Rivista popolare di politica lettere e scienze sociali - anno II - n. 12 - 30 dicembre 1896

\ RIVISTPAOPOLARE / DI POLITICALETTERE E SCIENZESOCIALI Direttore: Dr NAPOLEONE COLAJANNI DEPUTATO AL PARLAMBNTO ITALIA: anno lire 5; semestre lire 3 - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. Anno li. - N. 12. A66onamentopo,ta/e Roma30 Decembr1e896 Sommario. Dr. N. CoLAJANNI- Verso la Banca di Stato. X. - La Scuola (Breve sunto della prolusione di Bovio al corso di storia del diritto). G. BoNAGIUso - L'ultima fase della carità ctistiana. Lo ZOTICO- La delinquenza della donna. EUGENIABALEGNO- L' Immagine poetica. LUIGI GIULIANO- " Alla Natura ,, di Mario Rapisardi. Gumo ANDREAP1NTACUDA- Ada Negr'. Sperimentalismo Sociale - Il contratto di lavoro (secondo it 11uovo codice tedesco). Notizie Varie - Le studmtesse italia11e - Al Polo Nord - Gli mobs. Recensioni - Pasquale Gurino: Il Cavaliere - E. De Roberty : Le bim et le mal. Note Bibliografiche - Jules Destrèe: .A.1·/ et Socia/inne - Prof. F. Zanella: Da Da11te ..Alighieri a Torquato Tasso -= Per il wcre e per la meute - Contegiacomo G.: Borghesia nuova. VERSO LA BANCA DI STATO. La lotta americana, chiusa colla vittoria di Mack Kinley, in Europa sorprese molti che non riuscivano ad immaginare che una piattaforma esclusivamente economica potesse alle elezioni appassionare tanto febbrilmente le masse. Costoro dimenticavano che dove la evoluzione politica è avanzata e quasi illimitata la libertà, altre vere lotte non sono possibili che sul terreno economico. Dovunque invece è scarsa la libertà e lenta la evoluzione politica dev' essere sempre maggiore l'interessamento per le riforme a questa attinenti e minorti per le controversie d'indole economica, che pur sono quelle veramente sostanziali. Se ciò è innegabile, non può però non arrecare maraviglia l'indifferenza, l'apatia somma del popolo italiano di fronte a due quistioni economiche che sono state dibattute testè a Montecitorio e che sono di una importanza grandissima per l'avvenire della nazione: quella della formazione del nuovo catasto e l'altra sui provvedimenti presentati dall'on. Luzzatti pel risanamento della circolazione bancaria. Dir6 altra volta di proposito della prima ed ora m'intrattengo della seconda. Sorvolerò sull'allegro dibattito tra l'on. Sonnino e l'on. Di Rudinì sui decreti legge ; entrambi reciprocamente si rimproverarono quei decreti, che sono divenuti una triste specialità dell'Italia, e non riuscirono che a dimostrare con scarsa edificazione del pubblico, che sono entrambi colpevoli di atti che da deputati giudicano riprovevoli e da mini• stri compiono senza esservi costretti da vera neçessità: ed è superfluo il dire che nella gara del palleggiarsi l'accusa il primato indiscutitibile nella violazione. delle leggi e dello Statuto rimase al Sonnino. Dissi che il dibattito fu allegro per adoperare la sola parola ~!quanto parlamentare, che mentre scrivo mi viene alla mente. Ma questa discussione sui decreti-legge è un episodio, che si è oramai ripresentato perecchie volte e non interessa più alcuno, perchè nessuno crede più sul serio che in Italia ci siano garanzie costituzionali e ci sia uno Statuto da rispettare. Invece qualche increspatura alla superficie delle acque stagnanti, nelle quali navigano i deputati, v~nne determinata dalla discussione sulla quistione bancaria, la cui estensione certamente non poteva apprendersi dal titolo che portavano i provvedimenti presentati dal ministro del tesoro. * * Gl' ingenui crèdevano che colla legge del 10 agosto 1893 si fosse dato un assetto definitivo all'ordinamento degli Istituti di emissione ; ma coloro che avevano guardato un poco più a fondo il problema sapevano che esso si sarebbe tosto ripresentato abbastanza minaccioso e non mancarono di enunciare previsioni sinistre, che procurarono loro la fama immeritata di denigratori del credito o almeno di malaugurati profeti di sventura. Purtroppo a costoro è toccata l'amara soddisfazione di poter dire oggi che anche le previsioni più pessimiste furono sorpassate; e i facili accusatori di una volta adesso non oserebbero far mostra di indignarsi contro coloro che pochi anni addietro vennero additati come scellerati provocatori di scandali. Ho quasi da rimproverarmi una specie di vigliaccheria in proposito; perchè impressionato da coteste grida di non sentita indignazione, non de-

222 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI nunziai a tempo debito ed appena vennero a mia conoscenza le turpitudini dell'Immobiliare, l'ultima immobilizzazione della Banca d'Italia, le gesta del Favilla a Bologna. Gli on. G. Fortunato e Salandra, tra gli altri, sanno che tali fatti li conosceYO da un pezzo· e non li svelai, come quelli della Banca Romana, perchè trattenuto dalla paura di essere ancora segnalato come demolitore del credito italiano. A questo, infatti, si è pervenuti in Italia: la verità si chiama scandalo e si afferma che si sostiene il credito sottraendo alla giusta punizione i saccheggiatori delle pubbliche e private sostanze! Se compiacenza ancora ci pu6 essere nel vedere confermate dagli avvenimenti le proprie previsioni nessuno al certo vorrà negarne il diritto a me che nella discussione bancaria dèl 1893 il giorno 25 Giugno segnalai una situazione disastrosa non creduta allora nè da deputati, nè da ministri. (1) Allora dimostrai, nel fare la sezione cadaverica della Banca Nazionale, che le perdite sue nascoste pietosamente sotto il nome d' immobilizzazioni superavano il suo capitale e che perciò lo Stato riaffidava il 'diritto di emissione ad un Istituto, che a norma delle prescrizioni del Codice di Commercio avrebbe do• vuto essere dichiarato in istato di fallimento. Tutte le situazioni posteriori e le relazioni degli Ispettori non hanno potuto smentire l'esattezza delle mie affermazioni confermate a luce meridiana dalla diagnosi acuta fatta da Giacinto Frascara dello stato attuale della Banca d' Italia; e questo è tale che degli 800 milioni di suoi bigLetti in circolazione appena 150 furono durante l'anno 18!)5 dedicati alla vera circolazione: il resto venne assorbito in massima parte dalle immobilizzazioni. Che cosa valgano queste immobilizzazioni lo dica il fatto che i redditi che esse danno non sorpassano le spese relative. E lo rilevai nel 1893. Gl'ignoranti e gl' imprevidenti oggi sono rimasti sorpresi all'annunzio che il credito fondiario del Banco cli Napoli non fosse in condizioni tli far fronte ai propri impegni; ma esse furono da me descritte nella suddetta tornata parlamenta~e del 25 Giugno 1893 in modo tal.e che vale la pena di far conoscere, riproducendo integralmente dal resoconto ufficiale le mie parole. Dissi allora : « Il credito fondiario in casa nostra è fondato su basi interamente sbagliate; facendosi con un interesse elevato non può permettere l'adempimento degli impegni a coloro che li contl'aggono, ancorchè tutta la buona intenzione esista in essi. La Banca Nazionale e il Banco di Napoli (alsaron? altrosì l'indole del (1) Da anni ed anni, prima di me, aveva gettato un grido di al• Jarme sui disordini bancari l'on. Luigi Diligenti; ma non ostante l'Innegabile sua competenza non venne mai preso sul serto I credito fondiario facendo le operazioni sopra proprietà non redditizie .... .... Le proporzioni della crisi del credito fondiario ci sono ignote completamente e la inchiesta Finali non ci fc rnisce i particolari necessari che dovrebbe dare. Non lo può e forse uoa lo vuole, perchè troppo gravi apparirebbero le condizioni degli Istituti che nelle operazioni di Credito fondiario sono maggiormente impegnati, cioè a dire, del