RIVISTA DI Direttore Dr NAPOLEONE COI.AJANNI Deputato al Parla111~mo ITALIA: anno lire 5; semestre lire 3 - ESTERO: anno lire 7; semestre lire 4. Anno I. - N. 3. Abbonamentopostale Roma15Agosto1895 SO~n!AHIO: Fede, ico En9els, La Rivista. - Il t"·ob'ema Afriea,w. flr. ~apoleonP Colajanni. - L',voluzione delle ""redenze e del!• ,tnUr·ine roUtiche, G. De Greci', - A propo,ito di D, ,1/- /'on.<o r·a,·,·e,i, r. Elia. - A proposito del 3· oolume del • Capi,ale •, Corn·a<ISchmidt. - Sperimentalismo sociale. - Semiti:Jmo e !Meialismo, Francesco Mol'mina. - Recensioni. FEDERIECNOGELS :>fato a' 28 di novembre del 1820 in Barmen, morì a' 5 di agosto del 1895 in East.bourne. Fra la collaborazione alla gtampa rivoluzionaria; fra le lotte dell'Internazionale, intese a da1·e quasi armonia di movenza all'azione del proletariato ; fra le persecuzioni e l'esilio, Egli ,·isse una faticosa vita di studi tutta consacrata a rendere i larnratori forti di un invincibile pensiero scientifico. che al movimento proletario desse la conscienza del suo processo e la guida delle sue leggi. Però che Federico Engels e Carlo Marx furono un'anima sola. Un unico Pensiero li inspira, così nell'indirizzo dell'indagine economica come nel fine della critica poderosa di quell'economia che parve, e voleva essere, la Scienza. Di modo che vediamo, nel 1848, esser opera Loro il :Manifesto memorando della Lega de' Comunisti, - informato a quella nuova concezione storica, dalla quale si può dir veramente sia cominciata una novella istoria -. E il Capitale - che quasi dando al Manifesto maturità di speculazione e lal'go conforto di dottrina, à posto il fondamento teorico del socialismo moderno, mentre è dovuto al genio del Marx. è anche per certi risguardi doni to alla collaborazione dell' Engels. 111 fatti l' Engels, nel 1845 ritornando su alcune idee che già aveva esposte in Schizzi d'una critica dell'economia politica, publicò un nuovo lasoro: Della situazionè delle classi operaie in Inghilterm che fu « il primo tentativo in cui si riesce a rappresentare i moti della classe operaia come risultanti dal gioco stesso delle forze e dei mezzi di produzione », 11 germe, questo, che fecondato poi dalla gran mente di Carlo Marx, - già preparata ad accoglierlo dalla revisione critica della filosofia del diritto dell'Hegel - dovea constituire il sangue di quella dottrina la quale appunto nei mezzi e nei rapporti di produzione « riconosce la struttura ecollO!Ilica della società, ossia la base reale su la quale si eleva una ~oprastruttura politica e giuridica, e alla quale corrispondono determinate forme sociali della conscienza ». Nè solo la cooperazione dell'Engels è in quella intuizione precorritrice. Ma quando, nel 1883, morì il Marx, avendo publicato appena il primo volume del Capitale, fu Federico Engels chi ne continuò il Pensiero, e con appunti e materiali ch'eran rimasti in gran parte incompleti, lavorò tenacemente a construire la continuazione dell'opera. Onde, mentre attendeva a un suo studio - tanto importante quanto poco noto in Italia - su L'origine della Famiglia, della Prop;·ieta e dello Stato, che vide la luce nel 1884, potè anche publicare, solo un anno dopo, il secondo Yolume del Capitale; l'ultimo, clipoi, fu dato alle stampe alla fine del '94. Ora, dunque, l'esposizione del comune Pensiero er::t compiuta; e 111ai forse, 1;u1uuuiom, intollottu"l" fu spontanea intima duratura, siccome questa che unì i due grandi rivoluzionari della Prussia Renana. onde oggi alla morte di Federico Engels, noi sentiamo come rimorto il Marx! Così, sul finire del secolo xrx con la morte di Federico Engels mancaiio al mondo proletario i due sistematori del socialismo scientifico. A noi, il grande compiacimento d'averli avuti coetanei e il conforto grande di sentirne così universale il rimpianto. Ai venturi, ben altro! .. E quando il proletariato, retto dal Loro genio antico e dai fati nuovi, svolgerà in un maggior progresso continuo la sua redentrice azione politica, quando i proletari di tutto il mondo saranno uniti, allora nella luce crepuscolare dell'era novella i venturi saluteranno, grati, nel Loro nome i primi trionfi dell'Umanità. LA RIVISTA.
34 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI IL PROBLEMA AFRICANO I. Gli avvenimenti, e gli uomini che li hanno provocati, rimisero sul tappeto il problema africano, che il paese, quasi con compiacenza, avrebbe preferito dimenticare. I cosidetti popoli ci vili, nel fare la politica coloniale a spese dei barbari si trovano sempre di fronte ali' imprevisto ; poichè i barbari che sono stati spogliati della propria terra e della indipendenza tentano sempre di riacquistare entrambe, e coi loro tentativi provocano i loro civili oppressori quando questi meno lo pensano, e li costringono a nuove battaglie e a nuove conquiste per assicurare le precedenti. In nome di questa sicurezza l'Inghilterra gradatamente ha conquistato l'India ed ha creato un impero con centinaia di milioni di sudditi, senza aver trovato ancora la famosa frontiera scientifica, che la rassicuri in guisa tale da permetterle di arrestarsi nella sua marcia progressiva verso il centro dell'Asia dove avverrà il grande urto col colosso del Nord, la Russia, che alla sua volta procede cogli stessi metodi e cogli stessi intenti verso l'oriente e vers'o il sud. L'imprevisto negli ultimi avvenimenti africani, che interessano l' Italia non c'entra molto, perchè sono stati determinati dalla condotta del governo italiano. Il quale accarezzando in un momento Menelik e in un ,dtro Ras Mangascià, facendo in un giorno la cosidetta politica Scioana e in un altro quella tigrina ha finito col far credere di tl'adil'li ontl'ambi sicchè tutti e due si son coalizzati contro di noi. ?