nè sugli esagerati entusiasmi per gli anglo-sassoni ; nè suUc sue ccrvelloliclle asserzioni e previsioni su.I.socialismo. ìllcno ancora agli italiani, tanto prolifici, importano le sue geremiacli sulla natalità francese conlinuamcnlc clecrcscente; ma, invece è clegno cli formare tutta la loro aLLcnzione ciò che egli espone sulla scuola e sulla cclucazionc degli anglo-sassoni, perchè (ICI problema della scuola e clell'educazionc pc1· fare davvero degli italiani, tra noi ci si occupa a sbalzi e con molla enfasi rettorica, quando le nostre piaghe sanguinano e man<l,rno sec1·ezioni purulrnt.i con mag·giore YiOll'nza, pc1· acq11et;11·cei atlclonnenLarci poco (topo s11llo sla/11q110 - pl'ricoloso pell'avvc.. ni1•e (!ella p,1Lria. In fondo in rondo nulla Ycr·amcntc cli nuovo ci apprende il J)cmolins; poichè nel Taine, nel William Escoll, nel .llax Lrclcrc - per H(!minarc scriLLori reccnli, i <:ui nomi mi ve11f;-ono01·a alla mc moria - sull'essenza <lell'c.clurazionc e sullo spil'ito, che ell'gg·ia nelle scuole dcg·Ji a 11glo-sassoni cose anaJogllc a q11rlle <la lui delle si 1·im'(•ngo110. n clircLto Lorc clclla Sr-ic11rcsorialc pel'Ìl, a11cllc ciò che 11011è nuovo l'Sf)0IICsistrlllalica me11Le(' llrnc e l'ÌCSCCa tìssa1·Jo nella IIOSLl'im.1cnlc. Sviluppando un idea che i11questa stessa Rivista venne l'ifcrila colle parole elciDc Gl'l'C'I'. il Dcmolins assic11ra che il lipo clcllc Società escr·cilauna influenza clirelta sul modo <lc1Jc(l11cazionce crea il 1·cg·irne scolastico che gti è aclallo. Ora i tipi di sociclù coi Ire regimi scolastici co1Tisponclc11tisono t1·e: J O Società a lormazionc comu11itai·ia cli famiglia : p1·cva1g·ono in Asia e ucU' Europa oricutalc. Si co111a poco sul!' individuo e mollo sulla fi.11niglia; pci•ciù si lia l'ctlucazionc nella famiglia e per la famiglin. 2° Società a formazione comu11ilal'ia tli Stato. La grande comunità dello Slalo sosliluiscc la l'amiglia. Prevale nel!' Eul'opa occi(lc11Lalc, in Germania e in Francia specialmente. Si conLa sui posti ncl.l'arm(lla e nell'ammiuist1·azionc e perciò sug·li esami e ui concorsi. L' inscgnamcnle mil'a a gundng·na1•1i e poggia sul cfto11.(fagc, sul sm·mcIwr1e scolastico; il tipo di scuola che vi C0l'l'ispo11dcè il gro11dc i11lcmalo, chr crea funzio11al'i di stato. 3° Socictit a fbl'lnaziouc parli<·olarista p1·cval<'1llr Lra Scandinavi cd Anglo-Sassoni. :\rl tipo co1Tispo11clcntc cli scuola si cdLtcano indiviclui elll' de,·0110 l:lastal'C a loro stessi. Il Lipico sociale prevalcnlc in F1·ancia, in Ccrnrnuia sal'ebtJc sccon<lo il. Dcmolins il 2°; e perciò il regime scol.astico corrispondente serve a fonnarc f'1111ziom11·J, non uomini. E quin(li l'Alcmagna nuova 11011puù p1·octmTc che il militarismo, il funziom1rismo e il socialismo. 'l'l-e qua1·ti elci francesi sono educati µc1· ('Hserc ca11diclali alle l'uuzioni cli gon'rno. Trn i c;111diclali c'è una selezione che si ollicnc: cog'li csa1ni, colla protczionc, colla nascila. Si riesce negli esami col cftauffage, che consiste nel dare nel minor tempo possibile mw co11osren~asuperficiale, ma 111omentanean1entes11f(icienledelle materie cl'1m esallle. D'onctc tma necessaria superficialità clcgli studi ccl un sistema aclallo a formare fm1zionai·i civili e militari, che òc--