Banco di Napoli e della Banca Nazionale. Sul credito fondiario del Banco di Napoli si narrano fatti veramente enormi, scandalosi: si arr:va a dire (forse la voce sarà falsa) che si sono fatte operazioni di credito fondiario su prop1·ietà, su fondi inesistenti; ma si sono_certamente fatte operazioni su proprità valutate in un modo veramente indecente, perchè si è più che quadruplicato il valore dei fondi. ( Commenti) p. 5436 e 37. * Una circostanza che nessuno rilevò nella recente discussione bancaria è questa: che se la responsabilità dell'on. Giolitti nell'avere fatto accordare ad istituti falliti il diritto dell'emissione fu grande, non fu minore quella dell'on. Sonnino, che alla legge del 10 Agosto 1893 dette esecuzione. Egli tentennò e si sperò da alcuni che non avrebbe data esecuzione alla legge; i motivi non sarebbero mancati. Nè può dirsi che ignorasse la verità perchè mi era stato compagno nella lotta del Giugno e Luglio 1893 e i suoi calcoli sulle condizioni della Banca Nazionale di poco differivano dai miei. Sul Banco di Napoli oggi poi osò affermare con un ottimismo inconsulto che non erat periculum in mora. Ei.Jbene egli stesso nel decreto del Febbrajo 18!)5 non confessava che il patrimonio del Banco di :fapoli era in gran parte una parvenza contabile? I rimpreveri, adunque, che l'ex ministro del 1'esoro ha rivolto al suo successore non sono fondati ; ed all'on. Luzzatti, perch'egli ha detta la verità sul Banco di Napoli e sul suo Credito fondiario, va data quella lode che non lesinai all'on. Sonnino quando disse la verità sulle condizioni reali della finanza italiana. i\Ia l'uno e l'altro sulla situazione bancaria e su quella finanziaria dello Stato dissero tutta la verità vera ? Non oserei affermarlo. * * Le cause, che condussero alla rovina dei nostri Istituti di emissione - il più sano dei quali era e rimane il Banco cli Sicilia - sono note; ci6 non ostante giova riassumerle perchè servano d' inse gnamento per l'avvenire. La lotta intrapresa dalla Banca Nazionale contro i due Istituti autonomi del mezzogiorno e contro la Banca Romana per arrivare alla Banca unica - che fu il sogno maledetto del Grillo - -non sarà mai stigmatizzata abbastanza: attorno a quella

RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI 223 lotta furono gli errori e le colpe minori degli amministratori o pazzi o inetti o disonesti, tanto che l'on. Luzzatti rispondendo all'on. Sonnino intorno al Banco di Napoli potè dire: (( Là, nelle casse di quel Banco attingevano tutti: dai pubblicisti senza pubblicità, agli avventurieri di ogni genere, e il fido concesso a questi veni va sottratto agli onesti commercianti, agli agricoltori, ai proprietari; così avvenne il saccheggio ». E fu un vero saccheggio. Però, e' é dell'altro che non può essere dimenticato. Gli errori e le colpe dei preposti all'amministrazione delle Banche, e dei governanti imprevidenti o corruttori, che facevan pressioni sui primi non sono la causa unica del dissesto; al quale contribuì grandemente il dissesto del paese, che gli Istituti di emissione rispecchiano. Le sofferenze della economia nazionale si sono tradotte in sofferenze bancarie, di cui divennero un esponente ; mentre le sofferenze della Banca d'Italia nel 1895 furono di L. 1,354.000 sopra 1100 milioni di sconto cioè di 123 per 100,000 ; quelle della Banca di Francia non furono che di L. 400,000 circa sopra 8,600 milioni di sconto cioè appena 4,65 per 100,000, Per quanto forte sia stata l'inettitudine, la disonestà dei direttori delle nostre banche, si deve pur riconoscere che la differenza enorme dei risultati trovò la sua base essenziale nelle -condizioni economiche del paese. La qual cosa dev'esser bene tenuta presente da chi voglia cercare rimedi efficaci ai mali deplorati. * * * Intorno alla constatazione della pessima situazione degli Istituti di emissione non ci sono disaccordi. Ma che fare per ripararvi? Poteva, doveva intervenire attivamente lo Stato ? Non è il caso di discutere sulla - efficacia dei salvataggi: mi rimetto a ciò che il Prof. Pantaleoni scrisse - nel Giornale degli Economisti - a proposito della caduta del mobiliare. Ma, dati i precedenti - rimarrà sempre tipico, come risultato dell'imbroglio politico e dell'affarismo losco, quello della Tiberina - è chiaro che lo stato non può disinteressarsi degli imbarazzi degli Istituti di emissione. Se intervenne in favore delle Banche per azioni, con maggior ragione deve intervenire in prò di una banca eh' è proprietà pubblica come il Banco di Napoli. Il dovere dello Stato sorge preciso e inesorabile dalla precedente azione sua positiva e negativa. I liberisti fanatici - o semplicemente logici - possono consigliare che siano abbandonati al loro destino gl' Istituti in rovina; che si lascino morire gli organismi affetti da cancrena, e che lo Stato, si decida al più a seppellirne i putridi avanzi per misura di pubblica igiene. Ma non può consentire in ciò chi concepisce diversamente la funzione dello Stato: chi non lo vuole soltanto gendarme desidera il suo intervento in una quistione economica di sommo momento, quel' è quella della circolazione cartacea. Nel caso nostro e· è di più: lo Stato potrebbe lasciar morire gl' Istituti di emissione, ma seppellendone i cadaveri dovrebbe certo raccoglierne la gravosa eredità. Infatti lo Stato che ha proclamato ed imposto il corso forzoso non può dire ai privati: vi ho costn~tto a pr,mclere come buona moneta la carta straccia; ora non voglia più garantirla e rimborsarla. Sarebbe il peggiore dei fallimenti; sarebbe, anzi, la bancarotta fràudolenta. Meno male se questa bancarotta facesse le sue vittime tra i banchieri, tra i baroni dell'aggiotaggio, tra i vampiri che si sono ingrassati col sangue della nazione !Ma gli é che essa andrebbe invece a colpire tutti i cittadini e in misura maggiore la massa dei poveri e dei miseri i quali per isfamarsi non hanno che il biglietto da due o da cinque lire. Ecco perchè lo Stato intervenne a garanzia dei portatori dei biglietti della Banca Romana; e fece il suo dovere. Oggi lo compie per il Banco di Napoli, e domani dovrebbe farlo per la Banca d' Italia. Questa è la realtà che s'impone anche agli ortodossi dell'economia politica. Però, se molti. a causa del corso forzoso imposto dallo Stato, intendono l'intervento dello Stato a favore dell'Istituto di emissione, altri non trovano affatto giustificato che si debba fare il salvataggio del Credito fondiario annesso al Banco di Napoli: ma quando si rifletta che il Banco risponde del suo Credito fondiario, è evidente che per impedire il fallimento del primo doveva impedirsi quello del secondo. La connessione, la solidarietà tra i due Istituti è evidente. Ora quest'ultimo salvataggio sollevò le opposizioni maggiori, da parte di uomini che ispirarono la loro condotta a principi di indiscutibile rettitudine, quali gli on. Imbriani e Lojodice, perchè implicò la lesione dei diritti dei terzi e la violazione di alcuni articoli del Codice Civile. Lo Stato faccia pure, essi dissero, dei sacrifìzi: per conto suo; ma come può ridurre l'interesse dei portatori di cartelle? come può danneggiare i mutuatari che devono saldare i loro debiti col credito fondiario restituendo delle cartelle, alla pari e comprandole al prezzo di borsa, cioè nelle condizioni in cui le ricevettero dall' Istituto mutuante? A difesa del Ministro del Tesoro s'invocarono la riduzione della rendita fatta da Sonnino - e malamente larvata dal nome d' imposta e dal jus imperii -, e l'operazione del credito fondiario del Banco di Santo Spirito. Ma se i fatti precedenti sono disonesti, rimarranno pur tali le ripetizioni.