\è questa è ipotesi azzardata per denigrare il governo, ma essa sorge lampante dalle confidenze fatte da Generale Barattieri a un redattore di un giornale uflicioso, che appena il Generale fu arrivato in Roma, mando a intervistarlo. La incertezza e la contt·addiziono dello indil'izzo della politica africana, vc1·0, non sono mali 1•oaonli impnk,hili Bollunto n.ll'attualo :\linistoro. Se nuovi g-uai, se nuove complicazioni, a.dunque, avrà l'Italia in Africa non se ne potrà incolpare la slealtà e la in fedeltà dei barbari, ma piuttosto la mala fede o la imprevegenza del governo, che ha saputo scontentare tutti ed ha eccitato tutte le giuste diflìdenze dei sudditi, dei proteUi, degli alleati a.fricani. Nel 1895, vercio, la situazione nostra moralmente non è diversa da quella che nel 1887 condusse a Dogali prima od alla spedizione San Marzano dopo. Ciò è bene assodare aflinchè non si cada in errore nello assegnare poi la responsabilità di ciò che potrà accadere, in un avrenire prossimo. IL Coloro che si compiacciono di citare, spesso asproposito, le frasi latino più celebri ripetono il fa111oso: hic mcmeuimits OJ)tiine a significare che gl' italiani non si devono muovere dall'Africa. E vedi coincidenza: gl'italiani di questa fine di secolo che non brillano per virtù di sorta alcuna, giurano di rimanere là dove i Romani duemila anni orsono non vollero restare. In Africa, dunque, noi ci siamo è ci resteremo. Pur troppo vi resteremo sino a tanto che non ne saremo cacciati colla forza. Quod deu, avertat ! Ma che cosa vi stiamo e vi resteremo a f..ire ? Ecco il problema. In Africa non siamo andati per fisime sentimentali; si è parlato di giustizia, di civiltà, ma per retorica più che altro, quasi ad ingannare l'animo stesso degli occupatori. E queste fisime sentimentali furono sbandite, con lodevole schiettezza, da Ferdinando Martini nel suo pregiato libro sul l'Atfi·ica italiana: campeggiano poco del pari nella relazione della Regia Commissione d'Inchiesta mandata dal l\ilinistero Di Rudinì sulle rive del Mar Rosso dopo che furono da me denunziate alla Camera dei Deputati le scelleratezze commesse nella nostra colonia dal Livraghi e dai suoi complici 1). L'utilità, dunque, confessata o sottintesa, fu e rimane il movente delle conquiste italiane sulle rive del Mar Rosso nel 1885 ed oggi nel Tig-rè, nel Sudan; domani nell'Abissinia. Quale è stata o sarà questa utilità? Le colonie da un tale punto di vista pratico sono state divise in colonie di sfruttamento, di commercio e di popolamento. A traverso ad una serie di affermazioni, di contraddizioni e di discussioni, più che di veri sperimenti, si è convenuto che l'Eritrea non pub riuscire utile se non come colonia di popolamento: laggii1 si sogna o si spera - non si può dire ancora che il tentativo sia stato fatto - di veder sorgere ht Nuova Italia, indirizzandovi tutta quella emigrazione di centinaja di migliaja di piccoli proprietari e di proletari, che ogni anno lasciano la patriti e si dirigono principalmente ver~o gli Stati Uniti del Nord e verso il Brasile, l'Uraguay e la Repubblica Argentina, nel Sud dell'America. ~ on v'è dubbio in questo: l'intento, se si potesse raggiungere, sarebbe eccellente: dal lato morale, politico ed economico. :Moralmente sarebbe un grande guadagno che gli Italiani emigrati cessassero di essere considerati e trattati come i Chinesi di Europa dovunque essi vanno a cercare il lavoro e il pane che non trovano a casa provria. Politicamente sarebbe bene che gli emigranti cess,tssero da un lato di procurare imbarazzi al governo e costituissero un centro di fo1·za italiana in un altro grande continente dove tutte le altre nazioni hanno preso stabile posizione. Economicamente riescirebbe anche proficuo alla metropoli, che si formassero dei nuovi aggregati coi quali di preferenza ess,t manterrebbe scambi commerciali attivi d'importazione e di esportazione. Gli idealisti non mancano di enumerare il lustro che verrebbe all'Italia dalla diffusione della sua lingua, della sua cultura e della sua razza nel continente nero; ma d'idealismo si convenne di non parlare ed è da avvertire, I) Quanto poco la civiltà e !"umanità entrino nel prog,·amma dei popoli., che fanno una politica eoloniale chi vuole può ,•edado nel libro che allo. medesima ho consacralo,
RIVISTA DI POLITfCA E SCIENZE SOCfALl 35 anzi, che ci sarebbe da sollevare gravi dubbi snlla realtà della preponderanza ed utilità degli scambi commerciali che la mad1·e patl'ia manterrebbe colla sna colonia. III. Si ammJtta in vi,. r!' ipotesi che l'intento di veder sor,;erc nna .Vuova Italia, che si propongon? i nostri nomini di Stato restando ed avanzando in Africa, sia nobile od ntile; giova esaminare se è possibile, e il corne rag;;i11ngerlo. Potranno gli Italiani coesistere e svilupparsi insieme :igli indigeni? giovel'à distruggere gli antichi possessori della terra africana per fare posto ai nuovi? Ecco lo esame preliminare che bisogna fare. Chi ·conosce gli Abissini e i Tigrini e le altre razze che vivono in condizioni varie sotto la sfera d' infinenza dell'Italia pensa che gl' indigeni presentano caratte1·i antropologici, intellettuali, politici e morali eccellenti, che incoraggiano a promuoverne lo sviluppo prog1·essivo. Ho riportato nel mio citato libro sulla Politica coloniale i varì giudizi dei piil illustri viaggiatori, che suffragano tale conclus.ione; alti-i ne riporta il Casati,· il valoroso compagno di Emin pascià che visse pe1· 10 anni in Africa; è conclusivo in modo assoluto il giudizio di Monsignor Massaja, · che visse per circa quarant'an·ni in Abissinia e· che fa l'apologia dei suoi abitanti. Il Casati, anzi non solo ritiene follia che si vossa faré l'A(i·ica se>i;a g1i africani, ma vorrebbe anche che si spingessero i bellicosi montanari delle Alpi Etiopiche nelle sottostanti valli niliache e si proteggessero per indurli a prendervi stabile dimora (Dopo I.Cassala - nella « Esvlorazione Commercia/e» :.\'1ilano.Settembre 189-1). L'Italia, adunque, seconcl:> questo competente scrittore-viaggiato,·e dovrebbe spendere uo:-nini e dana1·i in Africa per proteggervi ed educarvi gli Africani. _Questo compito sarebbe altamente civile ed nmanitario; ma non è quello che si sono proposto i nostri africanisti e solleverebbe, se confessato e colorito nella esecuzione, malumori giustificati nel popolo. Se compito siffatto perseguissel'o i governanti italiani è evidente che svanirebbe il progetto di fai' so1·gere una Nuova Italia nel Continente nero; è evidente che gl' indigeni protetti, costi-etti alla pace e alla coltivazione delle terre per l'agioni preponderanti di facile adattamento al clima, ai prodotti del suolo e al genere di vita, si svilupperebbero rapidamente e non si lascerebbero compenetrare dagli italiani, che in qucll' ambiente fisicamente e biologicamente si troverebbero in condizioni d'inferiorità nella lotta per la esistenza. Nè la co,isistenza e lo sviluppo parallelo dei due elementi sarebbe possibile per ragioni politico sociali. Vincitori o vinti non potrebbero serb_are rapporti pacifici; i vin li sarebbero troppo numerosi per lasciarsi dominare da un pugno di conquistatori ; la nuova educazione che da questi riceYerebbero e sopratutto la educazione militare non farebbe che ridare loro la coscienza della propria forza e farebbe riso1·ge1·e il sentimento nazionale e il desidel'io della indipendenza: movimento che deve presumersi facilmente in un popolo che ha una lunga storia relativamente non ingloriosa. Ciò eh' è avvenuto in un decennio insegna: i nostri protetti