30 RCVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SClliNZE SOCULI vono abdira1·c alla loro volontà; sistema che riccYcttc. un puntello da Napoleone 1° coll' islituzionc dcli' Internal, dei collegi. Gli scarti, che non riescono ad afferrare l' .impiego, si danno al commercio, alle industrie cd anche all'esercizio delle prof'cssioni liJ)c1·ali, senza una co,n-cnicnte p1·cpan1zionc Non è u1)e1·iorc il ,·cgimc scolasliro te(lcsco, la cui Ct'itica più fiera dal punto di vista prntico, politico e tecnico venne faUa - sebbene con intendimenti interessati e dinastici - dello stesso l111pcraL01·cGu- ~iclmo n•. Chi non vede n rolpo d'occhio rhr i. dif'clli dcplornli nl'I t'('g'illll'scolastico. nel sistema l'ducativo dei francesi e cll'i le<ll'Schisono p1·ccisame·111cquelli, che si rirnprm'l'rano al rcgin,c scolastico cd all'educazione degli ilaliaiù? Chi non deplora la superficialità elci nostri studi, lo clta11/fagc per gli esami, preparatori alla caccia dcll' impicg·o? E chi non a che le norme per sopprimere la volontù e fare drgli eunuchi mo1·.1b11entctanti anni or sono f'urono esposte mirabilmente nel Gi11gilli110 dalla buon anima cli Jleppe Giusti? * • Divc1·samcnlc pensano gl>inglesi: diversnmente clhLc..tno gli Anglo-sassoni in grnr1·c inspirando i agli insegnamenti della scirnza sociale. La quale in fallo cli educazione trova la ragione delle 11·asforrnazio11inecessarie nella incessante trasformazione dei mezzi di produzione e di trasporti, in alld termini dei mezzi lii esistenza. .\lt,·a mila tullo tenclcva alla tradizione e ali.i stallilitù colla pl'oduzione n('I pitcolo opificio, in f.1111iglial' a ()0111icilio.Oggi tutto 1e11de al n10\'i111rnlorapiclo e intenso. Alla vita calma e pacifica di ,wa volla col gra1Hll' opificio·e colla grande procluzionc, si L' sostiIuila una vila cli rapilla e continua tras!ornwzi0II('. Qursta la r·ausa (lc•llacrisi odierna; la sua direzione è verso uno slato nuovo. Deve falli1•cqualun- <1uceducazione inquadrata nell'anlico e che non ticuc conto nè dell'una nè dell'altra. L'educazione i1115'lcscè la più adatta ad otlcnerc il risultalo piìi soddisfacente : essa ra degli uomini !orti, elci cri liani intcLLigenliche si appoggiano sulla propria volonlà. In questa spiegazione dello adattamento clcl1·egimc scolastico al regime della prodttzione perchè quello dia un a,·moDica cnicicnza cclucaliva ci si scnle I' inllucnza clella concezione materia lislica cl ella tori a : uon si può dire, pc1·ò, ch'cs a sia sbagliata. Certo è elle il criterio clircllivo degli inglesi in fallo di scuola e di educazione clilfcriscc da quello dei Ialini e dei tedeschi; è lulto vita è tutto movi111c11toe tende a trasforni.11·ee adallarsi continunmente alla C\'0luzione sociale per influire alla sua \'Olla su quest'ultima. Si noti, intanlo. che gli anglo-sas oni i quali ai fini pratici della vita uvenmo già un regime scolaslicoeducatirn di tanto superiore al nostro, non ne sono picnamc111e ocldisliltti e ,·ogliono 1·ilormarlo e perfezionarlo. La scuola e il collegio inglese nel programma e nella pratica si