224 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI Invece altre ragioni mi sembrano più convincenti. I portatori di cartelle non hanno diritto a lamentarsi: il salvataggio, che ha imposto loro la perdita di una minima parte del reddito, rimane sempre preferibile al fallimento del Credito fondiario. La cosa è tanto chiara che, annunziati i provvedimenti dell'on. Luzzatti, il corso delle cartelle aumentò, come non ribassò la rendita italiana in seguito alla falcidia eseguita da Sonnino : i portatori guadagnarono in sicurezza il poco che perdettero da un'altro lato. · Per apprezzare al giusto il risentimento dei mutuatari, che si videro limitata la facoltà di estinguere, mediante cartelle, i loro debiti verso il Credito fondiario , bisogna tener conto di ciò che l'on. Luzzatti rispose all'on. Imbriani : che i mutuatari, cioè, profittando del ribasso delle cartelle del credito fondiario facevano incetta di esse per pagare i debiti col Banco ; così avveniva che tutti i crediti buoni del Banco venivano estinti - e rimanevano tutti i crediti cattivi rappresentati da cartelle fondiarie senza valore. Di pitt: essendo evidente che i mutuatari i quali volessero pagare erano incoraggiati dal proprio tornaconto a pro~ muovere un disonesto aggiotaggio per comprare al più basso prezzo le cartelle , avveniva che il summum ius traducevasi in summa iniuria, onde lo Stato acquistava il diritto d'intervenire. E poi, se il Credito fondiario del Banco di Napoli non poteva pitt far fronte agli impegni, ciò avveniva per colpa di tutti i mutuatarii che vennero meno ai pagamenti. Ora, è certo doloroso che per· i provvedimenti del Luzzatti qualcuno sia stato ingiustamente punito, ma la massa era e rimane ben meritevole di punizione. I provvedimenti , i quali sembrarono dapprima destinati a naufragar•~ per l' opposizione d' ogni parte , pa~sarono trionfalmente quando furon liberati da quelle misure, che pareva dovessero favorire il così detto carnevale dei banchieri. Fu bene che il ministro del Tesoro non avesse insistito in quella emissione che faceva intravedere una recru· descenza di scandaloso aggiotaggio, la quale avrebbe in quel modo avuto come il bollo dello Stato, ed è doveroso riconoscere che la Commissione parlamentare di ciò s' era già preoccupata, ed aveva suggerito i temperamenti opportuni. Si deve inoltre convenire cogli on. Franchetti e Sonnino che le vère smobilizzazioni, le smobilizzazioni che possono condurre al risanamento della circolazione, devono essere spontanee, e devono essere rappresentate dai risparmii, che vanno a cercare impiego- nella proprietà fondiaria; ma, al Sonnino in ispecie, va fatto osservare , che il risparmio il paese non lo avrà con una politica pazza come quella seguita dal ministero di cui fece parte, e che il risparmio non è possibile con quel Sonnino che - secondo la frase incisiva dell'on. Luzzatti - non conosce la prosperità del paese se non attraverso alla oppressione del paese. Ma quali che essi siano dal punto di vista del diritto, i provvedimenti dell' attuale ministro del Tesoro riusciranno a salvare il Banco :di Napoli ? Essi sono stati riconosciuti ingegnosi , anche dagli avversari ; possono riuscire benissimo, purchè l'Istituto cada in mani oneste, e di persona dotata di una mezzana intelligenza. Il Banco di Sicilia aveva perduto quasi del tutto il proprio capitale, e senza i favori concessi oggi al Banco di Napoli, lo ricostituì merce la savia ed energica amministrazione del compianto Notarbartolo. Qualche cosa di simile era avvenuto in altri tempi, mercè l'opera intellig1mte del Oolonna per lo stesso Banco di Napoli. È necessario però - a riescire al salvataggio - che le arpie politiche e l'affarismo vengano allontanati da Palazzo San Giacomo; e ci dovrebbero un po' pensare gli elettori, i quali hanno avuto modo di convincersi del danno economico, che arrecano col suffragio dato agli indegni. Ma -riesca o non riesca questo recentissimo salvataggio esso ha fatto fare un grande passo nella opinione pubblica e nel Parlamento al concetto della Banca di Stato. Invero: prima il caso della della Banca Romana, quello del Banco di Napoli dopo, han messo in evidenza l'ibridismo strano del nostro sistema bancario ; questo è tale che se gli affari vanno bene, gli utili son dovuti agli Istituti, con o senza azionisti ; invece se essi vanno male è lo Stato che deve garantirli. Sapevasi del resto, anche dalla storia della potentissima Banca cli Francia, che lo Stato nei momenti di crisi suprema e quando ha bisogni ingenti non riceve soccorsi dagli Istituti di emissione per azioui, ma è costretto ad intervenire in loro favore per salvarli. L'ibridismo del sistema italiano, inoltre, è aggravato dal fatto, che lo Stato riparatore non è in condizione d'impedire i mali e di punire i colpevoli. Di questa situazione si hanno esempi numerosi pel passato ; e se ne ha uno eloquente in quello dianzi cennato e che la Camera apprese dalla bocca dell'on. Franchetti. Quest'ultimo caso e tanto più grave in quanto che la Banca d" Italia venne in aiuto dell'Immobiliare, qnando era nota la sua insolvibilità, e con vera premeditazione, diede ad in tendere ai suoi creditori ch'esso era ancora solvibile. Ed il sentimento del retto e del regolare, disse il Franchetti , è talmente perduto in Italia che il vero motivo dell' operazione è menzionato in un atto pubblico e registrato ! Per tutto ciò, adunque pare logico e naturale che ci si avvì alla Banca di Stato, per far in modo che gli utili vadano all'ente che è esposto alle per-

RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI 225 dite e che il diritto di nominare e rimuovere i cattivi amministratori venga affidato allo Stato, che risente in ultimo le sinistre conseguenze della cattiva amministrazione. I liberisti, gl'individualisti, protestano contro questo avvenimento, che considerano quale un passo ardito verso il socialismo di Stato. Tale è ; ma le obbiezioni più fol'ti che essi sollevano si spuntano di fronte al fatto, che la Banca di Stato vige e da buoni risultati in Russia in Norvegia e in Isvezia; e tra breve la vedremo funzionare quale istituto federale in !svizzera dove già fece buona prova quale Banca Cantonale. · Alla Banca di Stato in Italia non si· andrà per elezione, ma per necessità ; essa sarà. il prodotto di un lento e fatale processo. Dove lo Stato risponde della Rmca ; dove il biglietto dello Stato è quello che gode di maggior credito, anche nei momenti nei quali , a torto o a ragione si accusa lo stesso Stato di abbandonarsi alle follie del lavismo ; e dove lo Stato deve dare il valore ai biglietti degli Istituti di emissione, che da soli non avrebbero, è logico, é giusto, è necessario che la· Banca divenga cosa dello Stato. Questo divenire, dagli ultimi provvedimenti del Luzzatti è stato reso più facile e meno pericoloso colla prelazione su tutte le attività delle Banche di emissione ai portatori di biglietti; di che gli va data lode. I dati dell'avvenimento sono posti ; lasciamo che esso si svolga e si compia. D1•. NAPOLEONE CoLAJANNI. LA SCUOLA. 