accarezzati, stipendiati, lisciati, armati, pl'ima, finirono sentpl'e col dirnniro 1·ibelli. È la sto1•ia di Debeb, di Ra~ Alula, di Bat Agos, cli Ras Mangàscià, di Menelik; sarà quella dei lorù successori, che solo a noi ... nulla insegnerà. Che questo debba essere si può argomentarlo dal malvolere e dalla diffidenza con cui sono accolti da pertutto i nostri soldati e ht nostra bandiera. Si ha un bell'annunziare che i notabili e le popolazioni vanno incontro ai conquistatori e li pregano di occupare definitivamente le terre; il vero è che tali sentimenti non vengono manifestati che dai mercenari che vendono agli italiani i loro servizi come li venderebbero a chiunque li pag..1,sse, da qualch,j prete scagnozzo del luogo e dalle male femine. Il Generale Barattieri ce1'to non sarà rimasto molto lusingato dalle bugiarde cantilene delle donne pubbliche cliAclua, che al suono cli un tamburo indigeno cantavano: « Noi lo aspet- « tavamo ed egli è Yenuto; noi lo desideravamo ed « egli. ha app(!,gato i nostri desideri>>- (A. Rossi: Le nostre conquiste in .Af,·ica. Milano. Kantarowicz Ed. 1895). ì'i"on si può p!3nsare aclunque alla pacifica coesistenza. cd al contemporaneo sviluppo degli indigeni e degli Italiani in Africa e si dern, anzi, riconoscere che quanto _più i vantaggi" della pace saranno assicurati tanto pii1 rapidamente si svilupperanno i primi a detrimento dei secondi; e quanto meglio ecluchere:no gli Abissini al mane;i-;io delle nostre a1·mi, n.lh1 nostl'a or,;a Iiizzaziono e .111,, disciplina milita,·c, tanto piit cresce,·anno i pericoli pe1· noi in una guerrn d' indipeuden;r,a che potrà tarcla1·e, ma che non potrà m,tncar.J. li pericolo che ci verrà dalla educazione milita,·o degli indigeni, specialmente da I maneggio riel cannone che 101·0inso,;niamo, non viene negato d:t ne~suno, e molto meno dai competenti. :'\on venne però va.lut:ito debitamente diti Generale D,tl ,- erme, che si compiacqne cli vedere in Africa una buona scuola di guerra, pei nostl'i nfficiali, dimentico cho una scuola identica in Algeria preparò gli ufficiali francesi alla sconfitta. Ben a ragione, adunque, il Martini avvisa che in Africa la prima cosa che si devono propo1·re gli Italiani è la distruzione degli africani: distruzione da. iniziare col cannone e da compiere coll'avvelenamentn per alcool. Altro che Congresso di Bruxelles e guen·e umanitarie (?) per abolire la schiaviU1 ! Il programma del ~Iartini, da lui esposto con brutale sincerità, da altri vagheggiato e mascherato con raffinata i1,ocris.ia, è logico; poti-à es~el'C realizzato? Pa,·e impossibile che posim esserlo. Sinora si sa di Pelli Ros e, di Australiani, o di altri popoli inferiori che sono scomparsi ;.I contatto dogli Ariani; ma di ~egri, pii'1 o meno modificati dall'incrociamento con altre razze, per lo più semitiche, che siano scompar~i e in casa propria, la storia non dice. Dice invece che attecchiro1~0 ti'apiantati in America e che m0lti popoli passarono in Africa senza soffermanisi; i romani compresi. I roma,ni, come accennai in principio, vennero a contatto precisamente cogli Etiopi e li •
RlVISTA DI POLl'l'ICA E SCIENZE SOCIALI sconfisse1·0. C. Petronio per punire la scorreria in Egitto tentata ùal loro Re Candace, l'insegui sino in casa sua e gl' impose la. vace; ma dopo la 1·itto1·ia. tornossene indieti-o perché, na1Ta Dione Cassio, 11è ,ioteva marciw·e CtJ1i Ittite te ~ue genti ci causa de/lei ~abbia e dell'eccessivo calore, né comodai,wnte colà ri,nanere. l romani antichi pervenuti in Etiopia non pronunziarono il fatidico : hic manebimus optime. l degeneri bizantini, dicianno,·e secoli dopo, lo balbettano l Dr. NAPOLEONE CoLAJANNI. L'EVOLUZIONE DELLE CREDENZE E D LLE DOTTRiNE POLITICHE Fra le differenti classi di fenomeni di vita col- • lettiva, l'insieme de' quali costituisce il dominio della Sociologia, una delle piit interessanti è certo quella ch'è relativa alle Credenze Sociali. A. Bain e James Sully ànno analizzato la Credenza riguardo alla psicologia individuale; la scuola sòrta dall'Herbart, e specialmente il Lazarus il Lotze lo Steinthal, àn fatto della Credenza la base della loro psicologia - o VolKerspsychlogie - sulla quale àn tentato di edificare la scienza delle Società. Nè la psicologia individuale, nè la psicologia collettiva esplicano completamente la struttura e la Yita degli organismi Sociali; ma pure i fattori psichici vi intenengono in gran parte pel fatto stesso che le unità umane, di cui l'aggregato forma uno dei due elementi che costituiscono la materia sociale, sono in generale dotati di sen ibilità e d'intelligenza. Le Credenze delle società sono una delle forme coordinate e relativamente stabili della unità loro consciente o inco11sciente; es e concorrono all'e pressione della loro continuità nel tempo e nello spazio; e se comprendono le emozioni e le idee delle società; sopratutto esse sono in stretto rapporto con le loro attività volontarie. Le ri,·oluzioni collettive come le decisioni individuali, sono difatti determinate in un modo regolare dalle nostre credenze, cioè da alcuni stati di conscienza consolidati por ripetizione, imitazione e eredità, relativamente all'ordine dei fenomeni fisici, fisiologici, psichici e sociali. La politica è precisamente - come abbiamo esposto altrove - la parte della sociologia che à per oggetto le manifestazioni della rnlontà collettiva. A tutti gli stad'ì della esistenza, le società possiedono un capitale relativamente fisso di credenze intorno alla loro condotta e al loro governo volontario nel senso pit1 largo di queste, parole, comprendendoci anche le loro attività riflesse e instintive. Questo fondo stabile, quantunque variahilC', concorro alla formaz·iono del loro camtlcre e della loro personalità, mC'ntre si dissolYe e si sposta quando la loro por-sonalitù e il loro carattere si fraziona o ,_j r1 isorganizza, sia per 1·egrosso verso forme inferiori di stabilit.it, sia por· ernlYor·e verso forme più alt.e e piì1 larghe. Come non lo è la volontà indiYidualo, cosi la rnlontà -collettiva non è una entità indipendente: essa è un modo superiore e finale di adattamento degli organismi sociali al loro ambiente; non è un principio, è una fine; è il risultato di un processo di fasi successive e multiple. La sua origine sta nei bisogni e nei desideri sociali, nel piacere e nel dolore che accompagnano il non adattamento dell'Essere al suo ambiente. Siano questi bisogni armonici o discordanti, convergenti o divergenti, in tutti i casi finiscono per imporsi come credenze: Se sono armonizzanti si fondono, se ostili si eliminano a vantaggio del più forte, per selezione naturale. Appunto conforme alle credenze, e