Rivista di politica e scienze sociali - anno I - n. 17 - 15 marzo 189 6

262 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI nella coscienza pubblica il pensiero e la convinzione che queste dovessero incominciare dalla riduzione delle Università. Senza tale provvedimento, il paese non capisce che si possa sul serio parlare di riforme. Il progetto governativo, molto timidamente e indiretta· mente, mirava a diminuire il numero delle Università, e collegava al concetto della sopravvivenza dei più forti e vasti organismi l'attribuzione ad essi della delicatissima prerogativa designata col nome di autonomia didattica; - senza di ciò, con quali propositi il ministro ha potuto concordare con la Commis. sione uno schema di legge per la riforma universitaria? Forse per la proclamazione delle altre due autonomie: la giuridica e l'amministrativa? Non mi pare che si possa pensarlo. L'autonomia giuridica, cioè la personalità civile, le Università già la posseggono; e non è col dic_hiararla una volta di più che si per• suaderanno i Mecenati d'Italia (a proposito: dove più alligna ormai in Italia la pianta dei Mecenati?) ad essere larghi di doni o di lasciti alle Università. Quanto all'autonomia amministrativa essa è una vana parvenza. Si semplifichi o si complichi qualche c-ongegno burocratico, le Università continueranno sempre ad avere dallo Stato quanto danaro allo Stato piacerà di assegnare ad esse. La do'azione fissa è un assurdo, giacchè i bis~gni scientifici non sono e non possono essere fissi ; - ma poi, chi non comprende che con la legge del bilancio potrà sempre essere derogata la legge universitaria, e potranno (senza uscire dalla più rigida costituzionalità) essere fatti quanti strappi si voglia alla fissità delle dotazioni? E chi dubita che nelle sempre incombenti strettezze della finanza italiana, governo e parlamento non si daranno aiuto pronto e soccorrevole per deliberare questi strappi? Se qualche illusione in proposito poteva essere. alimentata dal progetto ministeriale che costituiva le Università dirette creditrici del tesoro (art. 2), per la loro d,tazione fissa, che avrebbero potuto quindi esigere intera, anche esercitando azione giudiziaria, nessuna illusione è lasciata dal controprogetto della Commissione, che ripristina gli sta1i.ziamenti del bilancio dell'istruzione pubblica nella loro forma attuale. Così che le singole Università non sarebbero più creditrici dello Stato, ma riceverebbero dal Ministero dell'istruzione quanto esso sia in caso di_dare, secondo la potenzialità del bilanci o votatogli. E accadrebbe di nuovo tutto quel che finora va accadendo, con scandalo grande e con maraviglia di tutti, ma fra il silenzio e la supina rassegnazione dell'universale ; che, cioè, perfino i fondi destinati a pagare gli stipendi dei professori, sono impiegati, a beneplacito di Sua Eccellenza, per tutt'altri scopi ; o si pagano molti professori delle Università molto meno dei più modesti scrivanelli o portieri del ministero. Nè per attribuire ai professori lo tasse di iscrizione, una e due volte falcidiate, vale la pena di scr:vere una legge di riforme, dal momento che le Università si lasciano sussistere nell'antico numero e quindi con l'antica povertà di frequentatori, sì che il profitto derivante ai maestri dalla partecipazione alle tasse d'iscrizione sarà derisorio per i più, e per non pochi nullo addirittura. Certo vi saranno alcuni privilegiati nelle pochissime Università meglio frequentato; e che brutta gara di cupidi 0 ie si scatenerà allora per ogni cattedra che in esse rendasi vacante! Quanti intrighi si ordiranno per giungere primi al palio! Chi vive nel mondo universitario, che ha insieme alle sue glorie anche le sue debolezze, mi comprende benissimo, e meco converrà nel desideraro che non venga sanzionato nella f, r .na ora progettata il provvedimento in parola. La condizione economica dei professori ha urgente bisogno di essere migliorata; ma non è col creare ingiuste di_sparità di trattamento che vi si possa provvedere. Si sopprimano le Università inutili; così si rinforzerà il bilancio; e al tempo stesso si assicurerà una media. di studenti abbastanza forte a tutte le Università, rendendo sensibile dovunque il profitt,o dell'attr:buzione delle tasse agli insegnanti. Se no, meno peggio lasciar le cose come sono. Altre disposizioni di rilievo, nel disegno di riforma sono quelle concernenti gli esami. Io mi asterrò dall'analisi particolareggiata di 11uesta parte, giacchè essa appare evidentemente di una importanza secon • daria. Ciò a cui deve mirare una riforma dell' insegnamento superiore è, innanzi e sovra tutto, il rinvi• gorimento dégli organismi Universitari, a maggiore vantaggio dellc1.scienza e della istruzione. Se questo intento non si ottiene, anzi non si cerca nemmeno di ottenere, i guai presenti si perpetueranno ; e sarà inutile modificare i sistemi degli esami per sapere come si insegna nelle Università. Se vi si insegna qualche volta insuflìcienLemcnte, la colpa è dello Stato, che fino ad ora non ha saputo, o non ha po tuto, o non ha voluto mdtere le Univer~iti e i professori in grado di insegnar bene e con quella larghezza e diligenia cho sarcbbJl'O desidt r-ibili. A me pare che le proposte della commissione parlamentare lascerebbero, per questa parte essenziale, il terup J che trovano; è perciò che mi sembra inutile perfettamente il pensare alla riforma degli esami, che in qualunque modo organizzati, corrisponderanno sempre, per necessità logica inesorabile, alle condizioni della scuola. Dateci una scuola davvero eccellente, e gli esami potrete anche abolirli del tutto. Lasciate che la scuola sia mediocre o cattiva; e gli esami più o meno artificiosamente combinati, non varranno a renderne buono l'insegnamento. L. MORTARA Professore all'Univer,it~ di Pisa.

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