0 > Non sono venuto - egli dice - a recitarvi una prolusione, ma a dirvi alla buona poche . pa• role sulla scuola, col proposito di rimuovere o di attenuare almeno alcuni pregiudizii correnti. In mezzo a tanti desiderii confusi o indefiniti, in mezzo a tanti sentimenti là di onore e di espansione, qua di raccoglimento e di preparazione, odo alcune voci più alte, più insistenti, che dicono, l'una: È tempo che ciascuno abbia il diritto suo, pari al diritto di ogni altro; l'altra: Conviene moralizzare l'ambiente, prima di parlare di diritti e cli pa1·ità; la terza: La morale é nella religione, e bisogna rientrarvi. Sono voci che non indicano soltanto desiderii, ma partiti, e non possono passare inosservate. È vero : il nostro tempo non consente che a qualcuno sia negato il suo diritto e sia riaffermata la disparità tra uomo ed uomo. E vero che nes- {l) n,,, ve sunto della prolusione di Dodo al corso di storia del dil'itto. Era difficile il sunto di un pcnsie:o già molto sintetico di sua natura. Confidiamo esserci riusciti. suna proclamazione di diritti può tornare effettuale e durevole in una società demoralizzata e tra animi corrotti. Ed è vero, in ultimo, che nessuna morale fiorisce nelle moltitudini dove la religione sia fatta mestiere o strumento di politica, e il popolo si trovi a un tratto lontano dalla fede e dalla scienza. Il diritto, la morale e la religione sono tre elementi etici ben diversi l'uno dall'altro, ma in ogni popolo e tempo procedono di conserva. Quando scade una religione, la morale di un popolo si dissolve, e, guasto il costume, i codici restano documenti muti. Avrete, allora, parlamento e tribunali, deputati e magistrati, ma non legislatori e giudici; avrete il professore ed il maestro sarà sparito; avrete il prete e sarà sparito il sacerdote. Allora la croce si nasconde dietro la porpora, la tribuna dietro la banca. In questa miseria di tempi tutte le bocche saranno piene di Dio; n' empiranno il foro, l'assemblea, la scuola, la chiesa ; ma Dio non sarà in nessuna parte ed assai meno negli evocatori. Lumeggiamo. Il diritto, divolto dal tronco morale, non è più diritto, è quel summum Jus che torna somma ingiuria, e vi presenta quel t_ipocrudele che è l'uomo della legge. La sillaba scritta, che in religione fa il fariseo, nel foro genera questo uccellatore di sillabe, che parlerà di occupazione, di anticresi, di anatocismo, di tutto con arguta eleganza, ma il cliente ripeterà: Loco a gentile Ad innocente opra non v' è : non resta Che far forza o patirla. Una feroce Forza il mondo possiede e fa nomarsi Dritto. È il diritto che espelle dal tugurio il lavoratore e protegge il mercatore di carne umana. Mala cosa è altresì la morale separata dal diritto e confinata nel costume. Genera quel tipo che chiamano il galantuomo e può essere il galantuomo di Guicciardini. Ti si presenterà cortese, puntuale, sereno, non ingannerà nessuno, e il suo sì sarà sì e no il no. Ma dalla sua bocca non trarrai una protesta, non una accusa estranea al suo interesse, non una difesa pericolosa, non un atto d' inosservanza ai precetti stabiliti. È uomo d'ordine e l'ordine per lui è uno solo: quello costituito. È questa la morale? Non consiglia mai le sante ribellioni? E non produssa Torna Aquinate, guelfo in patria ghibèllina, e Dante ghibellino in patria guelfa? Il vecchio errore che separa morale e diritto è superato dalla scienza, ma ne resta un'altro che fa la morale del tutto relativa. Come da Omero a Leopardi c'è qualcosa di sempre bello, e eia Aeistotele a Darwin qualcosaltro di sempl'e vero, così e non altrimenti c'è qual-

226 RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI cosa di sempre morale, e certi fatti umani contaminarono le istorie su' quali nessun secolo sospen. derà la sua maledizione. O sotto la mano di Dante o di un nastrò contemporaneo il capo di Buoso sarà sempre di traditore. È costante quella parte della morale che e merente all'umana natura, ed è mutevole quell'altra ché segue l'evoluzione del costume; onde su certi tipi storici il giudizio varia, e su certi altri l'uniformità, vincendo l'esame, testimonia la continuità del pensiero. Sicchè il mutamento, facendosi sopra un fondo costante, prova che il perfezionamento non si fa rinnegandosi, ma integrandosi. Il criterio, dunque, della relatività incondizionata è troppo assoluto, e presenta ne' termini quella contràddizione che non trova soluzione in nessuna dialettica. So che questo linguaggio riesce oscuro ai dilettanti, ma torna evidente a quelli che hanno qualche notizia della storia del pensiero e dello stato delle quistioni. Il progresso, dunque, eticamente considerato consiste in una sempre maggiore traduzione della morale in diritto. L'amico Colajanni ha qui parlato della misura del progresso. Definiamolo prima. È lo scoprimento graduale della legge una nella infinita varietà delle cose, legge, che in quanto è una, supera nell'infinito universo il dualismo tra Dio e natura, nella biologia tra vitalismo ed animismo, nell'antropologia tra spirito e corpo, nella meccanica tra materia e forma, nella dinamica tra forza e materia, nella psicologia tra senso e intelletto, nell'economia tra capitale e lavoro, nell'etica tra morale e diritto. Questo dualismo in etica scompare nell'equità, che è appunto la sintesi di morale e diritto, tra' quali due termini etici noi scoprimmo il legame causale. Conchiudendo: conviene rimuovere dagli animi vostri due errori, l'uno che, separando il diritto della morale, crea l'uomo della legge, l'altro che, facendo del tutto relativa la morale, crea l'uomo del costume. L'uomo, considerato sotto il vero rispetto etico, rappresenta un più alto concetto, perchè sull'uomo legale e sull'uomo costumato sta l'uomo equanime. Quanto è raro questo tipo! Ora si comprende che non può farsi effettuale una dichiarazione di diritti in un ambiente demo1·alizwto. Ma c'è morale - si domanda - dove una religione è scaduta? Se noi guardiamo la religione con la critica del secolo passato, possiamo da un giomo all'altro fare e disfare la Dea Ragione e l'Ente Supremo. Molte cose improvvisate da quella rivoluzione sono cadute insieme con quella critica. La religione non è nè un artificio cli sacerdoti nè una rivela7,ione soprannaturale, ma la sua origine è nell'uomo, che, ignaro delle leggi naturali, le personifica. Quindi, da una parte, è naturale nel popolo, dall'altra la sua tendenza è continua verso la