specialmente alle credenze politiche certi scopi sono perseguiti più che altri; taluni movimenti o taluni mezzi sono creduti meglio appropriati a quei tali scopi. I mezzi e gli scopi possono essere relativi alle necessità pii1 ordinarie benchè le più essenziali della vita, a soddisfacimenti immediati e egoisti, o alla ricerca dell'ideale pii1 lontano e pit1 elevato, co' i mezzi piì1 disinteressati; non importa: in tutti i casi il meccanismo della volontà individuale e collettiva è lo stesso. Se non c'è conflitto nella coscienza, e perciò nella credenza, la Risoluzione sarà rapida e l'E ecuzione seguirà Yicina. Sarà così tanto nelle società inferiori, nelle quali domina l'attività riflessa, quanto nelle società complesse e superiori. In questo caso la rapidità e la sicurezza della esecuzione risulteranno dall'integrarsi degli stati di conscienza - essi stessi complessi in questa Società complessa - in forma di credenze; la quale integrazione, rendendo quelli stati Yeramente organici, li riconduce gradatamente alla semplicità dell'atto riflesso. Se, al contrario, le necessità dell'adattamento provocano dei conflitti nella conscienza collettirn, il dubbio, l'esitazione, si sostituiranno alla credenza; bisogne1;anno allora, e si formeranno, degli organi di Deliberazione per regolare la scelta tra i bisogni e i desideri, cioè: tra i moventi. Una risoluzione an-errà dopo una discussione, dopo una lotta violenta o pacifica, sanguinosa o semplicemente oratoria. I partiti che rappresentano i bisogni e i desideri di,·ergenti delle nostre società non sono forse quasi vere armate, co' i loro capi i loro centri, e loro ali, e la destra e la sinistra, e l'avanquardia, e la disciplina? In tutti i casi la forma 1·elativa11iente più influente, cioè il desiderio e il bisogno più irresistibile, trionfa.
RIVISTA DI POLITI'JA E SCIENZE SOCIALI 37 Conoscendo l'organizzazione d'una Società e il suo ambiente, noi potremmo certamente predire in qual senso essa si risolverà ad agire conformemente al suo carattere. La rappresentazione pit1 o meno neUa dei bi- !,ogni e elci desideri, degli scopi e dei mezzi; la lrwo ·celta dopo deliberazione o senza deliberazione nè esitazione; una risoluzione conforme al risultato della deliberazione e alla Credenza che ne 1·isulta, o che anteriormente stabilita ne tiene il Iuogo; finalmente l'Esecuzione dell'atto: questi sono gli stadì della Yolontà sociale come della volontà. indiYidualc. • * * La psicologia individuale è il summun dell'evoluzione inorganica e· organica; poi la fase ultima del processo fisico e psichico è l'attività volontaria. Ora, i modi superiori di essa - quelli relatiYi alle nostre esperienze più recenti e attuali non ancora integrate nell'organismo - suppongono organi rappresentativi, deliberanti e esecutivi; la conscienza collettiva si forma come la conscienza individuale dagli stessi conflitti che Yi f\i agitano. Noi abbiamo detto che il moYente relativamente più forte trionfa sempre. E che cosa può essere, se non il movente pitt forte, tale che sopravviYa, dopo aver esaurito parte delle sue forze nel conflitto stesso co' gli altri bisogni e desicled dell'organismo e con le esigcnr.c dell'ambiente? Nelle conscienze indiYiduali piii alte, come nelle meno stimabili, la lolla non te1·mina gcncr·almentc. anche in modo consciente, t;0ll delle transazioni ? Le forme conli·attuali che caratterizzano ,;pecialmente l'attività rnlontaria delle ocietà ànno dunque la loro origine ben distinta nell'espressione finale della psicologia individuale, nelle leggi della Yolontà. La sociologia, non è, come alcuno immagina, semplicemente una Volkcrspsychologic, ma c· è una psicologia colletti ra, e la p:icologia della rnlontà individuale è una pa1·te di questo ordine della natùra che si avvicina di pi(1alla scienza sociale ; lo studio delle Credenze ne è come una regione. L'esecuzione <lell'aUo è insomma la fase meno importante e meno interessante della volontà individuale e collettirn. Le nostre false concezioni psicologiche e . ociali e la confusione pl'imitiva negli 01·ganismi rudimentali, sociali o altro, dell'eccitazione e della reazione, fa attribui1·e al Potei·e Hsecutivo una influenza che non tt, che non deYe ayei•e; l'Esecuzione è la risultante meccanica e folale del pl'ocesso ante1·irwe; questo la detct·mina, e que,;lo n'è l' imperati,·o catego,·ico. r\.s,;ai piit essenziali sono le c1·edenze in r·appol'lo alle nost1·erapp1·esentazioni Llei bisogni e dei clesided; in ,·apporto alla 1·icel'ca della felicità e all'anersione della pena. Ecco i motivi che commovÒno e muovono tutti gli organismi, senza distinzione, animali e uomini, società animali e società umane, sia che i loro movimenti si t1·aducano in atti positivi o in arresti, in azioni o in inibizioni. Le Credenze e le Dottrine politiche ono dunque quegli stati collettivi di conscienza la cui delimitar.ione e coordinazione, relativamente stabili, determinano in larga misut·a l'azione volontaria delle società, cioè la loro condotta e il loro modo cli governo. Lo studio delle Credenze e delle Dottrine politiche non abbraccia dunque tutta la scienza politica ma solamente uno de' suoi campi pit1 importanti, però fin'oggi pii1 negletto a vantaggio ciel dominio governativo ed esecutivo, nel senso pit1 stretto e nella concezione più falsa di queste parole. Il liberalismo dottrinale, che da pit1secoli aYeYa in parte assunto la direzione intellettuale e politica delle società nelle parti più incivilite cieli'Europa e dell'America pare non abbia più credenze politiche; le esperienze più recenti tendono a provarn che è impotente e in ogni caso poco disposto a sYiluppare il regime rappresentativo i11tutti gli ordini clell'attiYith umana. La classe per la quale quel regime fu una conquista gloriosa non ha bastanza chiarornggenza, nè a bastanza disinteresse, pc1· estenderne il beneficio alla generalità. E per tanto è dal progresso della Rappre,;entazione e della Delihe1·azione t:he i 1·ontlilli della (;i,·ilfa 1node1·naconfo1·mcmente alle leggi naturali, pos,;0110t·iceve1·e una soluzione progressiva o pacifica. La semplice negazione e il dubbio non possono tenei-e il po ·to della Cl'Cdenza. Il sociali,;mo - seuza distinzione di ;;cuole e cousiclorato nelle sue tendenze Comuni - rapp1·esenta certamente in modo miglio1·e i bi;;ognie i desiclel'Ì delle collottivifa moderne; e la sua ct•itica sopratutto - Ct;o11omicae mo1·ale - le sue credenze e il suo ideale sollo più poderosi d1e quelli dc' suoi av,·e1·sa1·ì.A torto o a r-agione molti di co ·to1·0 combattono il socialismo in nome della libertà; noi ~periamo di convincerli che la libel'tà dell'individuo come la libert~l dei g·ruppi di individui, costituisce la tnrnrn clell'ernluzione progt·e-.-iva delle c1·edenze e delle ieot·ie politiche, e che codesta ernluzione è parallela al progre,;so economico e sociale, in generale. Il socialismo sal'à dunque liberalo, come il liberalismo donà essere socialista; quello dei duo te1·mini che tcnte1·iidi l'inncgar·c l'altro si suiciderit. La lihel'tà e la socialifa, il progresso e l'ordine, fo1·mano la c1·eclenzache più ~i integ1·a negli organi~mi ~ociali e indiYiduali del nostro tempo; ;;0110 il risultaio di una lunga c1·edili1,la conclusione di conHiUi secolat·i, e non si potrà più strapparli alla