propongono da tempo di preparare i giornni a Cl'carsi eia loi·o stessi u11a posizione. Ora e' è stato chi in Inghilterra non si è dichim·alo sodd isfalto della prcpa razione che si otteneva pcl 1>assato cd ha proposto ccl in parte ha attuato delle ri• forme. Cccii Jlccldic, l'educatore lipico inglese, è questo 1·ilormatorc, che non solo vuole migliorare il collegio, ma mira sopratutto a riformare le università. Qttestc, a suo avviso, come tutte le vecchie corporazioni non sono padrone di loro tesse; uno spettro invi ibile e intangibile sta al clisopra del rettore e degli insegnanti: lo spirito del.la tradizione e della rouli11e. Il Rcdclic, le cui idee sono state tradotte in pratica colla fondazione di una scuola i11Abbotsholmc (Derbishirc) in Ottobre 1889 pc,· opc,·a sua, e co11un'altra sullo stesso tipo a Uctlalcs (Sus cx) per iniziativa di Jladley, Yuole una educazione che evita il s11rme11agc intcllcuualc e quello allelico - o fisico - eh' ì.· stato 1·irnpro\'crato agi' i11glesi,e che possa riuscire ad u110 viluppo armonico cli tutte le facoltà umane. Chi \'i ila le suddette due scuole 1·iccvc la scnsazionr della vita reale e non artificiale; ivi si riproduce l'aspetto della casa patema e non quello della cnscrma. J/ istruzione classica, manuale cd arlislica è ripartila così: lavori intellettuali cinque ore; e, e1·cizì fisici e lavori manuali quall1•'orc e mezza; occupazioni arti tichc e ricreazioni cluc 0l'C r mezza; sonno non: ore; pasli e tempo libero tre ore. li mcto(lo nrgli studi è clomi11ntoclai p1·inc1p1seguenti : « l\lctlc1·egli allievi i11rapporto colle cose e colle pm·olc che le esprimono, in modo da ))l'0CCclCl'C dal concreto all'aslrauo; educare i giovani ncl1'idea di fare II o di ciò che loro è Lato insegnato e col desiderio di app1·cndc1·ceia loro tessi, cnza lo stimolo delle ricompense, e dei premi ». Secondo le iclcc p1·cvalc11Liin Ingltiltcrra e negli Stati 11ili, il metodo che consiste nello spingere al lavoro coU'cmulazienc trn gli allievi è dif'clloso: esso foncla il progrcs o sulla mutua gelosia e 11011sul sentimento del dovere. Nel!' in egna111r11lodella storia si segue un metodo che tcnclc ad eccitare r interesse « per mezzo della osservazione della ra11sa e clell'effe//onei caratteri e nri mo,·imcnti del dramma, invece di far lare alla mcmoi·ia una passeggiata attravcr o ai n,lli e alle date. U D1·.ncdclic considera come un punto importante r i11izial'Cgli allievi alla conoscc11zndegli alfari esterni; perciò, ali esempio, confida loro clcgli incarichi scriissimi, li manda a 1·itirarc clcnari dalle Banche etc. Gli colari pubblicano un giomalc (Scltool 111aga- .:;i11e) eh· è una specie di c1·onaca degli avvenimenti della scuola co11illustrnzionc e parte lcttcnu·ia. Infine le massime seguile dagli anglo-sassoni e dagli scm,ctinavi 11cll'cclucazio11c,generalmente, sono le seguenti: 1° I parenti 11011co11sidcrano i loro figli come appartcne11ti a loro, comr la loro cosa, come una semplice continuazione della lol'Opersonalità, u11aspecie cli soprawiYcnza di loro stessi; 2° i parenti t1·attano i figli, sin clagli inizi e sem-
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