scienza : a poco a poco Dio s'immedesima con la legge delle cose. Quando essa dalla contemplazione passa all' intenzione, si fa morale, e ciò che prima era amore di Dio diventa amore dell'uomo. Questo amore che ispira il sapiente fece chiamare Spinoza ateo ebreo di Dio. Perciò come più si fa pratica la morale per tradursi in diritto, così più si fa naturale la religione per tradursi in morale. Diritto, morale, religione nel pensiero scientifico si unificano. Ec.co quale ateo sono io. Ora come questo pensiero a traverso la scuola si fa sociale ? (Qui l'oratore esamina la scuola rispetto al potere, all' istruzione, ed ai libri, forte protestando contro l'uso de' libri più commerciale che educativo). E conchiude : Il prof. Colajanni, che vi ama educandovi meglio all'esame di voi stessi che agli esami accademici, domandò: La dottrina vi farà felici ? Questa dottrina, questa scuola io non la conosco, nè conosco chi la sappia. Conosco so lo una dottrina che v'insegna a vivere in armonia con propria coscienza - la dottrina del dovere. Alt1·0 non so nè mi chiedete altro. So che l'avvenire umano, seguendo questa dottrina, sarà migliore. In questo avvenire io credo. X. L'ultima f asBdellca ritcàristiana. Il fatto che la questione sociale oggi non sia negata pili da nessuno, come fino a pochi anni fa; il fatto anzi che tutti, e spesso senza una conveniente preparazione, si sieno mesHiad occuparsene - a proposito ed a sproposito, pro o contro non importa - ci assicura ch'essa ha fatto un gran passo, forse il più grande, verso la sua soluzione. Non restare sconosciuta fuori le correnti della vita e della civiltà, questo è l'interessante; il resto poi verrà da sè, in quanto è proprio di ogni verità far breccia negli ostacoli più resistenti per finire coll'invadere tutto e tutti. E la questione sociale ormai, dopo una non breve elaborazione, può dirsi entrata solennemente nella società civile; essa ormai s' è imposta, oltrechè ali' interesse dei lavoratori, all'attenzione di ogni classe di studiosi e persino d'artisti. Se ciò però è molto, 11011 è tutto. Superato definitivamente tale ostacolo, per opera

RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI 227 precipua dei socialisti, altri se ne presentano non meno ardui e che pure bisogna superare. Essi erano preveduti, quindi non sorprendono; il superarli sarà difficile, ma non impossibile. Quando si sono superati ostacoli maggiori, quando, coscientemente ed incoscientemente, si ha anche l'ajuto non richiesto degli avversari stessi, si ha ben diritto a sperare nella vittoria. Una volta ammessa la questione sociale come la più grande e la più urgente dei tempi nostri, ogni partito, come ogni studioso, s' ingegna a conoscerne l'indole vera per adattarvi i rimedi più confacenti a risolverla. Ma i pregiudizi, e piu gli interessi individuali e di classe, assai spesso impediscono la giusta estimazione di essa. Perciò, avuto riguardo al punto di vista speciale di ognuno, è naturale che gli apprezzamenti siano discordi. 1oi però, da qualunque parte provengono e malgrado tutte le sfumature, possiamo raccoglierli in due gruppi, che rispecchiano le due correnti principali: quella della reazione e della religione da un lato, quella del progresso e del socialismo dell'altro. La borghesia cioè - e, che si sappia, nella borghesia comprendiamo pure il clero - la crede semplicemente una questione etico-religiosa, i socialisti invece una questione politico-economica. L'apprezzamento della borghesia, per quanto erroneo, non ci sorprende. L'avere ammessa la questione sociale, anche in tutta la sua importanza, non vuol dire averla conosciuta, anzi doveva sconoscerla di necessità, perchè essa viene a rivelare ed a colpire molte ingiustizie che, anche per non socialisti, sono un vero furto ed un vero assassinio. li nostro sc~po non è di dimostrare la fallacia dell'apprezzamento clerico-borghese; passiamo quindi a far notare che all'opposta diagnosi devono corrispondere rimedi opposti, cosa di gran momento questa, ove si pensi che nei rimedi, negli strumenti, nei mezzi nei metodi insomma sta riposto in massima parte il successo o 1-'insuccesso della soluzione di ogni problema. Ebbene : la borghesia, mettendo da parte il suo volterrianismo, e chiamando a soccorso il clero, propone la carità piì1 o meno cristiana, essa che nel cristianesimo più non crede, e di più la proclama rimedio unico ed infallibile, in opposizione al socialismo che fa appello alla giustizia. Da un lato dunque s' imoca il diritto, dall'altro l'elemosina. :-Sonci ferme1·emo neanco ad esaminare la virtualità socialistica o meno de' due rimedi; la storia è là ad ammaestrarci che il rimedio clerico-borghe e della carità, applicato in tutta la sua forza cd il suo spirito per tanti secoli, non ha potuto risolvere menomamente la que. Lione; essa, tutta al più, è come una specie di c1·ocerossa che raccoglie qualche affamato, qualche vecchio, qualche ferito nella lotta della Yita,ma non può togliere il carattere belluino a questa lotta. Il rimedio socialis1a della giustizia invece tende ad umanizzare questa lotta; esse è suffra15atodalle induzioni scientifiche di tutte le scoperte e le invenzioni antiche e moderne, che dimostrano le basi economiche delle istituzioni sociali, di cui sono effetto e non causa così la religione come la morale. Davvero che non sentiamo il bisogno di farne l'apoteosi; nostro scopo si è precisamente di lasciare tale incarico ai nostri avversari che, pur fidando nell'Evangelo che - secondo Leone XIII - « ha per sintesi la carità, -nè altro è da cercarvi», lo disimpegnano più o meno esplicitamente. Il partito clerico-borghese, dunque, alla questione sociale non trova altro rimedio che la carità - quod superest date pauperibus. - Siccome però non c'è, nè ci può essere una misura pel superflu.;, ed ognuno, pur essendo parecchie volte milionario, può stimare di avere lo stretto necessario, alla propria condizione sociale, così i bisognosi possono continuare a Yedersi spoliati ed a soffrire la fame come pel passato. Di' ciò pur troppo, pare che si rndano accorgendo tutti perfino i cattolici stessi - ed è tutto dire! - i quali, a costo di dar sulla voce al loro pontefice - peccato che oggi passa inosservato, ma di cui in altri tempi si rendeva conto al Santo Ufficio - confessano chiaro e tondo che: « Il buon volere non basta, la carità non basta nè può bastare, in un'organizzazione sociale fondata sulla concorrenza, sulla guerra e nella quale la carità è troppo facilmente ricompensata dalla bancarotta e non ha altro significato che un premio accordato alla. durezza. del cuore ». Cosi il canonico Hitze, che continua ancora: « Fare l'elemosina non è g1•an cosa se le rivendicazioni del quarto stato non sono punto soddisfatte. Questo reclama il suo diritto e non l'elemosina deve essere l'eccezione ». Ed altrove aggiunge sempre meglio : « Tutti gli empiastri del buon volere non possono guarire i mali sociali. La carità. e l'elemosina possono addolcire la miseria, ma nelle grandi questioni sociali hanno ben poca importanza» (1). Sul proposito ecco le idee del cattolico barone di Yogelsang: « I cattolici o almeno molti di essi s'illudono troppo sugli effetti della carità e ricorrono ai pietosi calmanti. Ora la carità. è insufficiente, e volerla sostituire alla giustizia è un'indegna interpretazione della dottrina cristiana, poichè si lascia in balì11,della ca.rità ciò che ogni uomo deve riconoscere come un dovere di giusti1.ia » (2). li Nitti così riassume sull'argomento le idee del (I) Cl'r· F. Nini : Il socialismo cattolico. 2 cd. pag 146-4ì. (2) ibid. pag. 212.