38 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI conscienza collettirn senza l'OYÌnarela società stessa e ricondurla a forme sempre di piì1 inferiori; ~ono i1n-ece,e diYenterannno empre maggiormente, la Religione universale. Que. te credenze e queste dottrine, profondamente YiYaci in noi - bencl1è ancora oscurate dalla confusione delle no;;tre lotte - abbiamo in animo di sYiluppare dalla paziente e imparziale descrizione delle pa,-sate credenze e dottrine politiche. \'ei p1·imi saggi 1'elaiiYi alle civiltà meno avanzate chiede1·emo agli alti e alle instituzioni ste;;;;e ~lei popoli il ;;ecreto delle loro credenze poiitiche; ed è infatti ;;olo per mezzo delle manifestazioni esterne del loro pen;;ie1'0, che noi potremo scrutal'lo, in mancanza delle sc1·itte. L'attiYità riflessa e instintirn è preponderante nelle forme Yolontarie pl'imitirn: quelle popolazioni operano molto e rifietlono poco. Ciò eh' è Yero degli individui lo è h,nche dei popoli: « Pen;;are rnol dire non parla1·e e non agire». Poi. giunte le ricerche 110;;(1'eagli staclì di Deliberazione e cli Rappre. entazione consciente, accorderemo sempre maggiol'e impo1°tanza alle teorie politiche propriamente dette p111r·iconducendole sempre alle c1·edenze ge11e1·alia, lle co11 sti tuzioni e a' fai ti che ne sono l'esplicazione necessai·ia. Insomma è :olamente in Jndia, in China, e in Giudea che noi frore1·emo, pe1· la p1·imaYolta. dot ki11e politiche, ma confuse nell'insieme delle concezioni 1•eht!i1·eal 111011rlfobic-o, 11101·ale,e sociale. In G1·ecia, infiuc, la scienza politica si dii~ feL"enzie1·idt.alla filosofia ge11e1·ale.Tutlaria, le C1·0denze dei popoli chr non ci-ea110te,Jl'ie politiche. sono le più e:<senziali alt"intelligenza di esse; le credenze politiche sono come costumi e giu1·isp1·11denze non scritte e :<opratutto non codificate - benchè coordinate - delle ;;ocietà; i co,-tumi e,-plicano i codici; le Credenze esplicano i costumi ; la 1·ipetizione, l'imitazione, l'eredità, la selezione esplicano le credenze e la 101·0 forza coa1·lat1'ice. Le piì1 antiche di esse s'impongono ancom a noi. piÌL che non ;;i pensi. Se i moL"ti- come dice.-\..Comtegoyernano i viYenti è perchè sono ne' YiYenti incorporali. \'oi siamo, noi moderni, l'antichità più remota, e i nostri antenati podanmo nella lorn ca1'11ei piì1 lontani venturi. L'opet·a dello sto1'icofilosofo consiste a riconsti tuire codesta conscienza dell'uniti~ del genel'C umano llel tempo e nelio spazio nel passato e nell'anenir·e. \"oi imprendiamo la sto1·iadelle credenze 1·elatirn all'organizzazione e all'espressione dell' « io rnglio » colleltiYO: un semplice capitolo della Scienza Politica, eh' è la più rasta e complessa fra tutte quelle che meritano di fiss,u'e il pensiero umano. In questo :tudio :<pecialenoi incoufre1·emo a ogni pn,;so le g1·andi leggi sociologi('he aslt'attc che so1·- gono da i fenomeni della sw1·ia delle <:il'iità pa1•- ticolari, e ne formano il nodo constante e indissolubile che li collega alrordine sialico e insieme dinamico dell'universo. );el mo!ldo sociale come nel mondo organico e fi;;ico tutto è unito e lutto si contillua; nulla è indipendente, i11detei·minalo;l'esplicazione cli tutto è nel tutto. A proposàito D. AlfonCso1m~i Emilio Zola ha eletto « I dolori senza fine. che straziano il genere umano, spingono le moltitudini a Lourdes». È così ; cli tutte le religioni, la cattolica è la piì1 umana; il Yerbo si è fatto carne. E lo spasimo della carne inferma il pensiero. \ei secoli perrnrsi di Roma imperiale, nei secoli fc1·oci del feudalismo, le turbe derelitte e angosciate si stringono alla croce, e la chiesa pro- :<tran1 lo Stato a Canossa. Quando il diritto pubblico si sposò alla monarchia. la chiesa si fece stato e soggiogò popoli e 1·e, coi gesuiti. 'l'ant' è, la stoL·ia della società umana, dai p1·imi fat·aoni a' giorni: nostri ebbe un codice solo: il P1·iiicipe di :\lacchiaYelli. T.a riYolur,ione francese mi e le p1·ime radici cli un· Era ~110Ya: l'uomo fatto uomo si lenì contro il pa!--sato:ma del pa,-sato ancom lo pe1'seguitano g('nerazio11i senza fine, forte lo stringono memorie indisti·utlibil i. L' ltra :'i uont n1ol esse1·e etico-economic.i, non y' è pet' alti-o nè mo1·ale, nè benessc1·c senza giu- ,-tizia; e la giustizia nel codice cli i\facchiarclli suona caos e utopia. E, contl'o l'utopia, chi gode del p1.·esenle, chi non sente l'avYenire, trova in quel codice una giustificazione a tutte le violenze, a tutte le iniquitit. li sofisma, l' ipocl'isia, tutte le passioni malsane si sfrenano nella lotta; non vi sono più 1·oghi,fo1.·- l) Questo a,'tiçolo 1 I Signor Dc Greef à tratto d»Ila prefazione d'un suo lavoro, intitolato lJJpnnto L· evolu:;ione dPl/e f·,•ede,1:..~ee delle JJott,-ine poUtiche, elle vedrà la luce in questo stt!'SO rr.cse. a Pa1·igi e a Bl'uxellcs. Questa nu'Jva opera del Prof Dc f.reef costituisce come il tl'atto di unione fra i suoi lavol'i cli socinlogia astrattn, sistematizzati nella Jnt,-oriu:;ione olla :;n<:ioloaia, e il progctl'l di 1·calizzazione politica che è oggetto dt:I volume intitolato : La Costi• tu.ente ,~ il re(Jimt rappresentativo. Gli studi di cui ora <1uesto volume forma la prima serie snno in parte la l'iproduzione delle 11:zioni che rA. da clu~ anni à consacrato all'E\'o)u1.ione delle C1·edenze e del le uottt·ine politiche. I trattati di S1oria di Scienza Politica non so110pi1'1 al lh·t·l!o dei progres~i della sociobgia: anche I' importante e sapiente opera dd Signor P. Janet p1·vccùc ,rn~ora da i metodi e dalle concezioni antiche d~lla c,·itica purarncntc razionalista e metafìsic~. E' tc111po di rcagi,·c cont1·0 l"ariflitiL e la sted1it\ dcli' i11~-'"gnament.odcll-t. sto1·ia politit:a nt-llc Uni\·ersità. r.·anima della storia IJOli1ica è. soprat11tto, nc11ecred~ni'c e ncl:c rluttrine poli·iche, eù è .. t ta appunto ocneralme11te pc,- duta di vista. La ,p1al cosa nun è una delle incùusegw•nzc minori dello spiritualismo, che la filosofia po-5it:,·a deve segnalare e combattere.
RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI 39 che, Bastiglie; ma quanti 11011le imocano nel loro interiore, e quanti ricorsi non si contano nella storia! Ecco perchè D. Alfonso Carresi può dire « così avviene clic senatori, deputati, professo1·i, mi11istl'i tornano a Dio » .... al Dio di Crispi. Di costoro la chiesa diffida; sepolc1·i ùnbiancati, ella pensa, e se ne giova, parata all'inganno, pronta alla 1·appresaglia. La que tione stessa del pote1·e tenipm·ale sa diYenuta quisquiglia diplomatica: se ne fa Yessillo, che agita a' quattro venti come lievito di fanatismo. Intanto conta trionfante le moltitudini di Lourdes la tratta infinita di gente che sente e non pensa, e an,ince quelle genti e quelle moltitudini con la simpatia irresistibile della sua forza primigenia, l'umanità, che è pure la forza dell'Èra Nuova; se non che l'umanità, nella chiesa cattolica, è indissolubilmente congiunta al codice di Macchiavelli. Eppure D. Alfonso Garresi puo dire « repubblicani, socialisti, massoni si rivolgono a me ». Ond' io ripenso mestamente a queste parole dello Stendhal: « Tel est lo l1·iomphe de l'education jesuitique: donner l' habitude de 110pas fai re attention à cles choses plus claire:s que le jour ». APROPOSITO DEILII 0 VOLUDMEEL"CAPITALE,, (C oriti11ua~io11e e fine - Vedi Num. precedente). 11. Se la legge del v,dore deve avverarsi ~trettamentc - cosi aveva ragionato Marx nel primo volume - i capitalisti industriali non possono realizzare nella vendita del loro prodotto un valore eccedente la loro spesa, cioè un sopravvalore, se non quando un tal valore eccedente sia stato già creato nel processo tiella produzione. Esso è creato col lavoro tlei sala1fati, ai quali il capitalista paga in forma di salario soltanto le spese di mantenimento, ossia il valore della f'or;;a di lavo1·0. Questo valore, cioè l'ammontare del lavoro, che ò contenuto nei mezzi di sussistenza necessari alla conservazione dell'operaio, è naturalmente basso; e nulltL toglie al capitalista, economicamente strapotente, di far la.vorare l'operaio - al quale egli in forma di salario dà un assegno su merci per esempio di sei ore di lavot·o - più a lungo, forse il doppio di sei ore ogni giorno. Il valore nuovamente cre,.Lto dall'operaio ogni giorno nel processo della produzione l) Sotto '}Uesto pseu•lonimo si nasconde 11nn c-grcgia Signora che insegna storia in una scuola italiana governativa. Govel'uando il Crispi., si capisce il risl!rbo. N. d. D. è cosi il dowio di quello assegnatogli in forma di salario. Il capitalista guadagna ogni_ giorno adnnque, con questo lavoro protratto dello sc//iavo salariato, tanto e tanto valore eccedente, o sop1·a:vvalore, in forma di prodotto, sebbene egli aubia pagato precisamente il Yalore della /'orza di lavoro in conformiU alla legge del valore. Egli può quindi vendere il prodotto completo, dopo terminato il processo tli produzione, al suo valoi·e di lavo1·0, e otterra nondimeno in questa vendita una somma di danaro maggiore di quella che avca spesa pei mezzi di esercizio e per le fot·ze di lavoro necessarie alla produzione, perché nel prodotto é incorporato un valore eccedente. Il suo danaro si è valorizzato, gli ha reso profitto, e si è quindi riaffermato come capitale. E tutto ciò senza, violazione, anzi per legittima conseguenza della legge del valore. Ma il sopravvalore, sul cui scambio in danaro si fonda il profitto, è stato creato dagli operai salariati, e non dalle materie grezze e dalle macchine, che in generale, qua'i prodotti del lavoro passato, possono semplicemente trasferire al nuovo prodotto il valore del lavoro in esse contenuto, ma non possono evidentemente creare valore nuovo. li sopravvalore quindi, se è dato il saggio del salario, e se è data la lunghezza del tempo di lavoro e la intensità del lavoro stesso, sara tanto maggiore per ogni capitale, per quanto più capitale l'industriale può impiegare nell'acquisto di forza cli lavoro vivente, generante lavoro e sopravvalore. Solo la parte di capitale spesa in forma di salario è valore che si valorizza nel vero senso; essa ò, come dice Marx, capitale va1·iaòile in opposizione al capitale costante, cioò ai mezzi di produzione morti, che non fanno se non trasferire il loro valore al prodotto completo. 01·a secondo i di,·e1·si rami d' indu3tri:1, capitali industriali egualmente gt·andi occupano più o meno forze di lavoro \"iventi, e raccolgono anche, per conseguenza, un sopravvalore più o meno grande nel processo di produzione. J1a ciò nonostante i lom profitti sono uguali; o, se variano, ciò ha la sua ragione nelle congiunture del mercato, che sono accidentali e mutevoli, e non già nel fatto che impieghino masse operaie di diversa grandezza. Adamo Smith ha ragiono: la libera concorrenza tendo atl agguaglia1·e in media e a lungo a,ndare il tasso del guadtLgno del capitale nei divet·si ran,i di produzione. li prezzo « naturale », ricercato dalla concorrenza, intorno al quale si muovono i prezzi di mercato come intorno al loro punto di gravitazione, si misura secondo questa l'egola: che i capitalisti cioè, ottengono nella vendita delle merci le spese di produzione fatte in danaro, ma cresciute del profitto medio del loro capitalo in d.tnaJ"o, che anticiparono nella produzione. L'a~lusso e il deflusso del capitale nei diversi rami della produzione, che si muornno secondo le rispettive probabilità del guad,Lgno, hanno la inevitahile tendenza di adattare a lungo i~ndare i prezzi di me1·- cato alla misura del prezzo naturale. t dunque chiaro: La non,iali::::a;;ione dei 1,re:::::i, che rirnltet dalla leg!Je del vallJre, diverge da q11ella che effettivamente re!Jola i 7J1·e.:,;:; i, e alla </ttale tende la r;onco1Ten::a. Per la sti-ct,ta et! immediata esplicazione della legge del valore, il cavitali~ta, dovrebbe