228 RIVISTA POPOLARE DI POLITICA LETTERE E SCIENZE SOCIALI principe A. di Lichtenstein, cattolico e clericale per condizione e per nascità: « La carità cristiana può fare molte cose ma essa. non può fare tutto: vi è bisogno di ben altro. Dobbiamo prima di tutto riconoscere la legittimità dei lamenti che ci giungono alle orecchie. Inoltre i benefizi della carità non possono sostituirsi alla giustizia: la carità non può imporsi ad alcuno, la giustizia deve imporsi a tutti. Bisogna dunque distinguere fra le virtù cristiane che possono anche far sopportare le peggiori condizioni, ma. che tendono essenzialmente all'ordine sop1·annaturale, le obbligazioni dell'ordine esteriore, che devono imrorsi anche a coloro che non hanno virtù » (1). Sarebbe assai lungo se volessimo raccogliere tutte le confessioni di tal genere, che sono tanto sintomatiche in bocca di gente tutt'altro che disposta a darci ragione. Ma non sappiamo esimerci dal riprodurre un brano piuttosto lungo, ma stupendo, di H. George in risposta all'enciclica sulla questione operaia· La deferenza ed il rispetto che il religioso scrittore americano ha pel ministero e la persona dell'attuale pontefice non gl'impecliscono, dopo avere confutate le teorie sociali cliLeone XIII, di dargli una solennissima lezione in questi termini: « Disco1·rendo delle misure pratiche per il miglioramento delle condizioni dei lavoratori che la Santità Vostra propone, non ho menzionata quella su cui Essa fa grande assegnamento, la carità. Se non che, nulla di pratico vi ha in questo raccomandarJ la carità come rimedio alla povertà, nè alcuno vorrà considerarla come tale. Se fosse possibile all'elemo • sina di abolire la povertà non vi sarebbero nella cristianità poveri. « La carità è certo bella e nobile virtù dolce all'uomo e cara a Dio. Ma la carità dev'essere fatta di giustizia. Nè della giustizia può tenere il posto. « Ciò che in tutto il mondo cristiano vi ha d',ngiusto nella condizione dei lavoratori si è che il lavoro è spogliato. E dal momento che Voi approvate che questa spoliazione continui, é vano raccomanda.re la. carità. Farlo, commendare la carità come un surrogato della giustizia, gli è veramente qualcosa di simile, nell'essenza, a quelle eresie conda.nnate dai vostri anteces3ori, le quali sostenevano che il Vangelo aveva preso il posto della legge, e che l'amore di Dio esimeva gli uomini dalle obbligazioni morali. « Tutto ciò che la carità può fa1•edove l'ingiustizia regna si è attenuarne alquanto, qua o là, gli effetti. Ma curarli non può. Ed anche quel poco che la carità può fare per attenuai•e gli effetti dell'ingiustizia., non va scevro di mali ... « E cosi quella pseudo-carità, che ripudia e nega la giustizia, fa del male. Da una parte demoralizza quelli che la ricevono, oltraggiando l'umana dignità ... Dall'altra, essa agisce come un anestetico sulla coscienza di coloro che vivono delle spoglie dei loro simili, ed ( !) op. cit., pag. 206. alimenta quella illusione morale e quell'arroganza dello spirito, che certo Cristo aveva in mente quando diceva che era più facile ad un cammello passare attraverso la cruna di un ago che ad un ricco entrare nel regno dei cieli. Imperocchè, uomini satm•i d'ingiustizia e che usano il loro denaro e la loro in• fluenza a sostenere l'ingiustizia., sono da essa condotti a figurarsi che col fare elemosina. essi facciano verso gli uomini qualche cosa di più del loro dovere e Dio poi debba loro tenerne conto ..... « Ma ciò forse, che vi ba di peggio in questo sostituire le vaghe ingiunzioni della ca1•ità alle nette esigenze della giustizia., è il fornh·e che esso fa a tutti quelli che professano di insegnare la religione cristiana, di qual si sia ramo e comunione, un comodo mezzo i,er placare Mammona e nel tempo stesso persuadersi nella loro coscienza di servire a Dio... « No, Santità, come la fede senza le opere è mol'ta. come gli uomini non possono r11ndere a Dio ciò che a Lni è dovuto in quella che negano ai loro simili i diritti che Egli ha •iato loro, così la carità non sorretta. dalla giustizia nulla può fare per risolvere l'odierno problema dr.Ila condizione dei lavoratori. Se anche i ricchi « profondessero tutti i loro beni nel dare da mangiare ai poveri e dessero i loro corpi per essere bruciati », fìnchè la proprietà dura dul'erebbe la povertà » ( l ). Ora ciò è detto a nuora perchè suocera intenda, cioè, è detto al pontefice perchè ne faccia profitto il così detto partito cattolico sociale, il quale non si appaga pii1 dei precetti della carità e, dietro le orme dei socialisti democratici, invoca - a suo modo e dentro certi limiti, s'intende - le leggi sociali, effetto più che cli carità, di giustizia. Ma il partito cattolico sociale, come l'evangelico sociale, è una sparuta minoranza che in questi ultimi anni si è andata sguagliando a vista d'occhio; la maggioranza dei cattolici e dei protestanti, in ,,este corta o lunga, è risolutamente contraria ad ogni legislazione sociale caldeggiata solo dai democratici, che con essa intendono porre un freno, se non un limite alle quotidiane e spietate estorsioni consumate a danno dei lavoratori. Solo rileviamo che il George, come tanti altri s'inganna quando qualifica come atea la soluzione proposta dal pontefice e dai cristiani in generale. Questa invece è una soluzione eminentemente religiosa e cristiana per eccell_enza,poichè, riconoscendo come etico-religiosa la questione, congenere dev'essere il rimedi<', e quindi, coerentemente, la carità e l'emosina. Il cristianesimo non poteva di più nè aveva cli meglio. Atea invece può dirsi la soluzione proposta dal George, il quale, mentre riconosce la questione come religiosa, propone un rimedio d'indole economica - la nazionalizzazione del suolo - e cade in contraddizione. Con tale proposta (l). La condizione dei lavoratori. - Lettera aperta a S. S. Leone Xlll, Torino 1891,pag. 95 -97.

RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIALI 229 egli viene a dichiararsi più socialista di quanto non creda, e certo più di certi cattolici e certi protestanti, i quali pur credendosi socialisti, non sono tali niente affatto, come dimo<itra la graduale scomparsa della loro specie o sottospecie. La fiducia, dunque, nel vecchio e tanto decantato rimedio della carità vien sempre meno, anche presso gli stessi credenti; essa - che pareYa incrollabile - va perdendo terreno dovunque, mentre si afferma sempre più la fiducia nelle riforme democratiche. L'importanza di tale nuovo fenomeno non può non essere notata. Non è affare di poco momento il fatto che tutti si vadano persuadendo che in questo mondo (per l'altro mondo che ci pensi chi ci crede) occorre più giustizia che carità, pm diritto che elemosina, e quindi più socialismo che religione. G. BONAGIUSO. LA DELINQUENZA DELLA DONNA. Quando si parla di delitti in generale ci si riferisce ai delitti degli uomini, non solo perchè li consideriamo come gli esponenti della specie - parlando degli uomini intendiamo parlare di entrambi i sessi - ma anche perchè i reati delle donne sono dapertutto molto più rari di quelli del sesso forte. La donna che delinque, poi, nel momento in cui ne apprendiamo il malfatto ci suscita maggiore ripulsione, come la donna ubbriaca, mentre più tardi - al momento del giudizio - raramente avviene che essa non c' ispiri pietà e non c' induca ad accordarle tutte quelle attenuanti, che non avremmo accordate ad un uomo. I due fenomeni contraddittori derivano da una stessa causa: dai pregiudizi sociali imperanti ancora sulla donna, cui si è fatta una posizione ad un tempo inferiore sotto certi aspetti e privilegiata sotto alcuni altri. La criminalità femminile, coi suoi caratteri e colle sue cause speciali non è da gran tempo eh' è stata studiata a parte; ed è merito reale della scuola penale positiva se ora richiama l'attenzione dei sociologi e dei criminologi. L' infanticidio, l'aborto, etc., reati più frequentemente commessi dalle donne ebbero consacrate numerose e pregiate monografie; tutti i reati della donna e particolarmente quelli contro le persone, i così detti reati di sangue, ora vennero studiati in uno speciale e circoscritto ambiente, in _quello di Napoli, dall'avv. G. Cil•aoloHamnett (1). Fu ottimo intendimento quello del Ciraolo di studiare la criminalità femminile a Napoli, perchè in questa città dal cielo incantevole e dalla natura seducente - contro ogni aspettativa ed a condanna di coloro che a.Il' ambiente fisico attribuiscono una influenza che non ha o che si esagera immensamente - la donna delinque assai di più che in altre parti d' Italia ed anche di Europ·a ; e giova molto seguire questo studio, perchè a Napoli meglio che (I) • Delitti femminili a Napoli • Studio di sociologia criminale. ~lilano. 1lax Kantorowicz. 1896. altrove si possono mettere in evidenza, e quasi isolare i fattori criminogeni, che agiscono ugualmente sull'uomo e sulla donna; e infatti prevalgono tra le donne napoletane i reati contro le persone perchè anche tra gli uomini essi hanno la prevalenza ( l ). Chi poi si rende ragione della delinquenza femminile della bella Partenope può essere sicuro di conoscere quella della donna in gene1•ale: a. Napoli è soltanto più accentuata, perchè i,iù intensamente vi agiscono le cause che la generano. Poche parole consacrerò ai pregi e ai difetti del libro e maggiormente mi fermerò sull'argomento trattato dal Ciraolo. Le parti della trattazione non sempre sono bene ordinate e proporzionate ; sicchè talvolta riescono incomplete e frammentarie e talaltra svolte con relativa esuberanza. Non pochi e davvero notevoli i pregi: principale quello di fissare l'attenzione del lettore su di un argomento a prima vista poco attraente. Nelle silho1;,ettes di alcune donne delinquenti si riscontrano eroine reali di drammi e di romanzi giudiziari; i brani della cronaca dei giornali della città danno allo scritto il sapore dell'attualità ; e i sonetti in dialdto di Di Giacomo e di Russo illustrano e completano le cifre di Bodio o gli squarci di eloquenza del Pubblico ministero. In quello di Di Giacomo sull'usura, ad esempio, non si poti-ebbe pii1 efficacemente tratteggiare in pochi ver3i la immoralità e la desolazione ch'essa arreca nella povera gente ; e nell'altro di Russo - Vedile! - si tocca con mano a quale grado di pervertimento morale sia pérvenuto il popolo napoletano. * * * Dissi che la delinquenza napolitana smentisce la influenza dei fattori fisici sui fenomeni sociali ; ma non sarebbe questo l'avviso del Ciraolo. Egli stabilisce, in generale, che dovunque gli uomini sono costretti a combattere contro la natura - ad esempio nelrOlanda, nel!' Inghilterra., nella Scozia - si fanno maggiori i sentimenti di solidarietà e vi diviene minima la dinquenza. A Napoli, invece, il mare non è invasore e non molesta i cittadini, purissimo vi è l'orizzonte, spontanea la fecondità del suolo, precoce la primavera e lunga l'estate; e perciò ... vi si ammazza e vi si ferisce di più che uell' Inghilterra, nell'Olanda e nella Scozia. A chi non trovasse connessione tra le premesse e le conseguenze il Ciraolo risponde: « la lotta per la esistenza asi,ra e « lunga, combattuta colle armi della ci viltà contro « la terra, l'acqua, l'aria, esige la concordia di tutti, « la fedeltà dell'associazione e l'applicazione di tutte « le forze ad un solo fine : l'uomo che combatte con- « tinui ostacoli naturali non si ferma a vagheggiare « il male e a fecondare l'acerba voluttà, che provano « gli anormali nel sangue e nella rapina». (p. 26). Questa spiegazione non sarebbe ohe una parziale applica.ione al fenomeno morale di quella influenza dell'ambiente fisico o geog1•afico attribuito dal Metchinikoff ~ullo sviluppo delle civiltà. Ma il compianto (Il Secor.do il sostituto Procurator Generale Cianci Sanseverino nel distretto di Napoli vi sarebbero 90 omicidi per 100.000 abitanti. Ripeto il dato dal Ciraolo ed avverto che ci dev'essere errore.