40 RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI ricevere nel prezzo delle merci le sue spese (somma dei salari e spese· pei mezzi di produzione usati) cresciute dal sopravvalore prodotto dai suoi operai. Come vedemmo, questo sopravvalore è 1>iù o meno grande secondo che è più o meno grande la massa degli operai o,)cupati, e quindi la parte del capitale variabile. La concorrenza intanto regola i prezzi in modo che il capitalista ricavi le sue spese e un profitto corrispondente al saggio del guadagno medio, da tutto il capitale anticipato nel processo di produzione. In altri termini: Il valore di un prodotto capitalisticamente formato include, oltre alle spese cleil' imprenditore, il sopravvalore; il prezzo di un prodotto capitalisticamente formato include oltre a,lle spese, il guadagno medio. E mentre il sopravvalore deve regolarsi su la grandezza della parte variabile del capitale, il guadagno medio devo regolarsi su la grandezza cli tutto il capitale anticipato nel processo della produzione. Il guadagno reso da un prodotto del capitale divergerà per conseguenza dal sopravvalore in esso contenuto e quindi anche il prezzo del prodotto del capitale (il guadagno forma cli certo una parte cli questo prezzo) deve divergere dal valore dello stesso. L'antitesi è chiara e sa,lta agli occhi appena siano dedotte rigorosamente tutte le conseguenze che si devon doclurrn dalhL logge del va,l01·e; comO"i\fa1·x htL fatto nei dne 1Jrimi volumi delhL smL opera,. Ciii avvo1·sari della teoria del valo1·0 di .\Jarx, - e tra gli economisti uflìci,di ossa non h:L che avversad per ragioni facili ad intendersi - scor;;eranno in rpiest'antitesi una splendid,L confutazione dell,L teoria del v,dorn. Secondo costoro tuU,L l,Lsto1·i,Ldel v,dore sa,reulrn falsa, e vana, i\1,Lrx avrebbe evidoutomente stauilita la su,L dolt.rina economic,L solo por furberia socialistica, perciocchè, se ogli stesso a rrt va al risultato, che gli effettivi prezzi delle merci divergono dal valol'e in lavo1·0 delle merci stesse, non e' è chi non vegga, che l,L determinazione del va loro secondo il lavoro non ha proprio nulla da fare coi reali valo1·i di scambio e coi prezzi, o che per conseguenza, quella, determinazione del valol'o sia metafisica inutile e pericolosa. Viva, l'oclottismo, hL teoria dei « tre fattori della prnduzionc: lavol'O, capitalo e natura »; la dottrina della « offerta e della domanda» la teoria dei «Servizi» e della « utilità finale», nelle quali svanisce ogni rigol'osa detc1·minazione, e il cui chiaroscuro è cosi tranquillizzante per il pensiero come per il sentimento dei borghesi! La legge del valore è ipotesi fatta pet· la spiegazione della realtà. Se i prez;:;i naturnli clella conco1Tenza non stessero in alcun rapporto con la legge del valo1·e, se cioè essi fossero intelligibili anche a/: fatto inclipenclentemente cla quella i11otesi, in tal caso gli avversari avl'Obbero certamente ragione. ~la il fatto che i prezzi naturali delle singole me1·ci divergono dal valore delle stesse, non prova per sè menomamente nulla contro la necessità della teori,L del valore. Esaminicimo la cosa piit da vicino. Il « prezzo natu1·alo » include le spese cli produzione, cresciute del profitto medio del capitale anticipa,to. E quando il p1·ofitto di un capitalo è J)ro/itto medio? Quando il saggio percentuale, secondo il quale il profitto reso dal rispettiYo capitale si riferisce al capitale anticipato, coincide col saggio generale medio, secondo il quale anche gli altri capitali rendono guadagno. ]\'la da che dipende a sua volta la misura cli questo saggio, cioè la rata del profitto medio generale, secondo la quale la totalità dei capitali rende guadagno? Qui è affatto vano il richiamo alla conco1Tcn,;a, che ci lascia completamente in asso. Con la concorrenza dei ca1,,itali cercanti dapertutto le maggiori probabilità di guadagno si può spiegare soltanto, che il saggio del guadagno nei diversi rami tendo ad agguagliarsi, ma non s'intende nulla dell'altezza di questo stesso saggio di guadagno agguagliato. Qui noi, se tutto il fenomeno non deve rimanere completamente inesplicato, siamo riinanclat{ alla ipotesi della teoria del valore: Tutti i capitali elio occupano lavoratori (supposti come dati e l'altezza del salario e il tempo del lavoro e la intensità sua) producono sopravvalore in ragione del numero degli operai da essi occupati. Ciò che vale dei singoli capitali, vale della somma di tutt' i capitali. In tutta la svariata ma,ssa di merci, che ,Lnnualmente è lanciata sul mercato dalla cla,sse capit,Llistica, è contenut,L lllHL qm,ntitiL ben determinata di tempo di lavoro non pagato o di sopravvalore. Ora se la concorrenza Javon, ad un liYellamento delle rate di profitto por lo di verse branche, e fa deviare per conseguenza i singoli prez7.i dello merci ora, più ora meno dai valori, è sempre possibile, e fo1·se probabile, che le divergenze dei proui dai vttlori si annullino mutualmente per rispetto al 1n·odotto collettivo, o che questo quindi rnggiunga un prezzo corl'ispondonte al suo valore di la,voro. ,\1unwsso clw debb,L csso1·e cosi, è chi,L1·0, che in questo casu il tas,o secondo il quale il c,Lpit,du colleti,ivo i11dust1·i,de - quindi anche bL mcdi,L dei c.lpii,,di i11Llividu,di- l'entle p1·0/ilto, è (letel',ninato dalln legge del valore. l'orciocchè, se ht somm,L dei pl'Ozzi p,Lgata pc! prodott0 tot.dc deve corri ·pondero al valore di laYoro del pl'odotto stesso, allorn la classe indust1·iale capitalistica ottio110 110!p1·07.zo del pl'odotto totale il valo1·0 delle spese cl'esciut,L, di tutta la somma del soprnvvalore ca1·pito i.dl,l classe operaitL. Ii guadagno netto, o profitto dell,L classe industriale capitalistica, non è se non quust,L somma, di sopl'avYalore conve1·tita in dana1·0; lct rata elci profitto del capit,do collettivo industrialo, il tasso quindi seconde il quale anche la medi,L dei singoli capitll.li rende guadagno, è dato d,Ll rappot·Lo della somma di sopravvalore annualmente cal'pito ,Llla,cl,Lsse operaia,, col valore cli tutto il capitale anticipato. r prezzi naturali delle merci della concO!'l'enza divergono quindi effettivamente, a causa del livellamento dei profitti, dai valori immediati delle merci, 111aquesta stessa divergenza nnn è intelligibile se non sulltL base della teoria del valore. Giacché l,L mta del profitto medio, su la quale la conco1Tenza tendo a 1·0golare la formazione del prezzo, non è essa stoss,L determinata dalla co11co1Te11za,ma da un rap1io1·to cli valore, cioè dal rapporto cli tutto il snpravoalore con tutto il valore del capitale anticipato. i\Ia si obbiotte1·(L, tutta questa deduzione non lm però consistenza se non nella, ipotesi, che effettiva,- mente i I prezzo di tutto il prodotto debba coincidere