230 RIVISTA. POPOLARE DI POLITICA. LETTERE E SCIENZE SOCIA.LI e geniale scrittore ru3so queste influenze le circoseri veva allo inizio primissimo della civiltà; Ciraolo e tutta la scuola penale positi va anacronisticamente continuano a prestar ad esse un'efficacia considerevole a civiltà inoltrata. · Con queste spiegazioni siamo in pieno romanzo scientifico, nel quale manca. la logica. E che vi manchi basterebbe a provarlo la storia: Scozia ed Inghilterra in altri tempi - e non remoti - furono tanto dedite a.i reati di sangue quanto Napoli e l'·Iialia. Se oggi la. lotta, non tra gli uomini, ma principalmente contro la natura vi si svolge, ciò si deve al grado di civiltà raggiunto e non all' intrinseca azione della. natura stessa. Questa graduale sostituzione della lotta contro la natura alla lotta tra gli uomini - illusir.ita del Marsh - è l'ideale del socialismo ed é in via di continua realizz11zione. Erra del pari il Ciraolo quando attribuisce ai freni malthusiani una te1Tibileconseguenza criminogena (p. 28) e se~za ricor·rere ad esempi a dati e a libri stranieri gli ricorderò gli studi accurati e convincenti del Dlll Vecchio, che dimostrano luminosamente il contrario ( l ). • ** La causa generale, complessi va della speciile e forte criminalità napoletana sta in questa grave e giusta affermazione del Ciraolo: « il grado di evo- « luzione al quale é già pervenuto il JJOpolo napole- « tano è inferiore alla media raggiunta dalla nazione. « Quasi si potrebbe dire di esso, con molte restri- « zioni, quello che Lubbock disse dei selvaggi: sono « fanciulli, che hanno le passioni degli uomini ». (p. 3). Nessuna meraviglia, dunque, se vi prevale quel temperamento sanguigno prevalente tra i selvaggi (p. 70 a. 72). Il rapporto tra temperamento e delinquenza napoletana è però erroneo: ferimenti ed omicidi, se fosse esatto, do.vrebbero essere pit1 frequenti tra i rubicondi olandesi alimentati copiosamente colla carne e colla birra e cogli altri alcoolici, anzichè tra i napoletani ridotti dalla miseria a nutrirsi di cocomeri e di altra frutta spe>SOguasta. Del resto il nostro autore conviene che le conseguenze possibili del temperamento vengono eliminate dal grado di evoluzione sociale, perchè - distaccandosi dalla. scuola cui appartiene - a Napoli il temperamento è causa di delinquenza perché non modificato l'azionaimente dall'educazione e dall'istruzione (p. 72). Ed altra onesta confessione fa constatando che l'ubbriachezza a Napoli è la causa che meno agisce nella criminalità (p. 16 ). Di che si è con vini o anche il Garofalo. Si accenna di volo all'azione del contagio psichico e delle frequenti assoluzioni delle donne delinquenti in Napoli e veniamo alle cause vere, - tutte sociali esclusivamente sociali - della forte e particolare criminalità femminile della città che si erge nell'incantevole golfo partenopeo. (!) Giulio Salvatore del Vecchio: « (ili analfabeti e le nascite nelle varie parti d'Italia •· Bologna 1894; « Gli analfabeti e le nascite « Note compara~ivc tra l'Ita1ia ed altre nazioni ... Bologna. 1895. La donna a Napoli lavora e dà alla famiglia più dell'uomo, che tende al parassitismo; tutti i mestieri e le occupazioni - specialmente quelle di domestica - cui si dà la prima, la condannano alla degenerazione fisica e morale (p. 30 a 32). « Le violenze « le risse, le calunnie sono facili fra tutte queste « femmine occupate in mestieri che le avvicinano fra « loro, esasperando invidie, attaccando intel'essi, dif- « fondendo insinuazioni maligne ed imprudenti, e che < le costringono ad abbandonare lo spirito sessuale « di tolleranza, e ad educarsi .alle maniere violente: « si consideri la ruina morale che la grande preva- « lenza delle occupazioni servili compie nel mezzo « contro l'astuto scroccone, contro i calunniatori, i « malevoli, gl' invidiosi, che insidiano alla pace, alla « onorata nominanza ecc. ecc.» (p. 12, 60, 87, 88). A rendere più evidente questa influenza della città bastava ag 6 iungere che a Londra in quei quartieri poveri, che maggiormente si assomigliano a Napoli, vi é massima la degenerazione fisit:a e morale della donna. Il freno religioso potrebbe fare qualche cosa; ma a Na.poli è ridotto a poca cosa; non vi è vera religione, ma super8tizione. I borboni poi « non curarono « la i:,siche popolare, ed anzi continuarono a perver- «. tirla anche colla religione oflìciale. Quale meravi- « glia dun<Jue che in questa feconda e lieta terra « nessuna donna pensi da scettica e moltissime agi- « scano da atee? che del pari manchino di efficacia « il timor dei gendarmi ed il timor di Dio? » (p. 108). Gli Spagnuoli in ispecie contribuirono alla degenerazione morale sostituendovi il punto di onore al vero sentimento di onore ; prevalenza del punto onore, che spiega il grande numero di duelli in basso e in alto. La responsabilità dei pessimi governi, infine, è enorme perchè resero odioso il governo in sè e generarono e intensificarono la camorra, come in Sicilia generarono la mafia; e alla camorra si connette tutta la delinquenza napolitana, compresa quella della donna, che dovunque è incolta e primitiva subisce non solo, ma predilige la forza e chi ne ha soltanto le appa.renztl. L'insieme dell'azione dei fattori suesposti cosi viene riassunto, e btine, dal Ciraolo: « Fra le cause « prime della delinquenza femminile trionfa la p1·0- « miscuità, cui una serie di forze e di sventure co- « stringe il popolo napolitano; lo prova indiretta- « mente la uniforme infe,·iorirà tipica della plebe •li « fronte alla borghesia; fenomeno al quale la signora « :Mario e Pasquale V1llari accennarono osservando ·« che nella città fra plebe e borghesia è un abis,o « che le divide e ne fa qua si due caste separate: fra « l'una e l'altra sono, quasi per differenza di razza, « diversità fisiologiche! Le plebee nella dura parte- « cipazione alla lotta per la. vita, subirono modifica- << zioni al tipo medio di bellezza e di moralità. Nel- « l'immediato contatto degli uomini i loro lineamenti « acquistarono qualche cosa di maschio ed i loro « sensi più gentili qualche cosa di cinico. Esse rap- « presentano nella razza, la parte degenerata del loro « sesso, nè deve inspirare meraviglia a chi pensi che

RkJQdWJsaXNoZXIy MTExMDY2NQ==