RIVISTA DI POLITICA E SCIENZE SOCIALI 41 col suo valore di lavoro. Se si lascia cadere questa forzata ipotesi, l'argomentazione perde ogni validità, e svanisce ogni connessione tra la rata del profitto medio e il rapporto di valore. Qui noi non possiamo naturalmente addentrarci in questa obiezione, non toccata da Marx se non molto brevemente. Limitiamoci quindi a rilevare semplicemente il punto essenziale: Tutto il prodotto consta di mezzi di produzione che devon continuare a servire come elemento dei capitali produttivi, e di mezzi di consumazione, la cui maggior parte è necessaria al mantenimento degli operai. Ora, se per esempio la somma dei prezzi di tutto il prodotto si eleva al di sopra del valore suo, anche gli elementi del capitale, cioè la somma dei mezzi di produzione e delle forze di lavoro dovranno in media partecipare corrispondentemente a questo accrescimento di prezzo. Nei mezzi di produzione ciò s'intende da sè, ma lo stesso vale anche - in certi limiti - per le forze di lavoro; perciocchè il salario si regola secondo le necessarie spese di mantenimento del lavoratore. In quanto il crescere del prezzo di tutto il prodotto sul valore si riflette in un aumento di prezzo dei mezzi di sussistenza, anche le necessarie spese di mantenimento del lavoratore devono crescere corrispondentemente; e se il lavoratore dev'esser mantenuto al livello del suo minimo di esistenza, deve crescere corrispondentemente ìl suo salario in danaro. L'accrescimento del prezzo di tutto il prodotto sul valore del lavot'O ha quindi per effetto (almeno~ nella tendenza) un corrispondente aumento di prezzo degli elementi del capitale, dei mezzi cioè di produzione e delle forze di lavoro, e pe1' conseguenza un aumento del capitale in danaro da anticiparsi in tutti gli esercizi. Se dunque la somma dei prezzi di tutto il prodotto supera anche il valore suo, ciò non è in sè ancora nessun aumento del tasso del guadagno, perciocchè col prezzo di tutto il prodotto cresceranno di prezzo corrispondentemente gli elementi del capitale. La rata del pro/Uto medio, o il rapporto di tutto il profitto con tutto il capitale in danaro che fu anticipato, non sarà quindi toccata - quanto alla tendenza generalo - cla un aumento di prez~o di tutto il prodotto sul valore cli lavoro. Lo si vedo: Anche se noi abbandoniamo la nostra pl'ima ipotesi, cioè, che tutto il prodotto sia venduto al sno valore, la rata del profitto medio rimane sempre dipendente dal rapporto di valore di sopra sviluppato, cioè dal rapporto della somma di sopravvalore annualmente prodotta col valore del capitale anticipato. La legge del valore si conferma quindi, anche di fronte al fenomeno dei prezii della concorrenza, che sembrano contraddirla interamente, ed essa rimano come il nece sario punto di partenza toorico, come la inevit<1bilo ipotesi apportati·ice di luce. Senza di essa cessa quabia::;i cognizione teoretica nel congegno economico della vita capitalistica. Ci manca lo spazio pet· addentrai·ci maggio1·mentc nel 1·icco contenuto del Lel'ZOvolume del Capitctle di Marx; nelle indagini sulla diminuzione della rata del pl'ofitto medio, sulla divisione del profitto in guadagno commerciale, interesse e rendita fondiaria; e nell'analisi dettagliata della rendita della tol'ra. ~Ii sembrò più importante di mettere in rilievo il carattere distintivo del terzo volume: che c10e Marx, dopo che nei due primi volumi furono sviluppate metodicamente tutte le conseguenze della legge del valore, confronta in questo terzo i risultati ottenuti con le evidenti no1·me del pt'ezzo nella concorrenza, e fa vedere l'antitesi di quei risultati con queste norme, ma in questa antitesi constata di nuovo la loro concordanza. Poichè la normalizzazione del prezzo della concorrenza significa senza dubbio, come vedemmo, una divergenza dei singoli prezzi delle merci dal loro valore; ma d'altra parte anche una convergenza della rata del profitto medio, che sta in fondo a quella norma del prezzo, col rapporto di tutta la somma del sopravvalore al valore capitale anticipato. J\fa l'intendimento di questo rapporto di valore presuppone lo sviluppo della teoria del valore, condotto assolutamente in modo logico e conclusivo sino alle più estreme conseguenze, quale fu dato da Marx nei due primi volumi. Tutto è connesso fermamente e sicuramente nel piano di quest'opera maravigliosa, condotta con uno spirito che vede anticipatamente di lontano. Essa è un documento del pensiero umano, come ve ne ha pochi. Ma senza dubbio il piano ne fu condotto a termine solo in parte. I manoscritti che vengono in luce in questo terzo volume, furono composti - ancora prima dell'apparizione del primo volume - a propria istruzione dell'autore e non già per la stampa. D'onde, le ripetizioni, le digressioni, la frequente oscura brevità anche in quistioni importantissime, che contrasta stranamente con la prolissità con cui sono trattate occasionalmente cose accessorie. C' e bisogno di lavoro paziente dapartc del lettore, per penetrare qui da pe1·tutto nel nocciolo es- ;;cnzialo del -pensiero. ~,Ca ne vale la pena! Un progresso reale - ciò si può predire sin da oggi sema pericolo - non sar,t pi(1 fatto nell'economia politica teoretica, se non in connessionne critica con Ì'opera cui ?l'iarx consacrò la vita. CoNRADScu.1110-r Professore ali· Univc1sità di Zurigo. SPERIMENTALISMO SOCIALE (Le Otto ore di lavoro) In questa rubrica, ogni volta che se ne presenterà l'occasione, la Rivista darà a' lettori i risultati sperimentali su i prnblemi più discussi di legislazione sociale. Cominceremo oggi illustrando di due esperimenti, seguiti uno in Russia e l'altro in Inghilterra, la quistione delle otto ore di lavoro. Russia: - La fabbrica di carta di Dobruscha, vici no Sommelis, è la prima che abbia applicato la giornt,ta di otto ore. li capo cli questa fabbrica, il signor Stuhschinski, i publicato un opuscolo nel quale na1Ta i vantaggiosi risultati della riforma. Gli operai
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